III DOMENICA T.O.
Domenica Giovanni Battista ci ha indicato Gesù, come “agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, oggi vediamo i primi passi del Signore lungo le strade, per realizzare tutto ciò che è stato promesso. Se andiamo a scorrere il Vangelo di Matteo, troviamo delle parole ricorrenti: “(Questo avvenne) perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta …”; in Gesù, Dio mantiene la Sua parola: “Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce … una parola che non torna indietro” (Is 45,23).
I piedi di Gesù, che sono i “piedi” di Dio, calpestano per prime le strade della Galilea, detta “delle genti”, cioè della parte settentrionale dell’antico regno di Israele che per prima era finita sotto il controllo del potere straniero, diventando nel 734 a.C. una provincia dell’impero assiro, governato da Tiglat-Piléser III – le genti o gentili erano i non ebrei, i pagani; i gentili stanno agli ebrei come i barbari stanno ai romani -.
Perché proprio da lì? Perché il profeta Isaia così aveva predetto. Perché lì vi è “il popolo che camminava nelle tenebre” e perché deve essere chiaro da subito che la libertà e la salvezza non sono riservate a un popolo o a categorie particolari, ma sono per tutti.
Ci sono le parole di un Salmo che possono aiutarci a comprendere cosa è avvenuto con Gesù: “(Il sole) sorge da un estremo del cielo e la sua orbita raggiunge l’altro estremo: nulla si sottrae al suo calore” (19,7). Gesù è il Sole che sorge per illuminare e riscaldare tutto ciò che esiste e, come il sole dal suo sorgere progressivamente illumina ogni realtà, così il Signore. Infatti “il popolo che abitava nelle tenebre, vide una gran luce” (Mt 4,16).
Sono oltre duemila anni che quella luce abbagliante, dalle remote regioni del Medio Oriente, si è estesa al mondo intero; davanti a quella Luce bisogna prendere una posizione. Questo chiede Gesù: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino” (4,17). Il dominio di Dio è vicino nello spazio e non nel tempo, quindi è già qui, anche se non pienamente realizzato e non si può far finta di niente.
Come reagire dinanzi al Sole che sorge? Riparandosi, rimanendo nella penombra? Con l’indifferenza?
Lasciandosi illuminare e riscaldare.
Sono i tre atteggiamenti che Gesù stesso richiama nelle parole all’antica Chiesa di Laodicea: “Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: Sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, e abiti bianchi per vestirti e perché non appaia la tua vergognosa nudità, e collirio per ungerti gli occhi e recuperare la vista” (3,15ss).
Gesù chiede di accogliere la sua luce con la conversione (metanoia), cioè scegliendo di uscire dall’ombra e dalla tenebra, qualunque forma essa assuma, per stendersi totalmente al Sole. Chiunque è stato al sole in maniera prolungata sa che non se ne esce indenni. Mettersi al Sole di Dio significa consentirgli di trasformarci e, non solo superficialmente, ma in profondità. Convertirsi non è come per l’abbronzatura, un inscurimento temporaneo della pelle, ma un radicale capovolgimento interiore, è lasciare che diventino reali le parole di Paolo: “se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove” (2Cor 5,17). Sono cose troppo alte? Non sono fatte per noi, ma per una piccola elite? Eppure il Signore ci chiede questo, anche se, per “fortuna”, ha la pazienza di rispettare i nostri ritardi e ci soccorre continuamente con la sua grazia.
La chiamata dei primi discepoli è la manifestazione concreta di cosa significhi convertirsi; essi ascoltano la voce che li chiama, lasciano ciò che hanno tra le mani e seguono Gesù. Non per niente tra i primi chiamati vi è, colui che riceverà il nome di Kefà, Pietra, Pietro, ma che per il momento si chiama Simone, che significa “docile all’ascolto”.
C’è un altro particolare incantevole in questa chiamata; Gesù, ci ricorda Matteo, “li chiamò” (4,21) e il verbo chiamare (ekalesen) significa anche dare il nome e dare il nome, nel linguaggio biblico, è prendere possesso.
I discepoli hanno accettato di diventare possesso di Dio e di seguirlo. Qui sta il passo centrale e fondamentale della conversione. Ricordate cosa disse Gesù a Pietro? «Va' dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23). Invece di seguirLo lo aveva superato, voleva inidcare lui la strada.
Guardando alla storia degli Dodici riceviamo un po’ di sollievo, perché ricordiamo quanto lento e pieno di cadute è stato il loro cammino e riconosciamo che, anche per noi, nulla è perduto.
Guardando alla storia degli Dodici riceviamo un po’ di sollievo, perché ricordiamo quanto lento e pieno di cadute è stato il loro cammino e riconosciamo che, anche per noi, nulla è perduto.
“Ti preghiamo, Signore, non stancarti di chiamarci, di chiederci di lasciare le nostre cose, per seguire te. Abbi pazienza quando fingiamo di non sentirti o siamo troppo indaffarati per darti retta. Continua a bussare alla nostra porta, perché, in fondo lo sappiamo che, senza di te, nulla ha senso”.
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