Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 20 dicembre 2009

GRANDEZZA NELLA PICCOLEZZA

Tu Betlemme … così piccola … da te uscirà … il dominatore”. Elisabetta dice: “A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?” (Lc 1,43). Infine Maria canta: “Dio, mio salvatore … ha guardato l’umiltà della sua serva” (1,47s).
Se ci facciamo caso, c’è un confronto in questi testi, tra piccolezza e grandezza o, meglio ancora, la grandezza si rende presente là dove c’è la piccolezza: Betlemme è un villaggio insignificante, eppure da lì viene il Figlio di Dio; Elisabetta si meraviglia di essere visitata da Maria – evidentemente la sente superiore a sé -; Maria esulta, meravigliata, perché Dio ha visitato e scelto lei.
Se aveste del vino da travasare, dove lo versereste, in una caraffa già piena o in una vuota?
La risposta è ovvia. Anche Dio, avendo i suoi doni da offrire, li dà a chi è disposto ad accoglierli, a chi ha spazio in sé, a chi non è già autosufficiente: a chi non è già pieno d’altro.
Dio ha trovato "spazio" in Elisabetta e Maria, perché la loro piccolezza le ha rese disponibili; con loro Dio ha reso possibile ciò che è impossibile agli uomini.

Per essere più chiaro ho cercato nella Scrittura degli esempi:

- Mt 21,23-27: qui i capi dei sacerdoti e gli anziani chiedono a Gesù con quale autorità fa e dice certe cose. Prima di rispondere Gesù fa loro una contro domanda, se, cioè, il battesimo di Giovanni Battista è voluto da Dio o solo dagli uomini. Essi non rispondono, perché sanno che, se dicono che è voluto da Dio, devono spiegare come mai non lo hanno ricevuto; se invece rispondono che è umano, rischiano la reazione del popolo che era andata in massa da Giovanni. A quel punto Gesù non dà loro risposta. Perché? Forse perché è come i bambini capricciosi, che rendono "pan per focaccia"? No. La ragione è che costoro non vogliono conoscere la verità, sono già pieni delle loro risposte e non c’è spazio per altre.
- Mc 10,17ss: è l’incontro tra Gesù e l’uomo ricco che, dopo avere interrogato il Signore e ascoltato la sua risposta, “si fece scuro in volto e se ne andò rattristato”. Anche lui era già pieno, “possedeva infatti molti beni”.
- Gv 9,24: è la guarigione di un cieco nato. Quando lo interrogano e vogliono fargli dire che Gesù è un peccatore, egli risponde: “Se sia un peccatore, non lo so”. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo”. La risposta non si fa attendere, dopo un’ulteriore discussione: “Sei nato tutto nei peccati insegni a noi? E lo cacciarono fuori”. Anche qui non c’è spazio per altro, sono già pieni delle loro sicurezze.

Viceversa, ogni volta che il Signore ha trovato il “vuoto”, cioè la consapevolezza della non autosufficienza, è entrato e ha riempito di sé lo spazio.
Qui si inserisce un certo discorso sulla sofferenza. Sappiamo che il dolore non và cercato e non ci è chiesto di attraversarlo con il sorriso sulle labbra - Gesù ha sudato sangue in attesa del suo martirio, segno che la cosa non gli piaceva poi così tanto -. La sofferenza però ha la capacità di portare alla luce la verità, che cioè siamo fragili e non autosufficienti. La sofferenza, quella seria, destabilizza, a volte stende con un KO. Proprio per questo, il tempo della sofferenza – che, ripeto, non va cercata – riesce a svuotarci di sicurezze illusorie e autosufficienza e allora Dio può provare a entrare e riempire lo spazio con i suo i suoi doni.

A chi è nella sofferenza, dico: mentri cerchi di vincerla, non allontanarti da Dio, permettigli di soccorrerti e di venire ad abitare in te.

A chi, invece, ha il dono della vita più tranquilla, dico: lodiamo il Signore per questo, ma non sprechiamo questo dono; non rimaniamo lontani da Dio, perché sentiamo di stare in piedi da soli. Come Maria ed Elisabetta, lasciamo operare al Signore le sue grandi opere.

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