Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

mercoledì 17 maggio 2017

Non solo quello dei frati


L’abito parla, grida chi siamo,
anche a chi non ci conosce. Anzi, chi non ci ha mai visto né sentito parlare, intuisce qualcosa della nostra personalità proprio dal nostro modo di vestire. L’abito ci esprime e ci plasma, nella misura in cui definisce il nostro ordine (o disordine) interiore, i nostri sentimenti e atteggiamenti. Nel suo celebre saggio Le porte regali (trad. it., Adelphi, Milano 2009), lo studioso e sacerdote russo Pavel Aleksandrovič Florenskij giunge ad affermare che «“La carne e il sangue non ereditano il Regno di Dio”, ma il vestito eredita» (p. 131), fino a definirlo «un megafono che proclama e amplifica la parola della testimonianza, pronunciata intorno alla propria idea dal corpo» (p. 132). E, per concludere con la propria idea del corpo, sarà un caso che proprio ai nostri tempi si vada diffondendo quella moda unisex che vorrebbe eliminare dall’abito la primordiale e complementare distinzione tra linee maschili e femminili, per adattarsi ad un corpo indistinto? Se «la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Mt 12, 34), le “parole” che fuoriescono dal nostro armadio esprimono in qualche modo, nel bene e nel male, la condizione spirituale dei singoli e delle società

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