XXXI DOM. T. O.
Quando dobbiamo fare qualcosa per Dio, secondo le Sue richieste, spesso
ci lamentiamo, perché ci sembra tutto troppo impegnativo; quando invece
dobbiamo fare qualcosa secondo il nostro gusto, nessuno sforzo ci sembra
eccessivo (per ex. digiunare nei tempi penitenziali, no, ma per dimagrire, si).
“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua
anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza” (Mc
12,30), ci sembra molto difficile, quasi impossibile, ma in realtà, se ci
soffermiamo solo un attimo, ci accorgiamo che l’amore vero è sempre così:
coinvolge tutto di noi stessi. Quando amiamo qualcuno, niente di noi rimane
escluso: non il corpo, non la psiche, non i sentimenti, non la volontà; tutto
ciò che ci appartiene viene messo in gioco. Il Signore ci chiede di essere
tirato fuori da quello sciocco gioco di parole che dice: “Ti amo, ma …”; parole
facili che non trovano riscontro nella vita. Oggi tante realtà vengono chiamate
amore, ma con l’amore non hanno nulla a che spartire, spesso non solo altro che varie declinazioni
dell’egoismo egocentrico.
Il Signore non ci chiede altro che di
essere amato e di non lasciarLo relegato nell’angolo dei conoscenti, di coloro
che si conoscono per sentito dire e, di lasciarGli spazio nella parte più
profonda di noi stessi.
L’amore nasce dalla conoscenza e la
conoscenza è frutto della relazione. Per questo il primo comandamento è:
“Ascolta”. Si ascolta qualcuno che parla. Ecco cosa desidera il Signore. Dall’ascolto
nasce l’obbedienza. Infatti “obbedire” deriva dal latino ob – dinanzi e audire
- ascoltare. E’ questo che
Gesù ricorda a Pietro subito dopo la grande confessione di Cesarea: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né
la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16,17). Nello
stesso senso, è esemplare l’incontro di Gesù con le sorelle Marta e Maria, a
Betania. Maria si è accoccolata ai piedi di Gesù, prefigurando l’atteggiamento
dell’ascolto, Marta invece, indaffarata in cucina, era distante dall’ospite.
L’ascolto è ospitalità che consente a Dio di penetrare nella nostra intimità.
“Parla,
Signore, perché il tuo servo ti ascolta” (1 Sam, 3, 9). Questa è la risposta
che il vecchio Eli insegna al giovane Samuele (1Sam 3,1-10;19s). Nella scuola
dell’ascolto abbiamo bisogno di essere orientati; abbiamo bisogno di qualcuno
che ci aiuti a capire se siamo in ascolto e di chi siamo in ascolto: noi
stessi, gli altri, Dio? Ognuna di queste forme d’ascolto ha un nome: autonomia,
eteronomia, teonomia.
E’ più facile dire: “A te grido,
Signore, mia roccia, con me non tacere: se tu non mi parli, sono come chi
scende nella fossa” (Salmo 28,1)
che, riconoscere di essere indisponibili all’ascolto o incapaci di percepire il
linguaggio di Dio. Egli però non cessa di cercare le vie possibili per
continuare a parlare con noi, perché sa benissimo che, meno ascoltiamo, più
percorriamo le nostre vie e non le Sue vie e, più ci avviamo velocemente verso
la rovina.
Gesù è molto chiaro: “Chiunque
viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è
simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo
e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella
casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. Chi invece ascolta e
non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra,
senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di
quella casa fu grande» (Lc 6,47s). L’ascolto pone le fondamenta per una
vita solida; non priva di fatica, rischi, delusioni, dolori, ma solida. Su
entrambi i tipi di abitazioni si abbatte la tempesta, sotto entrambi la terra
trema, l’unica differenza è il modo in cui si resiste alla prova. La scelta di
ascoltare e seguire il Signore non ci risparmia la sofferenza, ma ci dà la
capacità di viverla nella fiducia.
La voce di Dio va ascoltata, anche perché Lui è l’unico che conosce
pienamente l’uomo e che conosce personalmente ciascuno di noi e la parola che
ci dice è quella che ci è necessaria. Egli non parla sopra le nostre teste, non
parla al vento, ma a me e a te. E’ una parola che vuole consolare, edificare,
correggere, provocare, curare, chiamare ecc …
Da quest’incontro profondo scaturisce inevitabilmente l’amore per il
prossimo. L’altro è la prova dell’amore per Dio: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: «Io amo Dio»
e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che
vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da
lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1Gv 4,19ss).
Insegnami Signore ad allargare lo spazio della mia tenda, così che Tu vi
possa trovare casa. Entra e parla al mio cuore; feriscilo con la spada della
Tua parola, così che possa essere purificato da tutto ciò che mi impedisce di
vivere in pienezza.
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