Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

mercoledì 17 marzo 2010

LITURGIA EUCARISTICA 7

- La prima lettura


Perché leggere l’AT? Ancora una volta ci soccorre il Concilio: “Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell'uno e dell'altro Testamento e ne è l'autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo. Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo, tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento, che essi a loro volta illuminano e spiegano” (DV 16).

La Chiesa quindi non può prescindere dall’ascolto dell’AT, perché esso è memoria di tutto il cammino percorso dall’uomo insieme a Dio ed è preparazione e anticipazione del NT. Senza tale ascolto rischiamo di non comprendere pienamente nemmeno il messaggio di Cristo. Essa viene ascoltata stando seduti (atteggiamento di ascolto e disponibilità). Non è bene leggere nel contempo su un foglietto o messalino.

Il Salmo responsoriale

Il libro dei Salmi costituisce un patrimonio unico; sono le parole ispirate da Dio, con le quali milioni di credenti hanno pregato per migliaia di anni. Sono le parole che Dio stesso ha dato all’uomo perché potesse pregarlo.

Il Salmo, nella liturgia, costituisce la risposta alla prima lettura. Giovanni Crisostomo scrive: “Vi esorto dunque a non uscire di qui a mani vuote, ma a raccogliere i ritornelli come perle, per custodirli sempre con voi, per meditarli, per cantarli tutti ai vostri amici” (Esposizione del Salmo 41). Esso è in diretta connessione con la relativa lettura: in tal modo la si attualizza sotto forma di preghiera. Afferma Agostino: “Dio loda se stesso nella comunità con le sue stesse parole”.


- La seconda lettura o apostolo


Per comprendere bene la funzione della seconda lettura, occorre ricordare che nei lezionari delle Chiese antiche, e in Oriente ancora oggi, si aveva un libro liturgico apposito, l’Apostolo, che riportava in ordine li testi tratti dal NT, esclusi i quattro Vangeli. Le Chiese avevano gelosamente custodito “le memorie degli Apostoli”, come già si chiamano nel II sec.. Esse erano destinate a illustrare l’Evangelo della vita del Risorto con la forza della testimonianza della prima generazione dei discepoli del Signore, quelli che avevano visto e ascoltato il Signore, accompagnandolo lungo la sua missione terrena fino alla croce.

Al termine della prima e della seconda lettura, il lettore dice: “Parola di Dio” e non “E’ parola di Dio”. Per comprenderne la ragione, dobbiamo andare a guardare gli scritti dei profeti, i quali al temine di ogni loro comunicazione, dicevano: “Oracolo del Signore”. Ciò manifesta in maniera più chiara che è Dio stesso che sta parlando.


- L’Evangelo


La proclamazione dell’Evangelo, costituisce il culmine della liturgia della Parola, in quanto sottolinea la centralità di Cristo presente nella celebrazione e dà la chiave interpretativa dell’AT. Per questo tale lettura è circondata di particolare attenzione con segni di onore, sia da parte del ministro che dell’assemblea.

Innanzitutto il Vangelo è preceduto dal canto (non dalla recita, perché rende meglio il fatto di essere un grido di gioia – qualora non lo si cantasse, può essere tralasciato ) dell’Alleluja, che significa “lodate YHWH” (è la traslitterazione della parola ebraica che significa “Preghiamo (Hallelu) il Signore (Yah) o “Lodiamo il Signore) e in Quaresima da “Lode a te o Cristo”. Il versetto all’Alleluja mette in risalto il messaggio centrale del Vangelo che segue.

Il ministro incaricato di proclamare il Vangelo fa due cose:

- si prepara a tale proclamazione con una preghiera particolare che recita sottovoce mentre fa l’inchino con tutto il corpo davanti all’altare: “Purifica il mio cuore e le mie labbra, Signore, perché possa annunciare degnamente la tua parola” oppure se è un diacono a proclamare, il sacerdote gli darà una benedizione, usando le stesse parole, ma in seconda persona. La proclamazione dovrebbe essere preceduta dall’incensazione e conclusa con il bacio del libro dicendo le parole: “La parola del Vangelo cancelli i nostri peccati”.

- I fedeli ascoltano il Vangelo in piedi, come segno di particolare devozione e prontezza ad accogliere Gesù Cristo Verbo incarnato, per poi annunciarlo alle genti.

- Un altro gesto compiuto da tutti è il segno della croce sulla fronte, sulle labbra e sul petto. Questo uso che risale all’XI sec., è ricco di significato. Con esso infatti chiediamo che le parole del Vangelo, che tra poco ascolteremo, ci invadano completamente, piantino solide radici nella nostra intelligenza, nel nostro cuore e le nostre labbra parlino di conseguenza. Significa anche manifestare la nostra volontà di fare il possibile per trasmettere agli altri quello che abbiamo ricevuto.

- L’Evangelo può essere proclamato solo da un ministro ordinato: diacono, presbitero o vescovo per sottolineare che la parola ascoltata non è una parola ordinaria, ma che per bocca sua, Cristo vivente parla alla sua Chiesa.

Proprio perché si ha a che fare con la parola di Dio, non è indifferente chi la proclama. Il lettore deve infatti unire in sé, l’impegno a una vita coerente, secondo le Scritture, così che la sua vita non contraddica ciò che proclama, ma anche reali capacità e competenze tecniche. Non si può privilegiare il piacere di un singolo, a scapito dell’assemblea, che ha il diritto di ascoltare una parola proclamata con chiarezza.


- L’omelia


Essa è obbligatoria nelle domeniche e nelle feste di precetto, è vivamente consigliata negli altri giorni. Ha lo scopo di far constatare come le grandi promesse di Dio si siano realizzate nella persona e nell’opera di Cristo; per evitare che risulti una semplice operazione storica, deve essere l’eco della parola divina proclamata da Cristo migliaia di anni fa e resa attuale e accessibile oggi.

“Deve essere la spiegazione o di qualche aspetto delle letture della Sacra Scrittura, o di un altro testo dell’ordinario o del Proprio della Messa del giorno, tenuto conto sia del mistero che viene celebrato, sia delle particolari necessità di chi ascolta” (PNMR 41).

Ascoltiamo cosa scrive D. Bonhoeffer nel suo libro “Sequela”: “Certo, crediamo anche noi che tutt'altra gente ascolterebbe la Parola e ben altri si allontanerebbero da essa, se Gesù stesso, se nel sermone, Gesù solo fosse in mezzo a noi con la sua Parola. Non che la predicazione della nostra chiesa non sia più Parola di Dio; ma quale tono impuro, quante dure leggi umane, quante a se speranze e consolazioni offuscano la chiarezza della Parola di Gesù e rendono difficile una scelta genuina! Non è certo solo colpa degli altri se la nostra predicazione, che senz'altro vuol essere solo annunzio di Cristo, appare loro dura e difficile, perché è farcita di formule e concetti a loro estranei. Non è certo vero che ogni parola che oggi vien detta contro la nostra predicazione è già un rifiuto di Cristo, un'opposizione al cristianesimo. Vogliamo veramente rinnegare la comunione con coloro che vengono ad ascoltare la nostra predicazione - e sono numerosi -, e che ciononostante sempre di nuovo devono ammettere, addolorati, che rendiamo loro troppo difficile l'accesso a Cristo? Sono convinti di non volersi sottrarre alla Parola di Gesù, ma che troppe sovrastrutture umane di istituzioni, di dottrina si frappongono tra loro e Gesù. … Ma non sarebbe pure una risposta il chiederci se non siamo spesso noi stessi a precludere la strada alla Parola di Gesù, restando forse troppo strettamente legati a determinate formule, ad un tipo di predicazione adatto a un determinato tempo e luogo e ad una determinata struttura sociale? essendo forse veramente troppo 'dogmatici' e troppo poco «aderenti alla vita»? ripetendo volentieri certi pensieri della Scrittura e trascurandone altri non meno importanti? annunziando sempre ancora troppo opinioni e convinzioni personali e troppo poco semplicemente Gesù Cristo?”.

L’omileta sapiente, dovrebbe, come “un padrone di casa che estrae dal suo tesoro come nuove e cose antiche”, sapere trarre dal tesoro della parola, il necessario per arricchire la vita di chi ascolta. Scrive un autore francese del ‘700: “Le omelie assomigliano alla spada di Carlomagno: sono lunghe e piatte” e più di recente un giornalista italiano ha affermato (vado a senso) che certe omelie sono interessanti come un film pakistano sottotitolato in arabo.

Non dimentichiamo però che l'omelia non è il tutto della celebrazione, per cui non possiamo condizionare la partecipazione all'Eucaristia dalla capacità omiletica o meno del sacerdote.

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