Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 16 dicembre 2018

Posso cambiare


III DOM. AVV.

     Giovanni il Battista che, domenica scorsa ci ha detto: “Preparate la via del Signore,
raddrizzate i
suoi sentieri!” (Lc 3,4), oggi ribadisce: “Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: «Abbiamo Abramo per padre!» ((Lc 3,8).

     Quante volte ci siamo sentiti dire o noi stessi abbiamo detto: “Io sono fatto così!”. Quante volte abbiamo detto di qualcuno: “E’ fatto così”;  quasi a giustificazione di una impossibilità personale o altrui di cambiare. E’ evidente che siamo condizionati dalla nostra struttura genetica, dalla storia familiare, dal contesto culturale in cui viviamo, dalle esperienze, ma noi rimaniamo innanzitutto esseri liberi che, pur segnati da quanto detto, possono diventare anche altro. La conversione a cui ci chiama Giovanni Battista indica proprio questo, un processo che inizia e che non cessa fino alla fine della nostra vita. Non si tratta di un cambiamento generico che si muove senza direzione, bensì un riorientare la nostra esistenza a partire dal Vangelo. La conversione è innanzitutto interiore – μετάνοια metanoia = meta – oltre e noeo - pensare – etimologicamente significa profondo cambiamento di pensiero; solo se c’è questo mutamento interiore, si genera un cambiamento esteriore. Gesù ci spiega con chiarezza, usando l’immagine dei frutti: “Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda” (Lc 6,43ss).
     Il processo di conversione può dirsi compiuto solo quando diventano vere per noi le parole di san Paolo: “non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Gal 2,20). La conversione è così il processo attraverso il quale diventiamo progressivamente trasparenza di Cristo e chi vede noi, riconosce Lui.  La conversione segna un prima e un dopo, tanto che non solo gli altri non ci riconoscono più, ma persino noi stessi. Ci si guarda con stupore e commozione e, a volte, con disgusto per ciò che si è stati.  Il Signore fa nuove tutte le cose.
     Chi opera la conversione? Tu, io? Non andremmo molto lontani da soli. Siamo armati solo di buona volontà e questa, purtroppo, è fragilissima. Allora questa non serve? Certo che serve, ma  come collaborazione alla grazia divina. Dio è l’autore della nostra trasformazione interiore. E’ Lui che, se gli permettiamo di entrare nel profondo della nostra anima e di viverci, attua l’inizio del cambiamento e lo accompagna passa dopo passo; a noi spetta di collaborare attivamente, dicendo sì con le scelte concrete della nostra vita. Per questo Giovanni Battista indica dei comportamenti pratici, concreti a coloro che gli chiedono cosa devono fare: condivisione, giustizia e onestà, servizio e non abuso di potere. Per condividere, essere giusti, e servire senza sopraffare,  però bisogna avere un “cuore” convertito, altrimenti si possono compiere solo alcuni gesti sporadici lasciano presto ritornare la natura malata.
     Padre, continua a provocarmi, a mandarmi “Profeti” che  mettano in discussione le mie scelte, i miei atteggiamenti; non lasciare che mi accontenti e che mi chiuda dietro la facile scusa che “sono fato così”. E’ vero che sono fatto così, ma Tu  vuoi e puoi farmi diverso. Opera in me.

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