III DOMENICA DI QUARESIMA
Questo racconto del fico piantato nella vigna, è una parabola, non un’allegoria, e come tale dobbiamo cercare di ascoltarla. Nell’allegoria infatti tutti gli elementi del racconto devono essere identificati – allora dovremmo chiederci: chi è il padrone della vigna? Chi rappresenta la vigna? Chi il fico? Chi è il vignaiolo? -, nella parabola invece c’è un messaggio unico e diretto da accogliere.
Il cuore del racconto sta in queste parole: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se non, lo taglierai” (Lc 13,7-9).
Qui a una lettura superficiale qualcuno potrebbero riconoscere la voce di Dio, che vuole frutti buoni e quindi punisce coloro che non ne producono - i parassiti -, e quella di Cristo che, invece, cercherebbe di moderare l’insoddisfazione divina. Anche la prima parte del testo sembrerebbe andare in questa direzione: “Se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo” (13,5). Del resto quante volte nell’AT abbiamo visto Mosè calmare gli ardori divini contro il popolo infedele. Un caso per tutti: “Il Signore disse a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco, è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che la mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore, suo Dio, e disse: «Perché, Signore, si accenderà la tua ira contro il tuo popolo …? … Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo. Ricòrdati di Abramo, di Isacco, di Israele, tuoi servi, ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “Renderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo…». Il Signore si pentì del male che aveva minacciato di fare al suo popolo” (Es 32,9ss).
La parola di Dio però non va ascoltata con superficialità e soprattutto va presa nel suo insieme, per evitare gravi fraintendimenti.
Qui le voci non sono di Dio Padre e di Dio Figlio, ma dell’uomo da una parte e di Dio dall’altra. C’è la logica umana, che vuole eliminare ciò che è improduttivo, chi non fa il bene, chi sbaglia e, la logica di Dio, che ama l’uomo e vuole salvarlo a tutti i costi.
La croce è la chiave di interpretazione di questa parabola. Dio si è lasciato uccidere per liberarci, perché ci vuole vivi, non morti. Il diavolo vuole estirparci, non Dio. Chiediamoci allora da chi viene il nostro desiderio di condanna - altrui - senza sconti?
Tra l’altro per Dio “mille anni sono come il giorno di ieri che è passato” (Salmo 89,4), per cui non misura il tempo come lo misuriamo noi; ciò che è tardi per noi, non è detto che lo sia anche per Lui. Quando un uomo si converte, non è mai troppo tardi. Dovremmo stare qui fino a questa sera se volessimo elencare tutti i testi della Scrittura che confermano questa grande verità. Ci basta metterci sotto la croce un attimo e ascoltare le parole di Geù al condannato al suo fianco: "Oggi sarai con me in paradiso".
Ricordiamo che il nome del Figlio di Dio è Gesù – Dio salva -. Non possiamo neanche pensare che questo valga per Gesù, ma non per Dio Padre, perché: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio” (Gv 5,19ss); "Filipo, chi vede me, vede il Padre".
Alcune domeniche fa abbiamo ascoltato l’episodio della pesca miracolosa, al termine della quale Gesù ha annunciato a Simone: “Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10). Pescare gli uomini, significa tirarli fuori, salvarli: questo è il compito di Pietro e della Chiesa, perché Pietro e la Chiesa sono di Cristo. La Chiesa deve fare ciò che Cristo ha fatto. La Chiesa deve “pescare”, “zappare e mettere il concime”; deve fare tutto il possibile, perché ha il ministero di aiutare l’essere umano a trovare la via che gli consenta di produrre frutti.Il "tagliare" non compete alla Chiesa.
Il fatto che Dio vuole salvarci a tutti i costi e sa attendere, non significa che possiamo perdere tempo e rimandare a domani. L’unico tempo che, in qualche misura, possediamo è l’oggi, perché il passato non c’è più e del domani non abbiamo la certezza che ci sarà. Non possiamo ritardare il tempo della conversione, perché potrebbe non esserci concesso. Scrive san Basilio il Grande: “Impara dall’esempio delle vergini. Queste, infatti, non avendo più olio nei vasi e dovendo, d’altronde, entrare nella sala delle nozze assieme allo sposo, si accorsero, quand’era orami troppo tardi , d’essere rimaste prive di ciò che era, invece, indispensabile. Ebbene, per questo motivo,
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