Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

mercoledì 6 gennaio 2010

EPIFANIA


Pensate che, quando nel 614 il re persiano Cosroe, che aveva già raso al suolo tutti gli edifici sacri cristiani della Terra Santa, giunse a Betlemme e si accinse a distruggere anche la basilica della Natività – fatta erigere attorno al 325-330 da sant’Elena -, rinunciò a quest’ultimo scempio, perché sul frontone della Basilica erano raffigurati alcuni personaggi vestiti come lui, cioè i Magi.
Ogni anno negli Stati Uniti vengono consegnati i celebri premi Oscar per il cinema; tra gli altri vi sono i premi per gli attori non protagonisti, per la fotografia, per i costumi, ecc … cioè per tutti quegli elementi secondari, che contribuiscono a rendere più bello il film, ma che non sono il tutto.
Quando si legge il racconto relativo ai Magi, si rischia di fermarsi sugli elementi importanti, ma secondari, perdendo di vista il centro fondamentale. Magari si fissa l’attenzione su chi erano i Magi – se erano Re o sapienti astronomi -; da dove venivano – da Babilonia o dall’Egitto; se la stella cometa corrisponde alla cometa di Halley o meno, e si dimentica che, tutti questi aspetti girano intorno a un unico protagonista: il Bambino. I Magi, chiunque essi fossero, si sono mossi e hanno fatto tanta strada, per andare ad adorare Gesù, il re dei Giudei. Lui è importante.
Qualcosa della stella, però, bisogna dirlo. Un grande biblista francese, il domenicano Lagrange, ha affermato che “Sulla stella di Betlemme ci può dire molto di più la teologia che non l’astronomia”. Difatti in Ap troviamo queste parole: “Io, Gesù … Io sono la radice e la stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino” (Ap 22,16). Lo stesso Is annuncia: “(Gerusalemme) Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). Quindi, al di là di tutto, ciò che è essenziale, è che quella stella è il segno che Dio, in Cristo, è venuto ad abitare in mezzo agli uomini, per portare loro la luce. Quel Bambino è Dio.
Questa luce, però, non produce lo stesso effetto su tutti. Proprio domenica abbiamo ascoltato il Prologo di Gv nel quale egli afferma: “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto” (Gv 1,9-11); Erode, il re del popolo eletto, restò “turbato”, spaventato, dalla notizia di quella nascita: “il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme” (Mt 2,3).
Viceversa proviamo a ripercorrere i passi dei Magi: “vennero da oriente … siamo venuti ad adorarlo … Udito il re, essi partirono … Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono”; da una parte c’è il “turbamento”, dall’altra “una grandissima gioia”.
Erode è ciò che noi cristiani non possiamo essere: persone spaventate dalla presenza di Dio, per paura che ci tolga qualcosa, che ci privi di libertà e dignità. Egli ha a sua disposizione tutti gli strumenti necessari per incontrare il Signore, tant’è che interpella “tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo”, ma non se ne serve per cercare la verità. Quale responsabilità! Infatti “A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più” (Lc 12,48).
I Magi invece ci indicano il modo per giungere alla “grandissima gioia” e a “vedere il bambino e sua madre”. Dio si lascia trovare da chi lo cerca.
Per arrivare a Dio, bisogna prima di tutto desiderarlo; nel Vangelo Gesù dice che “non di solo pane vive l’uomo”, ma chi è soddisfatto del solo “pane”, chi è bloccato a terra dai pesi delle cose, chi non è capace di alzare lo sguardo da ciò che è visibile e materiale, difficilmente potrà incontrare Dio, perché, non lo cercherà e, quando gli passerà accanto e lo toccherà, non se ne accorgerà.
Bisogna poi mettersi in movimento, cercare, percorrere anche le vie sconosciute e potenzialmente scomode, non accontentarsi dell’inerzia o delle vie già percorse migliaia di volte. Chi desidera veramente incontrare il Signore, non si lascia ostacolare. Chi si è troppo ben collocato nella sua città, non ha bisogno di Betlemme, anzi, Betlemme gli appare come un insignificante villaggio di provincia.
Come facciamo a comprendere se il cammino percorso fino a oggi ci ha aiutato a incontrare il Signore; ci sono alcuni possibili segnali?
- Riesco a individuare una data precisa, un periodo della mia vita, nel quale Dio ha cessato di essere un’idea, un concetto, per diventare una persona, una presenza reale nella mia quotidianità?
- Ho bisogno di stare con Dio quotidianamente, di “frequentarlo” nella preghiera, nella Parola, nell’Eucaristia, oppure posso tranquillamente attendere la Domenica?
- Riesco a riconoscere i segni del cambiamento nella mia storia? Dio è riuscito a incidere, almeno in parte nei punti più duri del mio peccato? E’ riuscito a provocarmi? Nei momenti difficili, il Signore è riuscito a sostenermi o glielo ho impedito?
- La speranza, virtù cristiana per eccellenza, fa parte della mia esistenza?

Vedete, le risposte a queste domande – se ne potrebbero fare altre decine -, ci indicano concretamente se siamo in cammino con i Magi o se stiamo rischiando di rimanere fermi a Gerusalemme con Erode.

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