Fino al Concilio Vaticano II per poter fare la comunione eucaristica, era necessario essere a digiuno dalla mezzanotte; oggi è sufficiente un’ora: sono cambiati i tempi, ma non la ragione che ha portato la Chiesa a chiedere il “digiuno”. Infatti questo deve aiutarci a ricordare una verità fondamentale: “Non di solo pane vive l’uomo …”. Non prendere coscienza di questo, significa lasciare lo spirito affamato e assetato – come se ciò non producesse conseguenze nella persona intera -.
Ancora oggi sono valide le parole dei Dodici, rivolte a Gesù: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta» (Lc 9,12). Anche oggi abbiamo fame di vita vera, di bellezza, di relazioni profonde, di speranza , di bene, di libertà …, ma siamo in una zona deserta, non sappiamo più dove andare a cercare.
«Voi stessi date loro da mangiare … Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla» (9,13;16); quale grande responsabilità ha affidato Gesù ai Dodici e ai loro successori – i vescovi con i loro collaboratori, i presbiteri -. A un’umanità affamata e assetata – i segni ci sono tutti -, Gesù ci invia a dare cibo che può saziare il desiderio dell’uomo: “Soltanto Tu consumi il desiderio e sazi ogni fame dentro al cuore” (da un inno della Liturgia delle Ore).
Il ministero fondamentale dei pastori è accogliere Cristo in sé e donarlo nel pane eucaristico e nel pane della Parola. Questo va chiesto ai sacerdoti, prima di tutto il resto. Invece troppo spesso viene chiesto di tutto – e purtroppo noi stessi offriamo di tutto – tranne il necessario. A chi verrebbe in mente di andare a comprare dei chiodi dal fornaio? Ebbene a volte avviene così, ai sacerdoti si chiedono i “chiodi”, ma non il pane. Ci viene chiesto di essere psicologi, consulenti, amministratori, organizzatori, esperti in vita familiare ecc …, ma noi dobbiamo essere dispensatori del “pane” di Dio.
Tutti insieme dobbiamo riprendere coscienza che abbiamo bisogno di questo cibo. Altro che: “Sono credente, ma non praticante” o “Dio è ovunque, quindi lo prego a casa mia”. Perché continuare a nutrirsi di cibo inadeguato, quando siamo invitati a mangiare gratuitamente a un banchetto in cui Dio stesso si fa cibo?
Quel pane che mangiamo e quel vino sono i mezzi attraverso i quali Gesù Cristo è realmente presente in mezzo a noi. Gesù dichiara: “Questo è il mio corpo …” ( Tou/to, mou, evstin to. sw/ma - 1Cor 11); non c’è scritto, come traducono i TdG: “Questo significa il mio corpo”. Egli è qui, non c'è semplicemente un segno della sua presenza.
Potessimo percepire nel profondo, potesse venir meno il velo che copre i nostri occhi, per vedere oltre l’apparenza. Come sarebbero diverse le nostre celebrazioni e come sarebbero diverse le nostre vite. Avere la consapevolezza o meno di trovarsi alla tavola della Trinità, fa una bella differenza. Gli antichi affermavano che non si poteva vedere Dio e poi restare vivi, tanta era la consapevolezza della grandezza di Dio; noi abbiamo addirittura il privilegio di poter entrare in un contatto fisico con Lui e tante volte ci lascia indifferenti. Come mai?
Scegliere di vivere l’Eucaristia, richiede molto coraggio e tanta disponibilità; infatti chi si ciba di Corpo e del Sangue di Cristo, si assume la responsabilità di diventare ciò che mangia. Ebbene si: partecipare all’Eucaristia significa scegliere di lasciarsi trasformare progressivamente in Cristo. Questo vuol dire che dobbiamo permettere a quel pane e quel vino di “cambiarci pelle”, di fare di noi creature sempre nuove, che hanno come principio fondamentale della propria esistenza ciò che afferma Gv: “Chi dice di rimanere in lui, deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato” (1Gv 2,6).
Questo significa che dobbiamo guardare se veramente l’Eucaristia domenicale – e per alcuni anche quella feriale – è capace di fecondare la nostra settimana, se cioè riesce a incidere sulle scelte concrete, sul modo di pensare, di relazionarci, oppure, se tutto continua a scorrere come ha sempre fatto.
Oramai dal 1311 si tiene in tutta la Chiesa la processione del Corpus Domini e a essa si collega l’adorazione eucaristica. Perché tutto questo?
Noi mostriamo al mondo la “perla preziosa” che abbiamo trovata; il tesoro che era nascosto nel campo. Gridiamo a chi ha fame: “Ecco il pane che sazia”. Le processioni però non bastano più; il mondo ha bisogno di vedere che veramente quel tesoro ci ha cambiati in meglio, che la nostra fame, anche se non sarà mai completamente saziata su questa terra, ha trovato il cibo adatto; perché se ci vedranno uguali a loro, affamati pur nutrendoci, cercheranno altrove.
A chi ha fame, non diciamo: “Andate a cercarvi il cibo”, ma , vieni con me e andiamo da l’unico che è in grado di saziarci.
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