XXV DOMENICA T.O. 2009
La Sacra Scrittura è sorprendente, pur avendo migliaia di anni fa, porta con sé una freschezza straordinaria; la Parola di Dio non ha tempo. Il passo preso da Sapienza sembra stato scritto questa mattina.
Qui vi sono alcuni che parlano e dicono: «La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati. E' un fumo il soffio delle nostre narici, il pensiero è una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi questa, il corpo diventerà cenere … Su, godiamoci i beni presenti”; essi proseguono poi: “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni; ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta. … E' diventato per noi una condanna dei nostri sentimenti; ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade” (Sap 2,1ss).
Questi personaggi sconosciuti, prestano la voce a tutti coloro che vivono un’ esistenza che riconosce solamente la dimensione carnale e materiale. Non solo hanno fatto la scelta di non alzare lo sguardo verso Dio, permettendogli di convertire le loro esistenze, ma dichiarano di volere eliminare colui che con le sue parole e la sua stessa vita li rimprovera, facendogli da specchio. Sono infastiditi dall’esistenza coerente altrui.
E’ evidente che la liturgia collega questo splendido passo alla vicenda di Gesù. Lui è la vittima per eccellenza, di chi non vuole essere messo in discussione, di chi pretende che Dio resti fuori dalle scelte concrete di vita. Non per niente nel Vangelo odierno viene ripetuto per la seconda volta l’annuncio della passione, morte e risurrezione. Gesù sa di essere "scandaloso" con le sue parole e con le sue opere; sa che dovrà essere tolto di mezzo.
La Chiesa di Cristo, che è “il segno della presenza dell’amore di Dio nel mondo” (omelia di mons. Oscar Arnulfo Romero al funerale di padre Rutilio Grande), sa che ogni volta che le sue scelte concrete saranno “diverse da quelle degli altri”, troverà qualcuno che cercherà di toglierla di mezzo, sia che agisca in quanto Pontefice, Vescovo, sacerdote, diacono, religioso o laico. Eppure la Chiesa, proprio perché è di Cristo, non può vivere che così, in maniera scandalosamente difforme alle vie del mondo. La Chiesa, quando vive evangelicamente, non può che dare fastidio.
Mentre Gesù annuncia per la seconda volta che farà una fine infame, i discepoli parlano di potere. Quanto sono inconsapevoli; quanto sono ancora indietro nel cammino: a una vita che provoca per sua stessa forza, anche senza volerlo, essi preferiscono il potere. Anche’essi ci rappresentano.
E' interessante notare che i discepoli tacciono: quando Gesù parla della propria passione a Gerusalemme e quando chiede loro di cosa stessero parlando lungo la via. Si tratta di un silenzio eloquente. Nel primo caso tacciono, cioè non chiedono chiarimenti, perché preferiscono non sapere, così non sono costretti a scegliere se andare con Gesù o se abbandonarlo; nel secondo caso, invece, perché sono stati sorpresi nella loro fragilità e, probabilmente se ne vergognano. Anche in quest'ultimo caso, parlare, significherebbe essere costretti ad ascoltare una parola di Gesù e, quando il Signore parla, costringe a una presa di posizione, a un cambiamento: non si può più rimanere come prima.
E’ l’eterna battaglia che la Chiesa porta in sé, perché dove vi è l’essere umano, vi è lo splendore e le vette della santità, ma anche la miseria del peccato e della mediocrità.
Non scandalizziamoci della fragilità dei discepoli, ma lasciamo che illumini la nostra vita. Abbiamo scelto la via di Cristo e cerchiamo di percorrerla con Lui e come Lui vuole che la percorriamo, accettando di essere “scandalo”, con tutte le conseguenze del caso, oppure ciò che ci interessa non è tanto Cristo Gesù, ma noi stessi?
Nessun commento:
Posta un commento