VI DOM T.O.
“Andrà gridando: “Impuro! Impuro! …
se ne starà solo” (Lv 13,46). E’ drammatico: una persona ammalata è
condannata alla solitudine e all’isolamento, perché è considerata un pericolo e
un problema. Ciò che è più triste, è che, al tempo di Gesù, questa esclusione
avveniva in nome di Dio.
Perché?
Perché la purità era la conditio
sine qua non per entrare in relazione con Dio. Proprio per questo solamente
il Sommo Sacerdote e solo una volta all’anno poteva entrare nel luogo più santo
all’interno del tempio di Gerusalemme.
Il messaggio è chiaro: se non sei puro, Dio non vuole che ti avvicini a
Lui.
Le persone che rientrano nelle categorie dell’esclusione, si convincono
di meritare questa condizione; l’accettano e ne muoiono. Tra l’altro è evidente
che, l’emarginato, si accompagna agli emarginati come lui, aggravando così la
sua condizione.
Anche qui il messaggio è chiaro: “Tu non meriti rispetto, tu sei uno
scarto; tu non hai speranza, perché nemmeno Dio ti vuole”.
Oggi invece assistiamo a un miracolo di una bellezza unica; no, non sto
parlando della guarigione della carne, bensì dello spirito di quell’uomo. Oggi
Gesù demolisce, con un semplice gesto, qualsiasi barriera preventiva che tenga
qualcuno lontano, fuori.
Il lebbroso evidentemente deve aver capito che Gesù ha portato una
novità straordinaria, altrimenti non si sarebbe permesso di avvicinarsi e,
invece di implorare la guarigione, avrebbe gridato: “Impuro!”. Il primo
miracolo sta proprio qui, nel vedere riaccendere la speranza di un nuovo inizio.
Questo però consente a Gesù, di allungare una mano e di toccarlo. Ecco il gesto
rivoluzionario e terapeutico: una mano che tocca un corpo martoriato. Quella mano
diventa un ponte che consente all’escluso di attraversare il muro di
separazione. Molti anni fa ho incontrato una donna che per ben 25 anni aveva
convissuto con il dramma di un aborto; non lo confessava, perché credeva di non
avere mai più diritto al perdono. Le avevano detto che non c’era possibilità di
redenzione. Fu poi condotta dalla Grazia in confessionale e la vita riprese. Stiamo
attenti, quando diciamo a gli altri: “Dio non Ti vuole”, perché stiamo bestemmiando
(Non nominare invano il nome di Dio).
Gesù che è Dio, con “gesti e parole”, dice in maniera chiara e
definitiva: “Tu sei degno”. Anzi a un certo punto, per non lasciare alcun dubbio
a coloro che lo guardano stupiti perché frequenta i peccatori, proclama: «Non sono i sani che hanno bisogno del
medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici.
Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,12s).
Ci scrive l’apostolo Giovanni; “Chi
dice: «Lo conosco», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e in lui non
c’è la verità. Chi invece osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è
veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui. Chi dice di rimanere
in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,4-6). Ecco
allora che anche noi siamo chiamati a essere quelli della mano tesa; coloro che
toccano e si lasciano toccare e, non di quelli che, fanno finta che la lebbra
non esista e non consumi la carne degli uomini, lasciandoli così morire. Noi
siamo chiamati a essere terapeuti e non omicidi.
San Francesco, uomo evangelico, ha cominciato il suo cammino di
conversione proprio andando oltre la barriera, fermandosi ad abbracciare un
lebbroso. Lui stesso racconta: “quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere
i lebbrosi e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi
misericordia. E allontanandomi da essi, ciò che mi sembrava amaro mi fu
cambiato in dolcezza d'animo e di corpo” (Testamento
1). Francesco è terapeuta per i lebbrosi, ma i lebbrosi sono terapeuti di
Francesco.
P. Lino “Una notte d’inverno una detenuta aveva appena partorito. Il freddo
mordeva… Così Padre Lino infagotta il piccolo e, stringendolo al petto, passa
di cancello in cancello, di guardia in guardia. Le strade sono deserte, i piedi
scalzi sono trafitti dal gelo. Ma c’è una vita da salvare. Padre Lino sa dove
dirigersi: bussa ad una casa di tolleranza: “Se non mi aiutate voi – sorelle –
chi farà da madre a questa creatura, stanotte?” Le ragazze accetteranno e
sceglieranno – per quella notte – di scaldare e vegliare l’innocente” (Bevilaqua,
I fioretti di P. Lino).
L’altro giorno uno dei frequentatori della
nostra Mensa, straniero e musulmano, mi ha raccontato di come fosse stupito dal
nostro comportamento; perché non li consideriamo solo un problema e non li
scacciamo quando sbagliano.
Aiutaci Signore a essere quella Tua mano
che tocca, accarezza e ridona vita là dove la morte cerca di farsi largo.
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