LE CENERI
Ogni malattia necessita di una cura adeguata, altrimenti non si
guarisce. Ancor prima però è necessario riconoscere di cosa s’è ammalati.
La Quaresima è un tempo prezioso, un’opportunità che, se vissuta seriamente,
può cambiare il corso della propria storia. Perdonatemi, ma non è tempo di “fioretti”,
bensì di guerra.
Vi siete mai chiesti, perché san Francesco d’Assisi digiunavacosì
tanto; si vestiva da straccione; si buttava nudo nella neve; disprezzava il
denaro, tanto da calpestarlo? Io credo, perché Francesco era “ammalato” di
passione per il cibo buono e curato, per i vestiti belli e colorati; perché in
certi momenti sentiva un’attrazione violenta per la sensualità; perché sapeva
quale forza aveva il denaro su di lui che ne aveva visto passare tanto tra le
sue mani. Francesco aveva individuato con chiarezza ciò che gli impediva di
seguire e servire Dio con libertà e radicalità e lo combatteva senza esclusione
di colpi. Egli aveva compreso bene che “dov’è
il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21).
Per Francesco non è puro volontarismo e ricerca di una perfezione tutta
umana, ma una risposta all’amore che lo aveva sedotto. Egli potrebbe fare sue
la parole del Salmo: “Quanti prodigi hai
fatto, Signore Dio mio, quali disegni in nostro favore. Nessuno
a te si può paragonare. Se li voglio annunziare e proclamare sono troppi per
essere contati. Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non
hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: «Ecco, io vengo.
Sul rotolo del libro di me è scritto, di compiere il tuo volere. Mio Dio,
questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore» (Salmo
40,17s).
La Quaresima è tempo di libertà. Diventare liberi non significa fare ciò
che si vuole, diventando schiavi di se stessi, ma non avere padroni che ci
determinano: “L’uomo infatti è schiavo di
ciò che lo domina” (2Pt 2,19). La libertà del cristiano è, non consentire a
niente e a nessuno, costi quel che costi, di deviarci dal fare la volontà di
Dio.
Ecco allora che, iniziare la Quaresima, significa mettersi onestamente a
nudo davanti allo specchio, per guardarsi, conoscesi e decidere dove andare: “Conoscere la nostra … miseria non è così
scoraggiante. La conosciamo sotto lo sguardo misericordioso di Dio. Abbiamo la
lunga esperienza del nostro nulla. Tutta la nostra speranza è in Dio”(dal Diario di Raissa Maritain). Dobbiamo
metterci davanti allo specchio che è Cristo e riconoscere tutto ciò che, in
noi, è difforme da Lui; nello stesso tempo dobbiamo guardarci con gli occhi compassionevoli
di Cristo, altrimenti certe nostre brutture potranno farci disperare. Dio vuole
che ci riconosciamo per quello che siamo realmente, ma per lasciarci
trasformare, non per morirne. Questa è la differenza tra il pentimento, dono di
Dio e il senso di colpa: l’uno ci spinge a passi rapidi e concreti, per
cambiare, l’altro ci fa ripiegare inutilmente su noi stessi e ci fa morire di
tristezza.
Scrive Leon Bloy in un suo romanzo: “Non c’è che una sola vera tristezza: quella di non essere santi”(Leon
Bloy, La femme pauvre).
Scrive ancora Raissa Maritain: “Maturando,
il cuore impara a vedere la miseria degli altri con la stessa dolcezza con cui
vede la propria, e a sapere che essi si trovano, come noi, sotto lo sguardo
paterno e soccorrevole di Dio. Se da principio l’esperienza umana è amara, può
diventare, con l’aiuto di Dio, sorgente di dolcezza. Se no, condurrebbe l’anima
all’isolamento dell’orgoglio. Bisogna che l’anima sappia vivere con Dio solo.
Ma, se la sua solitudine è santa, quando ne uscirà “per conversare con gli
uomini”, porterà loro la soavità della divina Sapienza, dell’umiltà e della
pace” (Diario di Raissa). La Quaresima ci fa cristiani, quindi uomini
compiuti; la Quaresima fa degli uomini, cittadini del Regno di Dio e non esseri
compiaciuti della propria resistenza davanti ai dolci.
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