XXII DOMENICA T.O.
“Chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). 'Umiliare' nel nostro linguaggio ha un significato negativo, sia che il verbo si usi alla forma attiva (ti umilio = mettere qualcuno in imbarazzo o nella condizione di vergognarsi) che a quella riflessiva (mi umilio = accettare di mettersi in una condizione di inferiorità e di mortificazione) o passiva (mi ha umiliato).
Può il Signore chiederci un atteggiamento del genere?
Molti pensano di sì, ma così non è.
Sapete chi è il personaggio biblico al quale si adatta alla perfezione questo atteggiamento? Maria.
Il termine greco che dice l’umiliazione è tapeinoo e quando la Madonna canta il Magnificat dice che il Signore ha guardato “l’umiltà (tapeinosin) della sua serva” (Lc 1,48). Quindi l’umiliazione non ha a che fare con atteggiamenti negativi.
Gesù ci fa capire il senso profondo del termine con l’esempio dei posti a tavola. Nella nostra vita quotidiana non avviene come nelle case dei nobili o nei pranzi di Stato dove tutti i posti sono determinati minuziosamente da criteri ben precisi, che tengono conto dell’importanza dei vari ospiti, però capita anche a noi di avere un ospite di riguardo e di riservargli il posto a capotavola. Siamo quindi in grado di capire ciò che il Signore vuole dimostrare.
Scegliere certi posti, significa non avere una piena coscienza di sé - anche spiritualmente -, illudersi di essere ciò che non si è. Chissà quante volte ci siamo sentiti dire o abbiamo detto a qualcuno: “Ma chi ti credi di essere?”.
Umiliarsi, allora, è possibile per chi ha una più profonda coscienza di sé e significa trovare un equilibrio tra l’orgoglio cieco e la visione pessimistica e negativa di sé. E’ riconoscere di essere un formidabile impasto di terra e soffio divino: luce e ombre; creato come un prodigio, ma con limiti a volte tanto grandi.
Cosa ci rende umili? Per quanto riguarda la scoperta della nostra importanza, dobbiamo innanzitutto sentirci amati da Dio. Per avere la consapevolezza di essere preziosi agli occhi del Signore, dobbiamo riuscire a riconoscere i segni concreti della sua delicata presenza nella nostra vita quotidiana. Se lo sentiamo realmente presente e attento; se vediamo che ha cura di noi, allora possiamo riconoscere di valere qualcosa. Abbiamo mai sentito la sua carezza sulla nostra pelle?
E’ importantissimo anche sentirci amati da chi ci sta intorno. Conta moltissimo che i fratelli è le sorelle ci dimostrino che noi valiamo, nonostante i nostri limiti. Invece se le persone ci rimandano sempre e solo, come in uno specchio deformante, i nostri limiti, allora rischiamo di auto convincerci di non valere nulla.
Per avere invece una visione obbiettiva del nostro limite e del nostro peccato, ancora una volta dobbiamo ascoltare sia la voce di Dio che quella dei fratelli.
La voce di Dio – il Signore ci parla attraverso la Sacra Scrittura, la liturgia, nella preghiera, nel magistero dei nostri pastori, nella vita dei santi, negli eventi della vita – ha una forza enorme, capace di illuminare ogni aspetto della nostra esistenza e porlo nella verità. La parola che il Signore mi rivolge, mi costringe, se sono realmente aperto e onesto, a fare verità, a chiamare le cose con il loro nome e a smettere di camuffarle, per poterle poi affrontare.
Anche qui i fratelli assumono un ruolo fondamentale; dobbiamo sforzarci di ascoltare quello che ci dicono di noi – sia a parole che con il linguaggio non verbale (fatto di sguardi, silenzi, posizioni del corpo ecc ...) che, spesso è più eloquente delle parole -. Gli altri a volte vedono di noi ciò che noi stessi da soli non riconosciamo.
Abbiamo il diritto di rimanerci male, ma se siamo saggi dobbiamo ascoltare.
E’ molto importante il ministero della correzione fraterna, perché consente di aiutare e di essere aiutati a prendere coscienza del peccato o del limite.
Chi dopo aver scoperto le proprie luci, riconosce anche il proprio limite, più facilmente diventa umile e acquista uno sguardo diverso sulle altre persone, perché sa vedere la grandezza altrui, anche quando è offuscata da limiti e peccati, dei quali non si scandalizza più; non si ritiene superiore agli altri, perché cessa di vedere di sé solo la luce e degli altri solo la tenebra.
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