Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

lunedì 3 maggio 2010

Una seconda cosa ti chiedo, Signore.
Fa’ provare a questa gente che lascio
l’ebbrezza di camminare insieme.
Donale una solidarietà nuova, una comunione profonda,
una «cospirazione» tenace.
Falle sentire che per crescere insieme
non basta tirar dall’armadio del passato
i ricordi splendidi e fastosi, di un tempo,
ma occorre spalancare la finestra del futuro
progettando insieme, osando insieme,
sacrificandosi insieme.
Da soli non si cammina più.
Concedile il bisogno di alimentare questa sua coscienza di popolo
con l’ascolto della tua parola.
Concedi, perciò, a questo popolo, la letizia della domenica,
il senso della festa, la gioia dell’incontro.
Liberalo dalla noia del rito, dall’usura del cerimoniale,
dalla stanchezza delle ripetizioni.
Fa’ che le sue Messe siano una danza di giovinezza
e concerti di campane,
una liberazione di speranze prigioniere
e canti di chiesa,
il disseppellimento di attese comuni
interrate nelle caverne dell’anima.


Tonino Bello

sabato 1 maggio 2010

AMATEVI COME IO HO AMATO VOI


V DOMENICA DI PASCQUA


Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27). Proprio domenica scorsa Gesù ci ha ricordato chi sono i suoi: coloro che lo ascoltano per seguirlo; non chi lo ascolta per discutere né chi lo ascolta per arricchirsi culturalmente né, tanto meno, chi neppure lo ascolta.

Oggi il Signore ci chiama ad ascoltarlo, per seguirlo lungo una strada tanto importante quanto impervia: “Che vi amiate gli uni gli altri” (Gv 13,34).

Gesù afferma anche che questo è un comandamento nuovo; ma come nuovo? Prima di Gesù gli ebrei non dovevano amarsi tra loro? Se ripercorriamo rapidamente l’A.T. troviamo bellissime testimonianze d’amore reciproco (Rut e la suocera Noemi; Davide e Gionata; Tobi e la sua gente ecc …).

Ascoltiamo anche alcune parole dell’apostolo Giovanni: “Carissimi, non vi scrivo un nuovo comandamento, ma un comandamento antico, che avete ricevuto da principio … Eppure vi scrivo un comandamento nuovo …” (1Gv 2,7s); insomma, questo comandamento è nuovo o è antico?

Il primo versetto del Vangelo appena ascoltato dichiara: “Quando Giuda fu uscito dal cenacolo …” (13,31); sappiamo che Giuda sta uscendo per tradire, cioè per consegnare, letteralmente, il Figlio di Dio nelle mani violente dei capi d’Israele che, a loro volta, lo consegneranno ai Romani, i quali, dopo un legittimo, seppur iniquo, referendum popolare, lo devasteranno, prima di inchiodarlo al legno. Proprio in questo momento, dopo avere lavato i piedi ai suoi, compreso a Giuda, Gesù parla d’amore e afferma: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).

Ora comprendiamo meglio cosa significa che il comandamento dell’amore è antico, ma nel contempo nuovo: è antico, perché da sempre Dio ha voluto che i suoi figli vivessero nell’amore, ma la novità sta nel “chi” amare e soprattutto nel “come” amare.

In questa stessa occasione, nel cenacolo, dopo avere lavato i piedi ai suoi Gesù ha detto: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi “ (13,15). Non è più sufficiente amare quelli del pproprio popolo, ma neppure gli altri come amiamo noi stessi, bensì come Gesù Cristo ci ha amati; mi rendo ben conto che è una cosa grossa, che può apparire addirittura impossibile da realizzare, forse adatta per qualche santo, in realtà questo comandamento nuovo è rivolto a ciascuno di noi personalmente. Possiamo dire sì o no, ma non possiamo far finta che Gesù non ci abbia parlato. La misura dell’amore quindi, è Gesù.

La Chiesa, allora, è la comunità di coloro che ascoltano il Signore e cercano di seguirlo e hanno come legge fondamentale l’amore. Non per niente dove c’è divisione, c’è il Divisore, cioè il diavolo, mentre dove c’è Cristo, c’è comunione o quantomeno ricerca costante di comunione.

Chi amare?

Sappiamo che l’antico popolo d’Israele era arrivato a fare una selezione tra chi amare e chi no; sappiamo che con alcune persone non si doveva entrare nemmeno in contatto, pena l’impurità – proprio nel mio ultimo viaggio in Israele ho fatto la spiacevole esperienza dell’essere considerato impuro; molti sputavano in terra al mio passaggio (segno evidente di disprezzo), ma molti altri addirittura non potevano guardarmi, perché anche il contatto visivo li avrebbe resi impuri -; spesso le religioni creano gli steccati: chi è dentro è con noi, chi è fuori è contro di noi. Gesù ha abbattuto ogni steccato e ogni muro, scrive Paolo che “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva” (Ef 2,14) e affida a noi la responsabilità di portare avanti quest’opera di comunione.

Ascoltiamo con pazienza ancora un attimo: “Chi dice di essere nella luce e odia il suo fratello, è ancora nelle tenebre. Chi ama suo fratello, rimane nella luce …, ma chi odia suo fratello, è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa dove va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi” (2,9ss).

Quando chiesero a Gesù chi fosse il prossimo da amare e servire, il Signore rispose con la celeberrima parabola del Buon Samaritano che, inizia così: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico …” (Lc 10,30); “un uomo”, cioè un essere umano. A chi gli chiedeva chi poteva essere escluso dal comandamento dell’amore, Gesù, di fatto, risponde: nessuno.

Signore, ci chiedi qualcosa che va veramente al di là delle nostre forze; lasciatelo dire: sei proprio un fondamentalista; un esagerato. Perché non ti accontenti delle mezze misure?

“Perché se avessi usato nei tuoi confronti le mezze misure ora non saresti libero e perché se continuerai a usare le mezze misure, non aiuterai il mondo a salvarsi”.

Per darci il colpo di grazia, Gesù ci ricorda anche che, “Da questo tutti sapranno che siamo suoi discepoli: se avremo amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Dove non c’è amore, dove non c’è comunione, Cristo è occultato, non è né visibile né riconoscibile.

AMORE: CHE COS'E'?

Carlo Maria Martini

Chiamo amore quell’esperienza intensa, indimenticabile e inconfondibile che si può fare soltanto nell'incontro con un'altra persona.

Non c'è quindi amore con una cosa astratta, con una virtù. Non c'è amore solitario. L'amore suppone sempre un altro e si attua in un incontro concreto. Per questo l'amore ha bisogno di appuntamenti, di scambi, di gesti, di parole, di doni che, se sono parziali, sono tuttavia simbolo del dono pieno di una persona ad un'altra.
Amore è dunque incontrare un'altra persona scambiandosi dei doni, è esperienza in cui si dà qualcosa di sé e c'è più amore quanto più si dà qualcosa di sé.
L'amore è un incontro in cui l'altro ci appare importante, in un certo senso più importante di me: così importante che, al limite, io vorrei che lui fosse anche con perdita di me. Uno scopre di essere innamorato quando si accorge che l'altro gli è divenuto, in qualche modo, più importante di se stesso. Per questo l'amore realizza qualcosa che potremmo chiamare un'estasi, un uscire da sé, dal proprio tornaconto: una sorta di estasi in cui io mi sento tanto più vero e tanto più autentico, tanto più genuinamente io quanto più mi dono, mi spendo e non mi appartengo più in esclusiva.