Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 20 marzo 2011

Ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni

II DOMENICA DI QUARESIMA

     “Sei giorni dopo …” (Mt 17,1); il testo di oggi inizia con queste parole. Sono passati sei giorni da quando Pietro ha preso in disparte Gesù per rimproverarlo, visto che Egli aveva spiegato  ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Sono passati sei giorni da quando Pietro si è preso una bella lavata di capo: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!» (Mt 16,23).
     Pietro non riteneva possibile una fine del genere per il Messia; del resto, come afferma esplicitamente Paolo, la croce è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23) ed è molto difficile credere che per vincere il male, può esser necessario perdere momentaneamente. .
     “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte su un alto monte” (Mt 17,2). Sono le stesse parole che abbiamo ascoltate domenica scorsa, perché il diavolo ha fatto con Gesù la stessa cosa (4,8). Quale differenza però!
     Sul monte il diavolo pretende di dare via ciò che non gli appartiene – “gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai» - ma, soprattutto, vuole ricevere ciò che non gli spetta: l’adorazione. Egli non dà mai nulla per niente. Se finge di concedere qualcosa è solo perché gli conviene; la sua è la logica del do ut des  (ti do affinché tu mi dia). Al diavolo non interessa assolutamente nulla dell’uomo, perché lo considera solo un mezzo per raggiungere i propri fini.
     Sul monte, invece, Gesù svela per un istante ciò che ha nascosto sotto la carne umana: la sua divinità. Se il diavolo vuol far credere di essere ciò che non è, Dio, invece, nasconde ciò che è.
     Il Padre si rende presente ancora una volta come nell’A.T. attraverso la nube - prima che il Verbo si incarnasse -, per dare una garanzia ai discepoli. Colui che stanno seguendo non è uno tra i tanti, ma è il Figlio, l’amato. Sono le stesse parole che già diversi secoli prima aveva annunciate il profeta Isaia: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. … «Io, il Signore, ti ho chiamato … ti ho formato e ti ho stabilito  come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre” (Is 42,1ss).
     Gesù è colui che è luce delle nazioni, mandato per aprire gli occhi ai ciechi e liberare i prigionieri, per questo va ascoltato e quindi seguito; è necessario fidarsi di Lui.
     Dio non si mostra per far godere l’estasi mistica; la contemplazione non è fine a se stessa. Si sale sul monte della Trasfigurazione non per restarvi, isolati dal mondo, ma per scendervi rinnovati e fiduciosi. Si sale non per disincarnarsi, ma per incarnarsi più profondamente nella storia. La contemplazione non fa crescere le “ali”, “come” agli angeli, ma rende i “piedi e le mani” più agili.
     A volte pensiamo che la relazione con Dio, che passa attraverso la preghiera, la meditazione della Parola di Dio, i Sacramenti ecc …, sia quasi un tempo rubato alla concretezza della vita – per questo anche i cristiani praticanti faticano a comprendere il senso della vita in clausura -; in realtà è la condizione essenziale affinché la vita sia diversa, abbia uno spessore inimmaginabile; una capacità di riconoscere i veri problemi del mondo e di mettersi in gioco per provare a risanarli.
Nella storia, i santi della carità, sono stati sempre dei grandi innamorati di Dio. Pensate che il più grande ospedale del Sud Italia è a San Giovanni Rotondo ed è stato iniziato da un povero frate (San Pio da Pietralcina); che dire poi dei Monti di Pietà, sorti per aiutare il ceto medio ad avere il denaro necessario da investire nelle proprie attività (iniziati e diffusi sempre grazie ai francescani).
     In realtà più si sale sul monte e più si scende a valle con qualcosa da dire e da dare, perché sul monte si incontra Dio, l’unico che non svende parole, ma che ha la verità da donare.
     Certo, salire sul monte, comporta il rischio di sentirsi dire ciò che ha udito Abramo: “Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò” (Gen 12,1). Non solo parole da poco, perché comportano la necessità di lasciare le sicurezze rappresentate dagli affetti, la cultura, i luoghi conosciuti. Per poter fare una cosa del genere, non basta aver sentito parlare di Dio, ma bisogna averlo incontrato trasfigurato almeno una volta; bisogna che almeno per un istante Egli sia riuscito a mostrarci il suo volto straordinario.
     Questa Quaresima non sia altro che una ricerca incessante del volto di Dio; una instancabile salita verso il monte dove Lui possa mostrarsi a noi in tutta la sua bellezza.
    


Nessun commento:

Posta un commento