MESSA DELLA NOTTE DI NATALE
“Ho osservato la miseria del mio popolo … e ho udito il suo grido …: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo” (Es 3,7s); sono le parole di Dio, rivolte a Mosè al momento della sua vocazione. Sono parole antiche, ma sempre nuove; solo un cieco può non accorgersi della miseria del popolo di Dio; solo un sordo può non udire il grido sofferente dell’umanità. Sono molti gli indicatori che misurano la fatica umana del nostro tempo. E’ chiaro che non è tutto così, che non tutti stanno male, che il bene, seppur silenzioso, è enorme, ma non possiamo chiudere gli occhi davanti ai fatti.
“E’ nato per noi un bambino …” (Is 9,5); quella nascita avvenuta oltre 2000 anni fa, non è che una splendida parola gridata all’umanità intera e che da allora riecheggia, tanto che ha raggiunto anche noi che siamo qui. “Tu sei importante!”, questo è ciò che mi dice quella nascita. Colui che “i cieli dei cieli non possono contenere” si è fatto bambino fragile; Egli che, “pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma umiliò se stesso”, e lo ha fatto per me. Quel bambino è la risposta di Dio a me e a te che gli gridiamo “la terra tanto amata non ci basta …”; è la sua mano che viene a cercare la nostra per condurci e, per evitare di spaventarci si fa piccolo. Non si può avere paura di un Dio così.
Gesù è venuto per saziare la nostra fame e sete di pienezza e per aiutarci a non accontentarci di nient’altro di ciò che ci offre gratuitamente.
Diciamocelo chiaramente, usando le parole di sant’Agostino: “Fecisti nos Domine ad te et inquietum est cor nostrum de nec requiescat in te – ci hai fatti per te Signore e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te”.
Scriveva B. Pascal nei suoi Pensieri: “Tutti gli uomini cercano di essere felici, senza eccezioni, sebbene i vari mezzi impiegati siano diversi, essi tendono tutti a questo scopo. Ciò che spinge gli uni ad andare alla guerra e agli altri a non andarvi, è il medesimo desiderio … La volontà non intraprende la minima iniziativa che verso tale oggetto. E’ il movente di tutte le azioni di tutti gli uomini, anche di coloro che vanno a impiccarsi”. Il Signore vuole dare una risposta a questo desiderio. Chiunque di noi non viva troppo superficialmente sa bene che non c’è alcuna realtà creata sufficiente a saziare questa fame; esse possono darci gioie passeggere – la durata può variare -, ma non la felicità, anzi, come scrive il filosofo Seneca all’amico Gallione: “Fratello mio, tutti aspiriamo alla felicità, ma, quanto a conoscerne la via, brancoliamo come nelle tenebre. È infatti così difficile raggiungerla che più ci affanniamo a cercarla, più ce ne allontaniamo, se prendiamo una strada sbagliata; e se questa, poi, conduce addirittura in una direzione contraria, la velocità con cui procediamo rende sempre più distante la nostra mèta”.
Quest’anno il Signore ci parlerà attraverso il Vangelo di Matteo e se proviamo a sfogliarlo velocemente, scopriamo quante persone Gesù ha raggiunto e risanato – il lebbroso (8,3); il servo del centurione (8,5); la suocera di Pietro; gli indemoniati di Gerasa (8,28); il paralitico (9,11ss); l’emorroissa (9,18ss) -, e quanti altri ancora?
Dal quel bambino in avanti Dio percorre le nostre strade per fermarsi, guardare, toccare, ascoltare coloro che glielo permettono. Sottolineo queste ultime parole: coloro che glielo permettono.
A te che senti un vuoto difficile da definire, il Signore dice: “Vieni con me, fidati, non ti deluderò”. Ti condurrò lentamente, verso quella libertà e pienezza che desideri. Non ti offrirò scorciatoie né vie facili; ti derideranno, diranno che sei impazzito, ma questa è l’unica via. Sii come Ulisse che, si fece legare all’albero della nave per non seguire il canto illusorio delle sirene che, volevano farlo affondare. Sforzati di non ascoltare il canto affascinante, ma mortale, di chi vuole solo la tua rovina”.
Magari, come afferma il protagonista del Diario di un curato di campagna, è solo noia: “Mi dicevo dunque che il mondo è divorato dalla noia. Naturalmente, bisogna riflettervi un po’ sopra, per rendersene conto; la cosa non si sente subito. E’ una specie di polvere. Andate e venite senza vederla, la respirate, la mangiate, la bevete: è così sottile, così tenue che sotto i denti non scricchiola nemmeno. Ma basta che vi fermiate un secondo, ecco che vi copre il viso, le mani. Dovete agitarvi continuamente, per scuotere questa pioggia di ceneri. Perciò il mondo s’agita molto”; ascolta anche questa voce, la noia dice che non siamo soddisfatti.
Come facciamo Signore a riconoscerti a lasciarci prendere per mano da te che sei morto, anche se risorto, da millenni?
E’ necessario che ci riconciliamo con nostra madre – “non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa come Madre” (San Cipriano di Cartagine) – perché è a essa che Gesù ha affidato tutto ciò che è necessario e sufficiente per incontrarlo; a essa dobbiamo chiedere: “Dammi Gesù!”. E’ una madre, non una matrigna, non ci deluderà, se sapremo perseverare. A essa chiediamo che ci doni i sacramenti, la Parola di Dio, i pastori; non ci lascerà senza risposta. Non lasciamoci bloccare dalle sue rughe o da quello che i suoi nemici dicono di lei: è nostra madre e il Signore nostro Padre, a lei ci ha affidato.
Fermiamoci ad ascoltarla e a guardarla con occhi meno prevenuti e, riconosceremo la sua bellezza profonda – nonostante la sua età e i dispiaceri provocatele dai suoi figli - e il suo amore per noi.
Mettiamo da parte l’orgoglio, dimentichiamo gli sgarbi che pensiamo c’abbia fatto; mettiamo da parte la presunzione di saper tutto e ricordiamoci che è a essa che Dio ha dato tutto e che essa ha venti secoli di esperienza straordinaria; mettiamo da parte la superficialità, che ci fa pensare che per renderla più bella basti criticarla dal di fuori: risaniamola dal di dentro con la nostra vita santa.
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