XXXIII DOMENICA T. O.
Il Tempio era una mediazione; era lo spazio fisico che univa la terra al cielo. Chi voleva “toccare” Dio, doveva recarsi a Gerusalemme ed entrare in quello spazio sacro.
Dire che di quella straordinaria opera architettonica “non sarà lasciata pietra su pietra” (Lc 21,6) – fatto che storicamente si realizzerà definitivamente nel 70 d.C. per opera dell’esercito romano -, significa affermare che quel tipo di mediazione non servirà più; già il Salomone affermava: “Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito!” (1Re 8,27).
Con l’incarnazione del Verbo, il Tempio è diventato “inutile”, perché Dio stesso è uscito dallo spazio sacro, per entrare in quello profano - anzi possiamo dire che, dopo l’incarnazione non esiste più niente di profano – e raggiungere l’umanità. Scrive l’apostolo ed evangelista Giovanni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita …, noi lo annunciamo anche a voi” (1Gv 1,1ss). Dio non permette più di rinchiuderlo lontano dagli uomini, ma si lascia udire, toccare, vedere. La mia preghiera oggi è: “Aiutami Signore a riconoscerti in questa mia esistenza tanto ordinaria; aiutami a comprendere che non c’è alcuno spazio della mia storia che ti sia estraneo; lascia che, vedendoti e toccandoti, la mia vita fiorisca”.
La Parola che oggi ci raggiunge, però, ci invita anche ad alzare lo sguardo per fissarlo sull’ultimo giorno, quando “verrà il giorno rovente come un forno” e “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” (Mal 3,19;20).
Se fossimo Testimoni di Geova, saremmo in continua agitazione, perché convinti dell’imminenza di questo giorno; scruteremmo inutilmente la Sacra Scrittura per trovare gi indizi sufficienti per individuare con precisione il momento o almeno l’anno della catastrofe.
Quanto tempo speso inutilmente! Infatti, come afferma chiaramente Gesù: “Quanto … a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,32) e ancora: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno nel mio nome dicendo …: “Il tempo è vicino” . Non andare dietro a loro” (Lc 21,8).
Perché poi preoccuparci dell’ora? Perché chiedere quando?
Per avere il tempo sufficiente per recuperare quanto non s’è fatto in tutta la vita? Per poter rimandare fino all’ultimo momento possibile le scelte fondamentali di conversione?
Che senso ha chiedere “quando” verrà la fine del mondo, se in ogni momento di questo giorno io posso essere chiamato da Dio? Perché agitarci tanto per il destino ultimo della storia, non preoccupandoci invece di quello “penultimo” – che ci riguarda personalmente al momento del passaggio da questo mondo al Padre -?
Tra l’altro, se abbiamo ascoltato con attenzione ciò che il Signore ci ha appena detto, quel giorno “sarà rovente come un forno” per alcuni, ma anche che, per altri “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”. Anche il Salmo ci consola, perché ci ricorda che il Signore giudicherà il mondo con “giustizia e con verità tutte le genti” (Salmo 97). La giustizia di Dio non è mica come quella umana; Dio non usa lo stesso metro nostro – guai se così non fosse! -. Il primo “desiderio” di Dio è che l’essere umano sia salvato: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17).
Non dobbiamo avere paura di Dio, ma di noi stessi. Egli non si impone e non ci impone nulla, ma ci offre di entrare in una relazione profonda con Lui, perché la nostra vita lentamente cambi e la luce splenda nella nostra esistenza. Possiamo scegliere di fidarci di Lui e fare il possibile per seguirlo oppure fare a modo nostro, tenendolo completamente fuori o ai margini della nostra storia. Questo ci deve preoccupare: non è Dio il nostro nemico; non è Lui il pericolo. Il suo dono gratuito, la sua promessa è il sole di giustizia con i suoi raggi benefici. Non si può stare lontani dalla luce e dal calore del sole e pretendere di essere scaldati e illuminati. Lontano dal sole c’è tenebra e freddo.
E’ faticosa la fedeltà al Vangelo? Chiaramente si, perché comporta un progressivo lasciarsi trasformare; significa lasciare morire qualcosa di sé, affinché lentamente nasca una creatura nuova – quanto è duro e lento questo processo -, eppoi dobbiamo mettere in conto quello che Gesù annuncia chiaramente: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno … Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici …” (21,12;16). Essere cristiani oggi, come in ogni tempo è scomodo, perché il Vangelo non è di questo mondo e “il Principe di questo mondo” fa di tutto affinché venga rifiutato o vanificato.
Eppure questa è la via che ci consente già oggi un modo di vivere differente. Non intendo solo un modo etico di vivere, ma un modo di affrontare l’esistenza con tutte le sue fatiche - che a volte tolgono il respiro -, ma fa anche dire: “Passerà, perché il Signore è fedele”; “tutto io posso in colui che mi dà forza”.
Accogliere la chiamata di Dio aiuta a non fuggire, ma a perseverare, in attesa che già oggi il seme del bene germogli.
Con l’incarnazione del Verbo, il Tempio è diventato “inutile”, perché Dio stesso è uscito dallo spazio sacro, per entrare in quello profano - anzi possiamo dire che, dopo l’incarnazione non esiste più niente di profano – e raggiungere l’umanità. Scrive l’apostolo ed evangelista Giovanni: “Quello che era da principio, quello che noi abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita …, noi lo annunciamo anche a voi” (1Gv 1,1ss). Dio non permette più di rinchiuderlo lontano dagli uomini, ma si lascia udire, toccare, vedere. La mia preghiera oggi è: “Aiutami Signore a riconoscerti in questa mia esistenza tanto ordinaria; aiutami a comprendere che non c’è alcuno spazio della mia storia che ti sia estraneo; lascia che, vedendoti e toccandoti, la mia vita fiorisca”.
La Parola che oggi ci raggiunge, però, ci invita anche ad alzare lo sguardo per fissarlo sull’ultimo giorno, quando “verrà il giorno rovente come un forno” e “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia” (Mal 3,19;20).
Se fossimo Testimoni di Geova, saremmo in continua agitazione, perché convinti dell’imminenza di questo giorno; scruteremmo inutilmente la Sacra Scrittura per trovare gi indizi sufficienti per individuare con precisione il momento o almeno l’anno della catastrofe.
Quanto tempo speso inutilmente! Infatti, come afferma chiaramente Gesù: “Quanto … a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,32) e ancora: “Badate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno nel mio nome dicendo …: “Il tempo è vicino” . Non andare dietro a loro” (Lc 21,8).
Perché poi preoccuparci dell’ora? Perché chiedere quando?
Per avere il tempo sufficiente per recuperare quanto non s’è fatto in tutta la vita? Per poter rimandare fino all’ultimo momento possibile le scelte fondamentali di conversione?
Che senso ha chiedere “quando” verrà la fine del mondo, se in ogni momento di questo giorno io posso essere chiamato da Dio? Perché agitarci tanto per il destino ultimo della storia, non preoccupandoci invece di quello “penultimo” – che ci riguarda personalmente al momento del passaggio da questo mondo al Padre -?
Tra l’altro, se abbiamo ascoltato con attenzione ciò che il Signore ci ha appena detto, quel giorno “sarà rovente come un forno” per alcuni, ma anche che, per altri “sorgerà con raggi benefici il sole di giustizia”. Anche il Salmo ci consola, perché ci ricorda che il Signore giudicherà il mondo con “giustizia e con verità tutte le genti” (Salmo 97). La giustizia di Dio non è mica come quella umana; Dio non usa lo stesso metro nostro – guai se così non fosse! -. Il primo “desiderio” di Dio è che l’essere umano sia salvato: “Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17).
Non dobbiamo avere paura di Dio, ma di noi stessi. Egli non si impone e non ci impone nulla, ma ci offre di entrare in una relazione profonda con Lui, perché la nostra vita lentamente cambi e la luce splenda nella nostra esistenza. Possiamo scegliere di fidarci di Lui e fare il possibile per seguirlo oppure fare a modo nostro, tenendolo completamente fuori o ai margini della nostra storia. Questo ci deve preoccupare: non è Dio il nostro nemico; non è Lui il pericolo. Il suo dono gratuito, la sua promessa è il sole di giustizia con i suoi raggi benefici. Non si può stare lontani dalla luce e dal calore del sole e pretendere di essere scaldati e illuminati. Lontano dal sole c’è tenebra e freddo.
E’ faticosa la fedeltà al Vangelo? Chiaramente si, perché comporta un progressivo lasciarsi trasformare; significa lasciare morire qualcosa di sé, affinché lentamente nasca una creatura nuova – quanto è duro e lento questo processo -, eppoi dobbiamo mettere in conto quello che Gesù annuncia chiaramente: “Metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno … Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici …” (21,12;16). Essere cristiani oggi, come in ogni tempo è scomodo, perché il Vangelo non è di questo mondo e “il Principe di questo mondo” fa di tutto affinché venga rifiutato o vanificato.
Eppure questa è la via che ci consente già oggi un modo di vivere differente. Non intendo solo un modo etico di vivere, ma un modo di affrontare l’esistenza con tutte le sue fatiche - che a volte tolgono il respiro -, ma fa anche dire: “Passerà, perché il Signore è fedele”; “tutto io posso in colui che mi dà forza”.
Accogliere la chiamata di Dio aiuta a non fuggire, ma a perseverare, in attesa che già oggi il seme del bene germogli.
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