Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 10 febbraio 2018

Toccare e lasciarsi toccare



VI DOM T.O.

     Andrà gridando: “Impuro! Impuro! … se ne starà solo” (Lv 13,46). E’ drammatico: una persona ammalata è condannata alla solitudine e all’isolamento, perché è considerata un pericolo e un problema. Ciò che è più triste, è che, al tempo di Gesù, questa esclusione avveniva in nome di Dio.
     Perché?

     Perché la purità era la conditio sine qua non per entrare in relazione con Dio. Proprio per questo solamente il Sommo Sacerdote e solo una volta all’anno poteva entrare nel luogo più santo all’interno del tempio di Gerusalemme.
     Il messaggio è chiaro: se non sei puro, Dio non vuole che ti avvicini a Lui.
     Le persone che rientrano nelle categorie dell’esclusione, si convincono di meritare questa condizione; l’accettano e ne muoiono. Tra l’altro è evidente che, l’emarginato, si accompagna agli emarginati come lui, aggravando così la sua condizione.
     Anche qui il messaggio è chiaro: “Tu non meriti rispetto, tu sei uno scarto; tu non hai speranza, perché nemmeno Dio ti vuole”.
     Oggi invece assistiamo a un miracolo di una bellezza unica; no, non sto parlando della guarigione della carne, bensì dello spirito di quell’uomo. Oggi Gesù demolisce, con un semplice gesto, qualsiasi barriera preventiva che tenga qualcuno lontano, fuori.
     Il lebbroso evidentemente deve aver capito che Gesù ha portato una novità straordinaria, altrimenti non si sarebbe permesso di avvicinarsi e, invece di implorare la guarigione, avrebbe gridato: “Impuro!”. Il primo miracolo sta proprio qui, nel vedere riaccendere la speranza di un nuovo inizio. Questo però consente a Gesù, di allungare una mano e di toccarlo. Ecco il gesto rivoluzionario e terapeutico: una mano che tocca un corpo martoriato. Quella mano diventa un ponte che consente all’escluso di attraversare il muro di separazione. Molti anni fa ho incontrato una donna che per ben 25 anni aveva convissuto con il dramma di un aborto; non lo confessava, perché credeva di non avere mai più diritto al perdono. Le avevano detto che non c’era possibilità di redenzione. Fu poi condotta dalla Grazia in confessionale e la vita riprese. Stiamo attenti, quando diciamo a gli altri: “Dio non Ti vuole”, perché stiamo bestemmiando (Non nominare invano il nome di Dio).
     Gesù che è Dio, con “gesti e parole”, dice in maniera chiara e definitiva: “Tu sei degno”. Anzi a un certo punto, per non lasciare alcun dubbio a coloro che lo guardano stupiti perché frequenta i peccatori, proclama: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,12s).
     Ci scrive l’apostolo Giovanni; “Chi dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,4-6). Ecco allora che anche noi siamo chiamati a essere quelli della mano tesa; coloro che toccano e si lasciano toccare e, non di quelli che, fanno finta che la lebbra non esista e non consumi la carne degli uomini, lasciandoli così morire. Noi siamo chiamati a essere terapeuti e non omicidi.
     San Francesco, uomo evangelico, ha cominciato il suo cammino di conversione proprio andando oltre la barriera, fermandosi ad abbracciare un lebbroso. Lui stesso racconta: “quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d'animo e di corpo” (Testamento 1). Francesco è terapeuta per i lebbrosi, ma i lebbrosi sono terapeuti di Francesco.
     P. Lino “Una notte d’inverno una detenuta aveva appena partorito. Il freddo mordeva… Così Padre Lino infagotta il piccolo e, stringendolo al petto, passa di cancello in cancello, di guardia in guardia. Le strade sono deserte, i piedi scalzi sono trafitti dal gelo. Ma c’è una vita da salvare. Padre Lino sa dove dirigersi: bussa ad una casa di tolleranza: “Se non mi aiutate voi – sorelle – chi farà da madre a questa creatura, stanotte?” Le ragazze accetteranno e sceglieranno – per quella notte – di scaldare e vegliare l’innocente” (Bevilaqua, I fioretti di P. Lino).
     L’altro giorno uno dei frequentatori della nostra Mensa, straniero e musulmano, mi ha raccontato di come fosse stupito dal nostro comportamento; perché non li consideriamo solo un problema e non li scacciamo quando sbagliano. 
     Aiutaci Signore a essere quella Tua mano che tocca, accarezza e ridona vita là dove la morte cerca di farsi largo.

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