GIOVEDI’ SANTO
“Se mi avesse insultato un nemico,
l'avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi
sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci
legava una dolce amicizia” (Salmo 54,13ss). Queste parole drammatiche del
salmista,
si adattano molto bene alla vicenda di Gesù che, dopo avere trascorso
tre anni della Sua vita, fianco a fianco con dodici uomini, scelti da Lui, da
loro è tradito. Certo, Giuda è il traditore per eccellenza, ma anche gli altri,
seppure in modi diversi hanno lasciato che Gesù fosse consegnato nelle
mani di coloro che poi ne avrebbero fatto scempio. Ebbene si, quegli undici,
perché escludiamo Giovanni che è stato con Lui fino alla fine, Lo hanno
lasciato solo; non hanno fatto nulla affinché Gesù non fosse consegnato nelle
mani dei carnefici. Questo è tradire, al di là delle motivazioni.
“Nella notte in cui veniva
tradito prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo
è il mio corpo, che è per voi ”(1Cor 11,23); “Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, … di
tradirlo, Gesù, … si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano
e se lo cinse attorno alla vita” (Gv 13,2ss):
Ebbene la fedeltà di Dio non è
condizionata dalla nostra; non viene prima la nostra capacità di meritare il
dono, bensì il dono di Dio ci precede. Gesù ci ama così come siamo, nel nostro peccato,
nel bisogno che abbiamo di essere curati e guariti. Egli non fugge quando siamo
feriti dal nostro peccato, ma si ferma, ci tocca, ci cura. Non dobbiamo mai
temere di non essere degni di avvicinarci al Signore, perché Lui accetta di
mangiare con noi, così come siamo e di lavarci i piedi.
Ecco che oggi, noi celebriamo innanzitutto l’amore di Dio. Matteo, Marco
e Luca ci raccontano l’ultima cena attraverso il dono del pane e del vino che,
con chiarezza, sono il Suo corpo e Suo sangue; Giovanni invece narra la lavanda
dei piedi. I due segni dicono la stessa verità: Dio cura con l’amore; un amore
che non è emozione, sentimento passeggero, ma fatti impegnativi: “Non c’è amore più grande di questo, dare la
vita per i propri amici”.
Per amore Dio non ha paura di nascondere la
Sua onnipotenza sotto un corpo debole, come ogni corpo umano; non teme di
compiere ciò che a nessun ebreo sarebbe mai stato chiesto (lavare i piedi); non
si lascia bloccare dalla paura dell’umiliazione e del dolore della passione.
Non dimentichiamolo: la passione di Gesù è stata una barbara violenza fisica e
psicologica. Pensate che solo la flagellazione ha portato 200 colpi che hanno
dilaniato il corpo del Signore.
Oggi Gesù dona la Sua vita per noi e ci lascia i doni del Suo amore:
-
l’Eucaristia,
dove Lui è realmente presente e realizza la promessa di essere con noi tutti i
giorni, fino alla fine del mondo. L’Eucaristia rimane ancora il farmaco di cui
abbiamo bisogno, perché ci innesta in Cristo, come i tralci alla vite. Qui
impariamo a fare ciò che Lui ha fatto e qui riceviamo la grazia necessaria per
compierlo;
-
i
pastori: ci affida a essi, non perché sono uomini perfetti, ma perché con la
Sua grazia, e con gli strumenti che il Padre gli ha affidati, possano curarci e
guarirci;
-
l’impegno
a farci servi gli uni degli altri. Uomini e donne che, vogliono amare come il
Signore ama. Cos’è il nostro cammino, se non un continuo lavoro su noi stessi,
affinché la grazia ci trasformi, facendo di noi un segno trasparente della
presenza di Gesù, qui e ora? Gesù ci mostra che l’ostacolo più ingombrante per
realizzare l’amore è la preoccupazione per noi stessi. Oggi il Signore ci
chiede di “essere un tenero fratello”,
con chiunque incontriamo e questo “significherà
dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno … sarà non prestabilire ciò che si può
fare e ciò che non si può fare . Sarà vedere nei peccatori, dei “fratelli che
non sanno cosa fanno” e serbar loro il miglior calore del nostro cuore. … (Sarà) la gioia di essere posti a un crocicchio
di vita, pronti ad amare chi passa e attraverso di lui tutto quanto nel mondo è
sofferente, offuscato o smarrito. … (Sarà, sapere) che per trovare dei “perduti” bisogna quasi sempre rischiare di perdere
il proprio cammino natio” (Madeleine Delbrel, La gioia di credere).
Appetĕre, ad-petĕre, significa chiamare a sé, cercar di
ottenere; prendere è ciò che
sappiamo fare molto spontaneamente, ciò che dobbiamo imparare a fare è il suo
contrario: la maturità sta nella capacità di consegnar-si.
Signore, donaci la grazia di amare come Tu ami; di essere quella mano,
con la quale vuoi toccare i nostri fratelli; quegli occhi attraverso i quali
puoi donare uno sguardo di tenerezza; quegli orecchi, che ti consentono di
ascoltare le ansie e le gioie di coloro
che incontriamo; quella bocca, con cui puoi rispondere alle domande che abbiamo
nel cuore.
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