NATIVITA’ DI S. G. BATTISTA
“È troppo poco che tu sia mio servo per restaurare
le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti d'Israele. Io ti renderò luce
delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all'estremità della terra» (Is 49,6). Mi colpiscono
queste parole, perché qui è espresso con chiarezza il desiderio di Dio che la
salvezza giunga ovunque e tocchi ogni essere umano. Lo ribadisce anche san
Paolo: “(Dio) vuole che tutti gli uomini
siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (1Tm 2,4).
Ciò che salva l’uomo e la storia è
innanzitutto una comprensione vera e
profonda dei mali che li affliggono, altrimenti la cura sarà inadeguata o
inefficace. Bisogna poi che sia chiaro il principio non nova sed novae, ossia non bisogna continuare solamente
ad affannarsi a cercare strutture nuove, ma vivere in esse in modo nuovo. Le cose nuove le possono fare tutti, ma per farle in modo nuovo, bisogna
essere nuovi, rinnovati. Troppo spesso crediamo che per cambiare le cose,
bisogna mutare le strutture, dimenticando che gli uomini “vecchi” posti nelle
strutture nuove, continuano a non farle funzionare. E’ l’uomo nuovo, dal cuore
nuovo, toccato dalla grazia, che fa nuove tutte le cose, anche quelle vecchie.
Domenica scorsa abbiamo pregato dicendo: “c’è più amore e giustizia ogni volta che la tua parola fruttifica nella
nostra vita” (Colletta XI domenica del tempo ordinario). Quando la Parola
di Dio penetra in profondità in noi e germoglia, tutta la realtà intorno a noi ne trae beneficio.
Ci sembrano parole scontate, in realtà in un tempo come il nostro così
ferito dall’individualismo, sono fortemente provocatorie. L’individualista
infatti ha principalmente, se non esclusivamente, interesse per la propria
sorte, sicurezza, successo, ecc … anche a livello spirituale. Molti, purtroppo,
fanno una specie di cammino spirituale, ma per se stessi, per la propria
salvezza, per il proprio benessere, dimenticando che “nessuno si salva da solo. Siamo comunità di credenti, siamo Popolo di Dio e
in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un
amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere
“canali” della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i
nostri peccati” (Papa Francesco, catechesi
del mercoledì, 15 gennaio 2014). La salvezza dei fratelli è la vocazione di
ciascuno di noi. Siamo cristiani, non buddisti. Il nostro fine non è solo il
superamento del dolore, frustrazione e sofferenza personale, ma camminare
insieme all’altro affinché il suo dolore, la sua sofferenza e frustrazione
possano essere lenite dall’incontro con Cristo. Il nostro sguardo non è
centrato su noi stessi, ma su Dio e, con Lui sui fratelli. Per questo non cerchiamo Dio solo per chiedere e
prendere, ma anche per dare. Chi è toccato dal Signore; chi fa esperienza di
Lui, non può trattenere solo per sé i Suoi doni; non può che condividerli e
comunicarli.
Certo, il cammino spirituale personale è
necessario, perché tanto più il Signore riuscirà a curarci, tanto più,
attraverso ognuno di noi potrà curare gli altri. Giovanni Battista è l’esempio
lampante. Attraverso di lui, Dio ha potuto risvegliare il cuore di tanta gente.
Quanti hanno trovato in questo ruvido profeta un senso nuovo al proprio
desiderio di autenticità?
Credo fermamente nel motto non nova sed novae, ma nel contempo
ritengo anche che, dove giunge Dio, arriva l’originalità, la novità, la
fantasia ecc … Dio riesce a introdurre nella storia la Sua unicità. Nelle
famiglie ebraiche i figli dovevano prendere il nome di un familiare, invece
Elisabetta e Zaccaria hanno avuto il coraggio di scandalizzare, rompendo con la tradizione. Anche il Battista ha faticato e non poco a riconosere il Messia in Gesù, perché era troppo diverso da come se lo aspettava, eppure a un certo punto non ha più avuto dubbi. La comunità
cristiana è riuscita a innovare in tutti i campi della realtà umana, grazie al
genio personale di tanti uomini e donne, ma anche soprattutto all’ispirazione
divina.
Dice
san Paolo: “annunciare il
Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: Guai a me se non
annunziassi il Vangelo” (1Cor 9,16); questo grido,
deve oggi risuonare anche nell’anima di tutta la Chiesa, in tutti i suoi
membri. Cito le parole di una bellissima nota pastorale del cardinal Giacomo
Biffi: “Se il demonio è indubbiamente
all’opera, all’opera con una energia che alla fine sarà vincente, c’è anche lo
Spirito Santo. Insomma l’umanità mi appare sempre più come il teatro di una
tensione drammatica e di una guerra che non consente a nessuno di restare
spettatore sorridente e inattivo. … Le esitazioni e gli indugi non sono più
consentiti: guai a noi se la nostra pigrizia e i nostri reciproci malintesi o i
nostri trastulli ideologici impedissero all’annuncio del Salvatore e della
salvezza di risonare nella città degli uomini con voce più chiara e più forte” (Giacomo
Card. Biffi, Guai a me …, 2-3; pag 5-7).
Signore, non permettermi di stare
ripiegato su di me; che io non sia “uno spettatore sorridente e inattivo”, ma
mosso dalla Tua Grazia, siamo un docile strumento di salvezza per tutti.
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