Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 21 agosto 2010

Quanti si salvano?

XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Anticamente alcuni rabbini sostenevano che tutti i membri del popolo d’Israele si sarebbero salvati, grazie alla fedeltà di Dio, che mantiene le promesse; altri invece, più rigorosi, dicevano: “Dio ha creato questo mondo per amore di molti, ma quello futuro per pochi”.

E’ per questo che qualcuno interpella Gesù, per conoscere il suo parere e vedere da quale parte sta la verità.

Come al solito il Signore scombina le carte in tavola e cerca di fare uscire i suoi ascoltatori di ogni tempo dalla logica degli schemi troppo rigidi. A chi gli chiede quanti sono quelli che si salvano, Lui risponde dicendo cosa si deve fare per non essere esclusi dalla salvezza.

La prima cosa che balza agli occhi, è che non è sufficiente appartenere al popolo di Dio per essere salvati – non era sufficiente essere circoncisi per gli ebrei e non è sufficiente per noi essere battezzati -. Gesù mostra che con lui, da ora innanzi sono ribaltati i vecchi criteri di valutazione. Molti di quelli che si credevano degni del regno di Dio, si vedranno esclusi. Proprio quelli che “hanno mangiato e bevuto in (sua) presenza”, coloro ai quali il Signore ha insegnato nelle piazze. Gesù sta parlando a noi e proprio a qualcuno di noi un giorno potrebbe dire: “Non ti conosco”.

Cosa fare allora per essere salvati? Sforzarsi di entrare per la porta stretta”.

Ma se la porta è stretta vuol dire che pochi possono attraversarla?

No; vuol dire che se vogliamo attraversarla, dobbiamo essere senza carico ingombrante. Quindi il passaggio è per tutti, la selezione la possiamo fare solo noi, non il Signore.

Di quale carico dobbiamo liberarci?

- Non possiamo giungere davanti al Signore pretendendo di presentarci con un nome o cognome importanti. Non possiamo dirgli: “Lei non sa chi sono io”. In Austria c’era un interessantissimo rito previsto per la sepoltura dell’Imperatore. Quando il sarcofago si presentava davanti alla cripta, il ciambellano bussava e il frate dall’interno chiedeva: “Chi è”; l’altro rispondeva: “S.M.I.”. Il frate affermava: “Non lo conosco”. Allora il ciambellano bussava nuovamente e alla domanda del frate rispondeva: “Un povero miserabile peccatore”, solo a quel punto veniva aperta la porta. “Essi confidano nella loro forza, si vantano della loro grande ricchezza. Certo, l’uomo non può riscattare se stesso né pagare a Dio il proprio prezzo” (Sal 48,7s). La morte è estremamente democratica.

- Non si può essere carichi di beni materiali. Chi ha vissuto solo per quelli, dovrà lasciarci di qua – “Non temere se un uomo arricchisce, se aumenta la gloria della sua casa. Quando muore, infatti, con sé non porta nulla né scende con lui la sua gloria. “ (Sal 48,17) - e non gli gioveranno a nulla per la salvezza: “E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli”.

- Non si può essere pieni di sé – anche in gergo si usa dire che uno è un gonfiato -, uno che non ha una visione equilibrata di sé e dall’alto della sua presunta posizione, guarda dall’alto in basso tutti gli altri.

- Non si può essere carichi di peccati. Per questo non possiamo attendere domani per iniziare un serio cammino di conversione. Chi sceglie di aspettare domani, probabilmente, rinvierà a dopodomani e così via, perdendo un sacco di tempo prezioso e rischiando di non fare in tempo.

- Non possiamo presentarci carichi neanche di opere buone, accuratamente accumulate e segnate in un apposito libro, in modo da avere un credito nei confronti di Dio. Ho trovato una frase che recita così: “Puoi dare senza amore, ma non puoi amare senza dare”. Vuol dire che le nostre cosiddette opere buone, possono non essere mosse dall’amore, non avere delle motivazioni limpide e, come ci ricorda san Paolo: “se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe. … Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13,3;13).

Credo che possiamo dire che per attraversare quella porta dobbiamo portare quanto sta dentro le due mani. Cosa? La fede, intesa come una esistenza che si è fidata della parola del Signore e da essa si è lasciata condurre. La carità: ogni autentico atto d’amore avrà un peso enorme davanti al Signore, tanto più se neanche ci siamo accorti d’averlo compiuto.

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