Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 18 settembre 2010

"Procuratevi amici con la disonesta ricchezza ..."

XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

In tutto il capitolo 16 — a eccezione di un cenno sulla legge (16,16-17) e sul divorzio (16,18) — Luca sviluppa il tema dell’uso cristiano della ricchezza. Si tratta evidentemente di un argomento di grande importanza per la sua comunità.

La parabola dell’amministratore scaltro è uno di quei testi che crea una certa difficoltà d'interpretazione e, se lo si legge con superficialità, si rischia di fargli dire cose "pericolose". Cosa significa: "Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta"? Com’è possibile che il Vangelo presenti un uomo disonesto quale modello da cui imparare? Gesù ci autorizza, anzi, ci spinge alla disonestà, a "comprare" le persone affinché stiano dalla nostra parte?

Andando a leggere con attenzione, troviamo: “Chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera?” (Lc 16,10s); quindi non c’è l’invito alla disonestà. Il testo di Amos della prima lettura conferma l’assurdità di una tale interpretazione, facendo un elenco di comportamenti da “furbetti” - diminuire l’efa e aumentando il siclo; usare bilance false; approfittare della debolezza altrui; vendere prodotti scadenti, spacciandoli per buoni; - e concludendo con una chiara parola del Signore: “Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere” (Am 8,7). C’è un altro Salmo che è ancora più esplicito: “E dicono: "Il Signore non vede, ... Intendete, ignoranti del popolo: stolti, quando diventerete saggi? Chi ha formato l'orecchio, forse non sente? Chi ha plasmato l'occhio, forse non vede? ... Il Signore conosce i pensieri dell'uomo” (7-11). La disonestà non è un valore, è peccato. Qualcuno dirà: “”Sono cose di poco conto; piccole frodi; piccoli furti ...”; ebbene Gesù ci ricorda che chi è “disonesto in cose di poco conto è disonesto anche in cose importanti” (Lc 16,10). Questi “piccoli” atteggiamenti disonesti, possono manifestare esteriormente un modo di essere interiore e più profondo.

Comunque la parabola non attira l’attenzione sui mezzi a cui il fattore ricorre per farsi degli amici. Il vero centro è racchiuso nella constatazione che “i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce” (16,8). La parabola non dovrebbe essere intitolata «Il fattore infedele», bensì «Il fattore astuto». Ciò che conta nella parabola è che ci si lasci impressionare dalla prontezza e dalla furbizia con cui il fattore cerca — senza un attimo di esitazione — di mettere al sicuro il proprio avvenire. Appena si accorge che il suo futuro è in pericolo, si mostra astuto, voltando a proprio vantaggio la difficile situazione in cui è venuto a trovarsi. Egli rinuncia alla propria quota, più o meno legittima, che avrebbe trattenuto sul debito verso il suo padrone. Ebbene, il cristiano non dovrebbe essere altrettanto pronto, scaltro e risoluto nell’assicurarsi nel tempo presente il regno di Dio?

L’aggettivo phronimos — che definisce le qualità del fattore e che comunemente viene tradotto con «prudente» — allude a diverse caratteristiche: la lucidità di avvertire la gravità della situazione, la prontezza nel cercare una soluzione perché non ci saranno altre opportunità, il coraggio di prendere decisioni. Come cristiani siamo chiamati a mettere in pratica questo atteggaiemtno in tutti gli ambiti della nostra esistenza, ma Luca applica questo principio in modo particolare in relazione all’uso della ricchezza.

Per la maggioranza dei commentatori «farsi amici con la disonesta ricchezza» significa aiutare i poveri: gli amici sono i poveri, amici di Dio che devono diventare amici nostri. C’è un modo privilegiato per essere astuti come il fattore della parabola: utilizzare le proprie ricchezze per soccorrere chi è nel bisogno. Ascoltiamo ora alcune parole di Benedetto XVI tratte dalla sua enciclica Caritas in veritate: "La carità eccede la giustizia, perché amare è donare, offrire del “mio” all'altro; ma non è mai senza la giustizia, la quale induce a dare all'altro ciò che è “suo”, ciò che gli spetta in ragione del suo essere e del suo operare. Non posso « donare » all'altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia. Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro. Non solo la giustizia non è estranea alla carità, non solo non è una via alternativa o parallela alla carità: la giustizia è « inseparabile dalla carità », intrinseca ad essa. La giustizia è la prima via della carità o, com'ebbe a dire Paolo VI, « la misura minima » di essa , parte integrante di quell'amore « coi fatti e nella verità » (1 Gv 3,18), a cui esorta l'apostolo Giovanni".

Oggi siamo invitati a tutt'altro che alla disonestà; siamo chiamati a una profondissima onestà e a un uso cristiano delle nostre cose. La carità, che è complementare alla giustizia, è il modo di vivere che il Signore ci chiede.



3 commenti:

  1. Il Signore sembra plasmare le nostre coscienze ad offrire il nostro impegno nello sviluppo di una nuova giustizia che accolga le necessità di chi, povero e debole, ma soprattutto solo, non può nulla nei confronti di chi, ricco e potente, ha la piena ed esclusiva facoltà di condannare e pretendere.

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  2. La parabola del fattore disonesto, dove abbiamo una truffa dentro un'altra, evidenzia un processo ricorsivo, speculare, tipico dei Vangeli, di Gesù, e dei geni nella storia in generale. Un altro esempio dei Vangeli e la sequenza della parabola del ricco epulone e di Lazzaro, della successiva risurrezione di Lazzaro e della successiva condanna e risurrezione di Gesù, determinata dal miracolo della risurrezione del suo amico. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo. Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelngelo. Grazie.

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  3. Ottimo commento, molto diverso è certamente più verace di tanti altri. Grazie!

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