II DOM. AVV.
“Consolate, consolate il mio
popolo” (Is 40,1), dice Dio attraverso Isaia.
Cosa significa “consolare”? Stare, affiancare, condividere il percorso
con chi è solo – cum solus – per sollevare,
dare una speranza, una ragione valida per andare avanti.
Esilio, invece, deriva da ex – fuori e solum – suolo, patria. Essere in esilio, significa stare fuori
dalla propria patria, dagli usi e costumi, dai sapori e profumi, dalle
relazioni, dagli orizzonti della propria terra. Chi è in esilio non può che
desiderare di tornare a casa.
Il profeta Isaia, è mandato al popolo di Israele, per annunciargli la
bella notizia che è terminato il tempo dell’esilio, è giunto il momento di
tornare a casa. Quel popolo in esilio a causa delle scelte errate delle sue
guide e per il fatto che ha preferito fidarsi della potenza umana, piuttosto che
della parola del Signore - “Maledetto l’uomo
che confida nell’uomo” (Ger 17, 5) – finalmente può tornare alle proprie radici.
Mi direte che siete annoiati dal sentire parlare ancora una volta dell’esilio
del popolo d’Israele: è roba vecchia e noi siamo né ebrei né in esilio. Al
massimo potrà riguardare gli immigrati che ci stanno raggiungendo e che stanno
abbandonando le proprie terre.
In realtà c’è un esilio fisico, geografico e uno esistenziale. Chiunque
è lontano dalla propri meta; da ciò a cui è destinato, dalla propria vocazione è
in esilio e non può che sentirsi frustrato, irrealizzato.
Pensiamo al figlio minore della parabola del Padre misericordioso. Egli
si sente prigioniero nella casa di suo padre; gli sembra di non avere
possibilità di crescita. Solo andandosene; solo separandosi da suo padre, potrà
avere successo nella vita; diventare ciò che vuole; realizzarsi. Di fatto egli
si autoesilia e che cosa trova? SOLITUDINE; UNA DIGNITA’ CALPESTATA; FAME.
Solamente ritornando a casa può riacquistare intatta la dignità perduta –
questo significano l’abito più bello, l’anello al dito e i sandali ai piedi -.
Non siamo un popolo in esilio? Non ci siamo spinti lontani da Dio,
convinti di poter fare a meno di Lui, anzi, di dover fare a meno di Lui per
poterci sviluppare pienamente? Cosa stiamo trovando? Siamo davvero un popolo
libero e felice? Mah!
Ecco perché è ancora estremamente attuale e necessario il grido del
profeta che ci dice: “Nel deserto
preparate la via del Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio”
(Is 40,3). Dio vuole portarci a casa. Egli non può accettare che ce ne
stiamo volontariamente in esilio, ma non può costringerci. Solo noi possiamo innalzare
le valli, spianare le montagne e i
colli, trasformare in piano il terreno accidentato; solo noi possiamo scegliere
di sgretolare gli ostacoli che ci separano da Dio. Lui ci cammina a fianco, ci
aspetta, rallenta con noi e accelera quando scappiamo, ma non può metterci
sulle Sue spalle, se non glielo consentiamo.
La Chiesa presta ancora la voce a Dio e ci invita a fermarci ad andare
al Giordano a lasciarci immergere nell’acqua. Il battesimo di Giovanni, è un semplice segno esteriore di un
cambiamento interiore e profondo; della scelta di lasciarsi raggiungere da Dio.
Non ha senso stare in esilio, quando si potrebbe liberamente tornare a
casa. E’ da sciocchi vivere lontani affamati e assetati, quando a casa c’è in
abbondanza cibo e bevanda gratuiti.
Non è tardi, se oggi ci rimettiamo in cammino, “davanti al Signore mille anni sono come un giorno solo e un giorno solo
come mille anni” (2Pt 3,8). Il tempo è relativo per Lui quando ci siamo di
mezzo noi; quando si tratta di salvare la Sua creatura.
Grazie Signore, perché ancora vuoi consolarci, nonostante la nostra
ostinazione. Fa che il Tuo grido rompa la nostra sordità e si trasformi in
passi concreti e veloci, verso casa.
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