Di p. Attilio Franco Fabris
Il peccato non è che il terminale logico di un processo semicosciente di piccole scelte e di grandi giustificazioni che, a lungo andare, finiscono col convertire in logica, in coerenza e, forse, anche in necessità, il male che si compirà più tardi. In questo mondo la grande forza del male risiede in questi processi misteriosi… grazie ai quali un giorno il male arriverà a sembrare plausibile o necessario… L’uomo non si consegna mai alla mostruosità fine a se stessa, ma a una mostruosità che è il risultato finale di un processo sottile, grazie al quale ciò che è mostruoso viene spogliato del suo essere terribile, fino ad apparire logico e necessario (Gonzàles Faus, Este es el hombre). Allora non si tratta più di una “scappatella”, ma dello stabilirsi in noi in modo permanente e sempre più inconscio di un ordine di cose pienamente assimilato. Il vero peccatore non è colui che, dopo un eccesso d’ira, si sente un disastro nel suo intimo, ma colui che giustifica pienamente i propri eccessi e non riesce più ad allontanarli criticamente.
I peccati così diventano “logici, coerenti, necessari, plausibili, privi di mostruosità”. Quanto è necessaria allora una efficace disciplina penitenziale al fine di aiutarci a non arrivare a quel punto. Non potremo forse giungere ad estirpare i nostri vizi, ma certamente potremo evitare che questi si convertano in qualcosa di “pienamente giustificato”, impossessandosi del nostro io più profondo. Bisogna disattivare pazientemente, mediante il pentimento e la confessione tutte le nostre “piccole scelte e le grandi giustificazioni”.
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