Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 18 dicembre 2018

4 - Catechesi a partire da Pinocchio


II b
Dalla omologazione alla conversione

   A differenza di Mastro Ciliegia, Geppetto vuole fare di quel pezzo di legno “un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirar di scherma e far salti mortali”. Dio non omologa, ma crea soggetti originali e unici.
     Alla schiavitù dell’omologazione i cristiani possono rispondere con la libertà che viene dal Vangelo. 
Gesù, Dio che si è fatto uomo, ha vissuto la libertà del Vangelo, “rompendo” con tante tradizioni incompatibili con la volontà di Dio: l’esclusione di alcune categorie di persone; la libertà sul cibo; il recupero dei peccatori; la vera comprensione del Sabato ecc … - ne ha pagato le conseguenze - e ha lasciato in eredità alla Sua Chiesa quella medesima libertà costosa. Costosa, perché, se l’omologazione spiana la strada, la libertà nella verità, trova continuamente ostacoli che richiedono scelte precise.
     L’omologazione conduce a sopprimere ogni confine col mondo, cioè spinge ad accogliere e a identificarsi totalmente con la cultura dominante, con i suoi scopi e le sue regole, senza alcuna riserva od obiezione. Scrive Benedetto XVI: “Nello sviluppo storico della Chiesa si manifesta, però, anche una tendenza contraria: quella cioè di una Chiesa soddisfatta di se stessa, che si accomoda in questo mondo, è autosufficiente e si adatta ai criteri del mondo”.[1]
     Seneca aggiunge: “Non c'è dunque nulla di peggio che seguire, come fanno le pecore, il gregge di coloro che ci precedono, perché essi ci portano non dove dobbiamo arrivare, ma dove vanno tutti. Questa è la prima cosa da evitare. Niente c'invischia di più in mali peggiori che l'adeguarci al costume del volgo, ritenendo ottimo ciò che approva la maggioranza, e il copiare l'esempio dei molti, vivendo non secondo ragione ma secondo la corrente. Da qui questo enorme affollarsi di persone che rovinano le une sulle altre. Come in una grande massa di uomini, in cui ciascuno, spingendo, cade e fa cadere (nessuno infatti cade senza tirarsi addosso almeno un altro, e i primi nuocciono a quelli che gli vanno dietro), così avviene in tutti i campi della vita: nessuno sbaglia a suo esclusivo uso e consumo, ma ciascuno di noi è artefice e responsabile anche degli errori degli altri. E’pericoloso appoggiarsi a quelli che ci camminano davanti, ma noi, come preferiamo affidarci alle opinioni altrui piuttosto che giudicare con la nostra testa, così anche intorno alla vita non formuliamo mai dei giudizi personali, sicché l'errore, passando di mano in mano, c'incalza, ci travolge e ci butta giù, con nostra grande rovina … Ma di fronte alla felicità non possiamo comportarci come nelle votazioni, accodandoci alla maggioranza, perché questa proprio per il fatto di essere la maggioranza è peggiore. I nostri rapporti con le vicende umane non sono infatti così buoni da poterci indurre a ritenere che il meglio stia dalla parte dei più, perché la folla testimonia esattamente il contrario, che cioè il peggio, per l'appunto, sta lì. Sforziamoci dunque di vedere e di seguire non i comportamenti più comuni ma cosa sia meglio fare, non ciò che è approvato dal volgo, pessimo interprete della verità, ma ciò che possa condurci alla conquista e al possesso di una durevole felicità. Per volgo intendo sia chi indossa il mantello sia chi porta la corona: io non bado all'apparenza delle vesti che coprono i corpi, non giudico un uomo con gli occhi, dei quali non mi fido, c'è in me una luce migliore e più sicura con cui distinguo il vero dal falso: è l'anima che deve trovare quel bene che solum è suo”.[2]

«Voi siete nel mondo … »
    
     È innegabile che la nostra esistenza si svolga in questo mondo, in un tempo e in circostanze che noi non abbiamo potuto scegliere. Il mondo è in questo senso una base irrinunciabile della «condizione umana». Siamo per così dire «caduti» in questo tempo e in questo mondo con la sua bellezza e le sue chance, ma anche con le sue ambiguità e tentazioni. «Mondo» è sotto un primo aspetto una «cornice neutrale» nella quale noi ci troviamo semplicemente per adempiere gli obblighi della nostra vita.
     Leggiamo uno stralcio della Lettera a Diogento di autore ignoto: “Cristiani infatti non si distinguono dagli altri uomini né per patria, né per lingua, né per nazionalità; giacché non è che abitino in città a sé o si servano d'un linguaggio speciale o conducano un genere singolare di vita. Né certo hanno trovato tale dottrina per cura e investigazione d'uomini curiosi, sostenendo, come certuni fanno, un sistema filosofico umano . Invece risiedono tanto in
città greche che barbare, secondo che ciascuno abbia avuto in sorte, e  osservanti delle costumanze locali quanto al mangiare, al vestire e al rimanente della vita esterna danno esempio di una forma meravigliosa e veramente incredibile di costituzione sociale interna. Abitano la loro patria, ma come gente che vi si trovi di passaggio; partecipano di tutti gli oneri pubblici come cittadini e sopportano ogni persecuzione come stranieri, ogni paese straniero è patria per loro e ogni patria come terra straniera. Si sposano come tutti gli altri, fanno figliuoli, ma non espongono i neonati. Apparecchiano una mensa comune, ma pura. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Vivono secondo le leggi stabilite, ma con la loro condotta morale avanzano le leggi. Amano tutti e da tutti sono perseguitati. Li si condanna e non li si conosce; son uccisi ed è per essi come se si dia loro la vita. Son poveri e fanno ricchi gli altri, son privi di tutto ed hanno a sufficienza d'ogni cosa. Vengono disprezzati e gli spregi si trasformano loro in gloria; s'impreca contro di essi e pur si è costretti a render loro giustizia. Vengono ingiuriati e benedicono, s'insolentisce contro di loro e ricambiano con parole gentili”.[3]
    Come rapportarsi allora a questo mondo?         Considerando il Vangelo dobbiamo costatare che l’omologazione non può essere conforme alla volontà del Signore. Secondo le parole di Gesù però  il mondo rifiuta, anzi, odia le persone che non gli appartengono, che non sono «sue», che non condividono le sue regole e la sua prassi di vita. Seguendo il loro Maestro i discepoli di Gesù devono sapere che rischiano incomprensione e sofferenza:

Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Gv 15, 19).

Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d'incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l'educazione ricevuta” (Sap 2,12).

Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Gv 17,14). Il

          Siamo diventati tutti testimoni negli ultimi tempi delle persecuzioni e dell’uccisione di tanti cristiani in vari paesi del mondo. Abbiamo visto le immagini della distruzione di chiese e istituzioni cattoliche e il sacrificio di tante vite umane innocenti.
     Perché un certo mondo reagisce in questo modo di fronte alla persona di Gesù e ai suoi discepoli?
     L’ultima risposta è quella - data nel Vangelo - una certa parte del mondo, non conosce il «nome» di Gesù che significa «Dio salva», e non conosce neppure il Padre che lo ha mandato nel mondo (Gv 15, 21), non vuole accettare la missione redentrice del Figlio di Dio, ma soprattutto non vuole che Egli metta in discussione certi stili di vita. Scrive il cardinal Biffi: “La parola dei profeti penetra a fatica la scorza del cuore. E’ aspra, pungente, inquietante, dolorosa. La Parola di Dio, sta scritto, è come una spada a due tagli  e perciò, a meno di lasciarla inerte nel fodero, incide e fa sanguinare. … Il vero profeta sa che la sua, più che quella degli altri, è una strada disagevole e votata all’insuccesso umano.  … Il vero profeta di solito mette in crisi ogni vita ecclesiale troppo tranquilla, compiaciuta o rassegnata che sia, e si trova in contrasto con gli abiti mentali acquisiti. Ma si trova ugualmente in contrasto con le idee di moda, con gli idoli imperanti, con i nuovi verbi che godono subito dell’entusiastica approvazione della folla. Diversamente non si rivelerebbe l’originalità dello Spirito, ma si avrebbe il passaggio da un conformismo a un altro. … Non è  importante, in rapporto all’autenticità, che il profeta sia in anticipo sui tempi e dica prima ciò che tutti in seguito ripeteranno. Non basta lanciarli prima degli altri perché dei ragli diventino profezie”.[4]   

3. «Voi siete per il mondo!»

     La Chiesa e i discepoli del Signore per paura della omologazione non possono ritirarsi dal mondo, anzi devono fare il contrario, standoci in maniera diversa. Perché rimane valido il mandato missionario di Gesù riportato nello stesso Vangelo di Giovanni: “Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi” (Gv 20,21). 
     Ascoltiamo una profezia di Ratzinger del 1969: “Il futuro della Chiesa può venire e anche oggi verrà solo dalla forza di coloro, che hanno profonde radici e vivono con una pienezza pura della loro fede. Esso non verrà da coloro che prescrivono soltanto ricette … da coloro che di volta in volta si adeguano al momento che passa … da coloro che criticano soltanto gli altri, ma che ritengono se stessi una misura infallibile … da coloro che scelgono solo il cammino più comodo, che evitano la passione della fede e che dichiarano falso e sorpassato, tirannia e legalismo tutto ciò che impone sacrifici all’uomo e lo obbliga ad abbandonare se stesso. Diciamo questo in forma positiva: anche questa volta, come sempre, il futuro della Chiesa verrà fuori dai nuovi santi”. I martiri e i santi sono i più luminosi esempi di libertà, perché non si sono lasciati piegare, nemmeno dalla paura della morte e della sofferenza: “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,31-38).

     “E dunque da uomini, la cui capacità di percezione va al di là delle frasi e proprio per questo sono moderni. Da uomini, che sanno vedere più lontano degli altri, perché la loro vita abbraccia spazi più ampi. … Se oggi ci è difficile percepire ancora Dio, questo dipende dal fatto che ci è diventato troppo facile evitare noi stessi e fuggire davanti alla profondità della nostra esistenza nello stordimento di una qualsiasi comodità. Se è vero che si vede bene solo con il cuore come siamo ciechi noi tutti! Che cosa significa questo per la nostra questione? Significa che le grandi parole di quelli che ci profetizzano una Chiesa senza Dio e senza fede, sono vuota chiacchiera. Una Chiesa , che celebra il culto dell’azione in “preghiere” politiche, non ci serve. E’ del tutto superflua. E per questo tramonterà da sé. Rimaniamo la Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa, che crede in Dio che si è fatto uomo e che ci promette la vita oltre la morte. Parimenti il prete, che sia soltanto un funzionario sociale, può essere sostituito da psicoterapeuti e da altri specialisti. Ma sarà ancora necessario il prete, che non è specialista, che non tiene se stesso fuori gioco, quando per ragioni d’ufficio dà consigli, ma che in nome di Dio si mette a disposizione degli uomini e per essi è nella loro tristezza, nella loro gioia, nella loro speranza e nella loro angoscia.
     Procediamo oltre. Anche questa volta dalla crisi di oggi verrà fuori domani una Chiesa, che avrà perduto molto. Essa diventerà più piccola, dovrà ricominciare tutto da capo. Essa non potrà più riempire molti degli edifici, che aveva eretto nel periodo della congiuntura alta. Essa, oltre che perdere degli aderenti numericamente, perderà anche molti dei suoi privilegi nella società. Essa si presenterà in modo molto più accentuato di un tempo come la comunità della libera volontà, cui si può accedere solo per il tramite di una decisione. Essa come piccola comunità solleciterà molto più fortemente l’iniziativa dei suoi singoli membri. Certamente essa conoscerà anche nuove forme di ministero e ordinerà sacerdoti dei cristiani provati, che esercitano una professione: in molte delle comunità più piccole e in gruppi sociali omogenei la cura d’anime sarà normalmente esercitata in questo modo. Ma accanto a queste forme sarà indispensabile la figura principale del prete, che esercita il ministero come lo ha fatto finora. Ma, nonostante tutti questi cambiamenti che si possono presumere, la Chiesa troverà di nuovo e con tutta l’energia ciò che le è essenziale, ciò che è sempre stato il suo centro: la fede nel Dio unitrino, in Gesù Cristo, il Figlio di Dio fattosi uomo, nell’assistenza dello Spirito, che durerà fino alla fine. Essa riconoscerà di nuovo nella fede e nella preghiera il suo proprio centro e sperimenterà di nuovo i sacramenti come servizio divino e non come un problema di struttura liturgica.
     Sarà una Chiesa interiorizzata, che non mena vanto del suo mandato politico e non flirta né con la sinistra né con la destra. Esso farà questo con fatica. Il processo infatti della cristallizzazione e della chiarificazione le costerà anche talune buone forze. La renderà povera, la farà diventare una Chiesa dei piccoli. Il processo sarà tanto più difficile, in quanto dovrà essere segregata da una parte una mentalità da setta, dall’altra un tronfio arbitrio. Si può prevedere che tutto questo richiederà del tempo. Il processo sarà lungo e faticoso  … Ma dopo la prova di queste divisioni uscirà da una Chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini infatti saranno indicibilmente solitari in un mondo totalmente pianificato. Essi sperimenteranno, quando Dio sarà per loro interamente sparito, la loro totale e spaventosa povertà. Ed essi scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo. Come una speranza, che li riguarda, come una risposta a domande, ch’essi da sempre di nascosto si sono poste. A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico … ma la Chiesa della fede. Certo essa non sarà mai più la forza dominante della società, nella misura in cui lo era fino a poco tempo fa. Ma la Chiesa conoscerà una nuova fioritura e apparirà agli uomini come la patria, che ad essi dà vita e speranza oltre la morte”.[5]

     Ai cristiani spetti un compito profetico. Il mandato missionario deve essere adempiuto con una chiara e credibile presentazione della visione cristiana di Dio, dell’uomo e del mondo. All’annuncio evangelico però deve corrispondere una vita evangelica con le sue chiare «regole» di vita.
     Ascoltiamo le parole di Benedetto XVI: “Da decenni assistiamo a una diminuzione della pratica religiosa, constatiamo un crescente distanziarsi di una parte notevole di battezzati dalla vita della Chiesa. Emerge la domanda: la Chiesa non deve forse cambiare? Non deve forse, nei suoi uffici e nelle sue strutture, adattarsi al tempo presente, per raggiungere le persone di oggi che sono alla ricerca e in dubbio?
     Alla beata Madre Teresa fu richiesto una volta di dire quale fosse, secondo lei, la prima cosa da cambiare nella Chiesa. La sua risposta fu: Lei ed io!
     Questo piccolo episodio ci rende evidenti due cose: da un lato, la religiosa intende dire all’interlocutore che la Chiesa non sono soltanto gli altri, non soltanto la gerarchia, il Papa e i Vescovi: Chiesa siamo tutti noi, i battezzati. Dall’altro lato, essa parte effettivamente dal presupposto: sì, c’è motivo per un cambiamento. Esiste un bisogno di cambiamento. Ogni cristiano e la comunità dei credenti nel suo insieme sono chiamati a una continua conversione.
… Come dice Papa Paolo VI, “cerca di modellare se stessa secondo il tipo che Cristo le propone, avviene che la Chiesa si distingue profondamente dall'ambiente umano, in cui essa pur vive, o a cui essa si avvicina” (Lettera enciclica Ecclesiam suam, 60). Per compiere la sua missione, essa dovrà anche continuamente prendere le distanze dal suo ambiente, dovrà, per così dire, essere distaccata dal mondo. 
     Per corrispondere al suo vero compito, la Chiesa deve sempre di nuovo fare lo sforzo di distaccarsi da questa sua secolarizzazione e diventare nuovamente aperta verso Dio. Con ciò essa segue le parole di Gesù: “Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo” (Gv 17,16), ed è proprio così che Lui si dona al mondo. In un certo senso, la storia viene in aiuto alla Chiesa attraverso le diverse epoche di secolarizzazione, che hanno contribuito in modo essenziale alla sua purificazione e riforma interiore.
    Le secolarizzazioni infatti – fossero esse l’espropriazione di beni della Chiesa o la cancellazione di privilegi o cose simili – significarono ogni volta una profonda liberazione della Chiesa da forme di mondanità … Può nuovamente vivere con più scioltezza la sua chiamata al ministero dell’adorazione di Dio e al servizio del prossimo”. [6]
     Così inizia la lettera di Giustino a Diogneto: “Purìficati … da tutti i ragionamenti che prima possedevano il tuo intelletto, svestiti dell'abitudine che ti fa velo, divieni come da principio un uomo nuovo per farti discepolo d'una dottrina che (come tu stesso hai confessato) pure è nuova”.















[1] Benedetto XVI, Discorso a Friburgo 25 settembre 2011

[2] L. A. Seneca, La felicità I

[3]  Lettera a Diogneto, 5
[4] G. Biffi, Quando ridono i cherubini, 34-35

[5] Joseph Ratzinger, 1969, Fede e Futuro

[6] Benedetto XVI, Discorso a Friburgo 25 settembre 2011

[7]

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