Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 25 aprile 2010

IO CONOSCO LE MIE PECORE ...

Due anni fa era qui con noi Valentin, un novizio albanese, che prima di entrare tra i frati, ha sempre fatto il pastore. Ricordo l'emozione vera che provava quando, nelle rare passeggiate in montagna, ci capitava di incontrare un gregge di capre; si fermava e le chiamava. Ci diceva che nel suo gregge riconosceva una per una le capre e le chiamava per nome. A me, invece, le capre e le pecore sembrano sostanzialmente tutte uguali.
Oggi Gesù usa l'immagine del gregge per parlarci e ci dice: "Io vi conosco; uno per uno". Non siete tutti uguali; non siete una massa indistinta davanti per me". C'è un Salmo molto bello che esprime la consapevolezza di essere sotto l'attento sguardo di Dio: "Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo, intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo, ti sono note tutte le mie vie. La mia parola non è ancora sulla lingua ed ecco, Signore, già la conosci tutta. ... Meravigliosa per me la tua conoscenza ..." (Salmo 139,1ss).
Nulla della nostra esistenza sfugge a Dio e nulla può essergli nascosto: "Se dico: Almeno le tenebre mi avvolgano e la luce intorno a me sia notte", nemmeno le tenebre per te sono tenebre e la notte è luminosa come il giorno; per te le tenebre sono come luce" (139,11s). Il Signore non ci guarda in maniera ossessiva per coglierci in fallo e punirci, ma per custodirci: "(Egli) ti coprirà con le sue penne, sotto le sue ali troverai rifugio; la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza" (Salmo 91,4).
Se vogliamo conoscerci in profondità, dobbiamo chiedere al Signore di svelarci a noi stessi; allora rimarremo stupiti e gioiremo per le cose belle che ci sono in noi, ma proveremo anche tanto dolore per gli aspetti oscuri e tenebrosi del nostro essere - sarà però una consapevolezza dolorosa, ma risanante -. Chi cammina con Dio, conosce meglio anche se stesso, perché scopre di non essere un angelo - rischio della presunzione -, ma anche di non essere un demone dannato - rischio della disperazione -. Il rapporto profondo con Dio rende umili; l'umilità è la consapevolezza di essere un impasto di luce e tenebra; di grandezza e miseria. L'umiltà tiene lontano la superbia e la depressione.
Gesù afferma anche: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" (Gv 10,27); qui vi sono due verbi che, sostanzialmente, descrivono l'essenza del cristiano: ascoltare e seguire. Questo è il codice genetico del cristiano.
Dobbiamo chiederci allora se siamo ascoltatori della voce del Signore e dobbiamo essere molto onesti con noi stessi. Ascoltare non è semplicemente sentire; non basta che un suono di parole entri nell'apparato uditivo; ascoltare significa, fermarsi e prestare totale attenzione a chi parla. Normalmente è capace di ascolto chi sa amare, perché mette se stesso momentaneamente in secondo piano, per mettere al centro chi parla.
Noi viviamo nel tempo delle parole, per non dire delle chiacchiere, ma per quanto riguarda l'ascolto ... Scrive il cardinal Martini in una sua lettera natalizia del 1989: "Oggi le persone hanno più bisogno di ascolto che di parole. Abbiamo imparato tutti a parlare, magari anche più lingue, e non siamo più capaci di ascoltarci. Soltanto quando diamo ascolto all'altro con attenzione e non distratti, con pazienza e non di fretta, con meraviglia e non annoiati, acquistiamo il diritto e l'autorevolezza di parlargli al cuore. Efficientisti come siamo diventati, a volte crediamo che il tempo dedicato all'ascolto sia perso; in realtà, se pensiamo così, forse è perché non abbiamo tempo a disposizione per altri, ma soltanto per noi stessi e per i nostri interessi ...". Facciamo fatica ad ascoltarci e facciamo molta fatica ad ascoltar il Signore. Afferma Bonhoeffer: "Come l’amore di Dio incomincia con l’ascoltare la sua Parola, così l’inizio dell’amore per il fratello sta nell’imparare ad ascoltarlo. E’ per amore che Dio non solo ci dà la sua Parola, ma ci porge pure il suo orecchio. Altrettanto è opera di Dio se siamo capaci di ascoltare il fratello. ... Molti uomini cercano un orecchio che sia pronto ad ascoltarli, ma non lo trovano tra i cristiani, perché questi parlano pure lì dove dovrebbero ascoltare. Chi non sa ascoltare il fratello ben presto non saprà neppure più ascoltare Dio; anche di fronte a Dio sarà sempre lui a parlare. Qui ha inizio la morte della vita spirituale, e infine non restano altro che le chiacchiere spirituali .... Chi crede che il suo tempo è troppo prezioso per essere perso ad ascoltare il prossimo, non avrà mai veramente tempo per Dio e per il fratello, ma sempre e solo per se stesso, per le sue proprie parole e per il suoi progetti... C’è un modo di ascoltare impaziente e distratto, che disprezza il fratello e aspetta solo di poter finalmente prendere la parola e liberarsi dell’altro. Questo non è compiere la propria missione, e certamente anche qui nel nostro atteggiamento verso il fratello si rispecchia il nostro rapporto con Dio" (D. Bonhoeffer, Sequela).
Qual è il segno che abbiamo lo ascoltato la voce del Signore? L'emozione? Non è sufficiente. All'emozione deve unirsi un cambiamento, una presa di coscienza, una svolta. Se dopo avere sentito la voce di Gesù la mia vita cambia - se c'era morte è tornata la vita; se c'era odio e rancore è entrato il perdono; se c'era disperazione ed è entrata la speranza; se c'era nebbia ed è entrata luce; se c'era disorientamento ed è entrata maggior chiarezza; se c'era peccato ed è entrato il dolore per esso;- allora posso stare certo che ho ascoltato. Se tutto resta sempre invariato, se continuo a seguire, di fatto, la voce di altri pastori, allora posso stare certo di avere solo sentito dei suoni.
L'ascolto di Gesù è il passo che precede il seguirlo. Non credo che possa realmente seguirlo chi non lo ascolta.
Chiediamo allo Spirito Santo che apra gli orecchi del nostro intimo, che ci aiuti a fare la profonda esperienza dell'ascolto.







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