III DOM. QUAR.
“Il Signore disse: «Ho osservato
la miseria del mio popolo … e ho udito il suo grido …: conosco le sue
sofferenze. Sono sceso per liberarlo … e per farlo salire da questa terra verso
una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele»
(Es 3,7). Dio non è indifferente;
non sta rinchiuso in un cielo lontano, in
attesa che gli arrivino le preghiere e il profumo dell’incenso, ma è dentro le
vicende degli uomini: “tu conosci quando
mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio
cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie” (Salmo 140,2s). Potessimo
fare tutti l’esperienza di questo sguardo; come cambierebbe il nostro modo di
affrontare la vita.
Sappiamo che Mosè è stato salvato dalle acque,
nelle quali era stato gettato, ora Dio gli chiede di diventare a sua volta
mediatore di salvezza, perché, come scrive san Paolo: “Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi
consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione con la
consolazione con cui noi stessi siamo consolati da Dio” (2Cor 1,4).
Gesù ripete oggi più volte: “se
non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,3). Convertirci
da cosa? Dall’indifferenza, alla responsabilità; dal “sono forse il custode di mio fratello” a “non posso non essere il
custode di mio fratello”.
Dio chiede a Mosè e a me e a te, di ascoltare il grido di dolore
dell’uomo. Egli ci invia a umanizzare un mondo disumanizzato, che ha escluso
Dio dal suo orizzonte e, quindi, considera l’essere umano solo materia; crea
uomini di scarto; mette l’economia al centro di tutto; fa delle persone dei
mezzi da usare a piacimento e non dei fini per i quali lavorare
instancabilmente; sostituisce la relazione con l’individualismo; ha creato la
comunicazione a distanza che impedisce al volto dell’altro di approssimarsi;
crede che vivere, significhi aggiungere giorni alla vita e non vita ai giorni, ecc
…
Dio chiede a me e a te di portare vita là dove non vi è che morte o sopravvivenza:
“Oh! Signore, fa di me uno strumento
della tua pace: dove è odio, fa ch'io porti amore, dove è offesa, ch'io porti
il perdono, dove è discordia, ch'io porti la fede, dove è l'errore, ch'io porti
la Verità, dove è la disperazione, ch'io porti la speranza. Dove è tristezza,
ch'io porti la gioia, dove sono le tenebre, ch'io porti la luce” (Preghiera
attribuita a San Francesco, ma non sua).
Agli inizi del XX secolo, Parma ha visto camminare lungo le sue strade
una donna, Anna Maria Adorni che, ha
fatto suo il grido delle carcerate e delle prostitute e ha cominciato a
visitarle e accoglierle; Padre Lino,
il frate che da questa nostra chiesa si è fatto carico della fatica dei poveri
dentro e fuori delle carceri; dei bambini del riformatorio; Monsignor Conforti,
vescovo della città che, nel contempo ha esteso il suo sguardo d’amore al mondo
intero, fondando un istituto dedito al servizio dell’uomo ovunque ne avesse
bisogno. Con loro e con coloro che si sono lasciati trascinare dalla loro
testimonianza, Parma è divenuta meno disumana. Costoro non sono stati capaci di
passare oltre, perché la sofferenza dell’uomo li ha “ossessionati”,
riempiendoli di una tenerezza che si è trasformata in fatti concreti.
“Ogni uomo non è uomo se non è
santo … questa santità … è in fondo la sua vera e unica identità … di questa
identità Gesù è l’esemplare” (A.
Paoli, Quel che muore, quel che nasce,
46); questo è l’appello che ci rivolge adesso Gesù; questa è la mèta a cui ci
vuole portare il nostro percorso di fede.
Dio ci chiama a una spiritualità che ci affina l’udito, tanto da farci
udire il grido dell’uomo; che ci rischiara la vista, così da vedere la miseria
dell’altro. Il Signore ha “bisogno” di noi e di ciascuno di noi per salvare il
nostro tempo. Non ha bisogno di proclami, di manifestazioni, di giochi di
parole, ma di persone che sappiano lasciarsi provocare e scomodare.
Signore, non permettere che io sia sordo e cieco; non lasciare che veda
solo le mie fatiche, ma dammi il Tuo sguardo e i Tuo udito, così che, quando Tu
ripeterai: «Chi manderò e chi andrà per
noi?», io possa rispondere: «Eccomi,
manda me!» (Is 6,8).
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