Il caso fosco, terribile e pietoso del prete Riccardo Seppia il quale  conduceva una doppia vita – apparendo sacerdote ed esercitando satanismo  e altre pratiche orrende, secondo le accuse che stanno emergendo –  invita tutti a comprendere quale potenza di dissimulazione c’è in noi  uomini. Non mancano nella storia e nella cronaca casi del genere:  tranquilli pensionati che custodivano in casa vittime segregate o fatte a  pezzi, professionisti dalla doppia o tripla vita, madri snaturate,  uomini della legge ingannatori. 
Anche in uomini e donne saliti alle più alte ed esposte cariche del  potere o della fama non sono mancati casi del genere. Già, è a sua volta  un potere enorme, la dissimulazione. Lo conosciamo in qualche misura  tutti noi, eccetto i santi. Ma i guasti che tale potere produce sono a  volte altrettanto enormi. 
Proprio per questo colpisce di più quando a esercitare tale potere  nefasto è un uomo che, per l’abito che veste, dovrebbe essere tutto il  contrario, uno strumento della luce e del bene. Come è stato possibile,  ora molti si chiedono – e così è sempre in casi del genere, diversi  eppure sempre uguali tra loro – che non ci si sia accorti in tempo? E  come è stata possibile questa micidiale determinazione, questa feroce  arguzia del male? Ce lo siamo chiesti in molte occasioni. L’ultimo caso,  noto ai più, è quello della coppia appena condannata in via definitiva  per la strage di Erba.
Ecco perché di fronte a prove di malvagità che sgomentano e producono  ferite e guai seri, attivare la macchina del fango come ha fatto ieri  scrivendo da Parigi una firma di Repubblica,  è da maramaldi e da furbastri. Da maramaldi, perché si intende lucrare  sulle disgrazie altrui per ricavare argomenti pretestuosi per attaccare  chi viene considerato avversario, nella circostanza la Chiesa in  generale. Da furbastri, perché l’argomentare è grossolano: la deviazione  ferina di don Seppia sarebbe addirittura una malattia causata dalla  posizione della Chiesa sul sesso. Ma si sa, la smania – qualunque smania  e soprattutto quella di spargere fango – fa perdere lucidità e fa  perdere la capacità di comprendere i contorni reali delle vicende. 
L’ansia di menar fendenti contro la Chiesa, fa mettere in fila al noto  commentatore tante e tali banalità da indurci a dubitare che conosca non  solo la predicazione e le regole della Chiesa sul sesso, ma anche la  semplice logica dei fatti. Imputare la tremenda e spavalda doppia  personalità di don Seppia alla sua educazione cattolica – la medesima  che ha formato santi e gente normalissima – sarebbe come imputare la  doppia personalità dei coniugi di Erba alle scuole da loro frequentate  nel Comasco o addossare la responsabilità delle cose orrende che hanno  compiuto alla linea educativa dello Stato italiano che si è occupato  della loro formazione da ragazzi. 
Una malignità, ma soprattutto una corbelleria. Nel tentativo di usare  una vicenda pietosa per i suoi attacchi fangosi, la firma famosa di  Repubblica osa tirare in ballo il cardinale Bagnasco, arcivescovo di  Genova e presidente della Cei, osa evocare il suo ruolo di padre e di  maestro in quella città e in quella Chiesa capovolgendolo  ignominiosamente in quello di istruttore alla dissimulazione e all’ombra  complice e omertosa. 
E lo fa, la firma famosa e parigina, che tutto mostra di sapere degli  uomini e del mondo, proprio nel giorno in cui il pastore di Genova è in  visita sotto al sole e tra le sofferenze di Lampedusa, proprio mentre  torna a farsi segno dell’ascolto e della vicinanza della Chiesa ai  generosi, agli sgomenti, agli ultimi. E sostiene, la famosa firma  parigina che tutto sa e tutto giudica dell’Italia e del mondo, che  'tutti sapevano' a Genova del satanista vestito da prete, dell’orco  insinuato nel gregge, ma la Chiesa e suoi vescovi facevano finta di non  sapere. Ma se 'tutti' sapevano perché non hanno denunciato? Tutti  omertosi? O, invece, tutti – fedeli e pastori, cittadini e giornalisti –  raggirati dal maligno dissimulatore? Tutti attoniti, ancora una volta,  come già a Erba e in altri casi, per la potente dissimulazione di una  vita divenuta orrenda? Tutti, più che mai, pensosi di come nella nostra  vita, nella vita di ognuno, divampi sempre la lotta tra l’ombra e la  luce? Già, ma l’importante era accendere la macchina del fango. 
A chi giova? È davvero povera una battaglia culturale, magari legittima,  che ricorre a questi mezzi, a questo disprezzo dei fatti e delle  persone coinvolte, per spostare l’attenzione sull’obiettivo che si è in  animo – sempre e comunque – di colpire. Ma non potrà certo lamentarsi  chi si comporta così se poi – naturalmente per colpa d’altri, dirà,  dissimulando – il livello del dibattito nel Paese si imbarbarisce e si  attorciglia. In spirali cieche e velenose.
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