Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

venerdì 30 marzo 2018

Lasciati lavare i piedi


GIOVEDI’ SANTO
    
     Se mi avesse insultato un nemico, l'avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto.  Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia” (Salmo 54,13ss). Queste parole drammatiche del salmista,
si adattano molto bene alla vicenda di Gesù che, dopo avere trascorso tre anni della Sua vita, fianco a fianco con dodici uomini, scelti da Lui, da loro è tradito. Certo, Giuda è il traditore per eccellenza, ma anche gli altri, seppure in modi diversi hanno lasciato che Gesù fosse consegnato nelle mani di coloro che poi ne avrebbero fatto scempio. Ebbene si, quegli undici, perché escludiamo Giovanni che è stato con Lui fino alla fine, Lo hanno lasciato solo; non hanno fatto nulla affinché Gesù non fosse consegnato nelle mani dei carnefici. Questo è tradire, al di là delle motivazioni.
     Nella notte in cui veniva tradito prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi (1Cor 11,23); “Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, … di tradirlo, Gesù, … si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita” (Gv 13,2ss):
     Ebbene la fedeltà di Dio non è condizionata dalla nostra; non viene prima la nostra capacità di meritare il dono, bensì il dono di Dio ci precede. Gesù ci ama così come siamo, nel nostro peccato, nel bisogno che abbiamo di essere curati e guariti. Egli non fugge quando siamo feriti dal nostro peccato, ma si ferma, ci tocca, ci cura. Non dobbiamo mai temere di non essere degni di avvicinarci al Signore, perché Lui accetta di mangiare con noi, così come siamo e di lavarci i piedi.  
     Ecco che oggi, noi celebriamo innanzitutto l’amore di Dio. Matteo, Marco e Luca ci raccontano l’ultima cena attraverso il dono del pane e del vino che, con chiarezza, sono il Suo corpo e Suo sangue; Giovanni invece narra la lavanda dei piedi. I due segni dicono la stessa verità: Dio cura con l’amore; un amore che non è emozione, sentimento passeggero, ma fatti impegnativi: “Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”.
    Per amore Dio non ha paura di nascondere la Sua onnipotenza sotto un corpo debole, come ogni corpo umano; non teme di compiere ciò che a nessun ebreo sarebbe mai stato chiesto (lavare i piedi); non si lascia bloccare dalla paura dell’umiliazione e del dolore della passione. Non dimentichiamolo: la passione di Gesù è stata una barbara violenza fisica e psicologica. Pensate che solo la flagellazione ha portato 200 colpi che hanno dilaniato il corpo del Signore.
     Oggi Gesù dona la Sua vita per noi e ci lascia i doni del Suo amore:
-          l’Eucaristia, dove Lui è realmente presente e realizza la promessa di essere con noi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. L’Eucaristia rimane ancora il farmaco di cui abbiamo bisogno, perché ci innesta in Cristo, come i tralci alla vite. Qui impariamo a fare ciò che Lui ha fatto e qui riceviamo la grazia necessaria per compierlo;
-          i pastori: ci affida a essi, non perché sono uomini perfetti, ma perché con la Sua grazia, e con gli strumenti che il Padre gli ha affidati, possano curarci e guarirci;
-          l’impegno a farci servi gli uni degli altri. Uomini e donne che, vogliono amare come il Signore ama. Cos’è il nostro cammino, se non un continuo lavoro su noi stessi, affinché la grazia ci trasformi, facendo di noi un segno trasparente della presenza di Gesù, qui e ora? Gesù ci mostra che l’ostacolo più ingombrante per realizzare l’amore è la preoccupazione per noi stessi. Oggi il Signore ci chiede di “essere un tenero fratello”, con chiunque incontriamo e questo “significherà dare a ciascuno ciò di cui ha bisogno … sarà non prestabilire ciò che si può fare e ciò che non si può fare . Sarà vedere nei peccatori, dei “fratelli che non sanno cosa fanno” e serbar loro il miglior calore del nostro cuore. … (Sarà) la gioia di essere posti a un crocicchio di vita, pronti ad amare chi passa e attraverso di lui tutto quanto nel mondo è sofferente, offuscato o smarrito. … (Sarà, sapere) che per trovare dei “perduti” bisogna quasi sempre rischiare di perdere il proprio cammino natio” (Madeleine Delbrel,  La gioia di credere).

     Appetĕre, ad-petĕre, significa chiamare a sé, cercar di ottenere; prendere è ciò che sappiamo fare molto spontaneamente, ciò che dobbiamo imparare a fare è il suo contrario: la maturità sta nella capacità di consegnar-si.
     Signore, donaci la grazia di amare come Tu ami; di essere quella mano, con la quale vuoi toccare i nostri fratelli; quegli occhi attraverso i quali puoi donare uno sguardo di tenerezza; quegli orecchi, che ti consentono di ascoltare le ansie e le gioie di  coloro che incontriamo; quella bocca, con cui puoi rispondere alle domande che abbiamo nel cuore.

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