Il tema della famiglia resta cruciale nella sensibilità comune come anche nell’attenzione dei media. Crediamo di non andare lontano dal vero se diciamo che sull’analisi delle carenze e delle debolezze che riguardano l’assetto dell’istituto familiare ci sia ormai nel Paese una larga convergenza. Ciò che serve, ed è quanto mai urgente, è passare alla parte propositiva, agli interventi strutturali efficaci per dare dignità e robustezza a questa esperienza decisiva per la tenuta del Paese e il suo futuro. Nulla è davvero garantito se a perdere è la famiglia; mentre ogni altra riforma, in modo diretto o indiretto, si avvantaggia se la famiglia prende quota. La denatalità è un’emergenza dai contorni obiettivamente allarmanti.
L’Italia del 2040 o del 2050 chiede, anzi supplica l’Italia di oggi, a porre mente alle questioni che stanno compromettendo alla radice le condizioni per un affidabile equilibrio demografico. Su questo tema è in elaborazione il nuovo Rapporto-proposta da parte del nostro Comitato per il Progetto culturale.Il lavoro che manca, o è precario in maniera eccedente ogni ragionevole parametro, è motivo di angoscia per una parte cospicua delle famiglie italiane. Questa angoscia è anche nostra: sappiamo infatti che nel lavoro c’è la ragione della tranquillità delle persone, della progettualità delle famiglie, del futuro dei giovani. Vorremmo quindi che niente rimanesse intentato per salvare e recuperare posti di lavoro. Vorremmo che si riabilitasse anche il lavoro manuale, contadino e artigiano. Vorremmo che gli adulti non trasmettessero ai figli atteggiamenti di sufficienza o disistima verso lavori dignitosi e tuttavia negletti o snobbati. Vorremmo che il denaro non fosse l’unica misura per giudicare un posto di lavoro. Vorremmo che i lavoratori non fossero lasciati soli e incerti rispetto ai cambiamenti necessari e alle ristrutturazioni in atto. Vorremmo che gli imprenditori si sentissero stimati e stimolati a garantire condizioni di sicurezza nell’ambiente di lavoro e a reinvestire nelle imprese i proventi delle loro attività. Vorremmo che tutti i cittadini sentissero l’onore di contribuire alle necessità dello Stato, e avvertissero come peccato l’evasione fiscale. Vorremmo che il sindacato, libero mentalmente, fosse sempre più concentrato nella difesa sagace e concreta della dignità del lavoro e di chi lo compie, o non riesce ad averne. Vorremmo che le banche avvertissero come preminente la destinazione sociale della loro impresa e di quelle che ad esse si affidano. Vorremmo che scattasse da subito tra le diverse categorie un’alleanza esplicita per il lavoro che va non solo salvato, ma anche generato. Vorremmo che i giovani, in particolare, avvertissero che la comunità pensa a loro e in loro scorge fin d’ora il ponte praticabile per il futuro. Le manifestazioni giovanili in atto, in diverse piazze europee, non possono essere liquidate da alcuno con sufficienza.
Infine è la scuola, tutta la scuola, che dobbiamo amare con predilezione, qualificando certo la spesa ma non prosciugando risorse che lasciano scoperti servizi essenziali come le materne, il tempo pieno, le scuole professionali, la ricerca. Ai Confratelli Vescovi e Sacerdoti impegnati nei rispettivi territori a combattere ed emarginare la malavita, a recuperare ed educare energie potenzialmente positive, a incoraggiare e promuovere legalità e fiducia, diciamo tutta la nostra ammirazione e garantiamo la nostra cordiale solidarietà.
Ci sono studiosi di fenomeni sociali che, sulla base delle loro misurazioni, si dicono certi del fatto che non pochi semi buoni stanno schiudendosi. Noi Vescovi abbiamo altri campi di ascolto, ma possiamo confermare che nell’animo degli italiani non sta venendo meno la voglia di migliorarsi, di crescere, di impegnarsi. La maggioranza non si è staccata dalla vita concreta, ha resistito al canto delle sirene che continuano a veicolare modelli di vita facile, di successo effimero, di mondi virtuali, del “tutto e subito”. Sono messaggi suadenti che accarezzano il peggio dell’uomo, e alla fine anche violenti per la loro insistenza e la loro pervasività. Sembra che la schiuma di superficie sia inesorabilmente inquinata dai moduli dell’apparire a scapito del valore insito nell’esistenza concreta, intessuta di onestà, sobrietà, sacrificio, e meritevole di una conquista quotidiana. Come se la «normalità» del giorno per giorno, e la pazienza necessaria a costruire famiglia, affetti, lavoro, assetto sociale, fosse qualcosa di insopportabile, al pari di un morbo da scongiurare, spingendo l’acceleratore invece nella ricerca spasmodica di esperienze eccezionali e passerelle effimere, o guadagni facili, da ottenere magari attraverso il demone del gioco che molto promette per lasciare poi sul lastrico persone e famiglie. Gli antichi dicevano con grande acutezza: corruptio optimi pessima! E così è per tutti! Per questo, corrompere i costumi, e ancor più il modo di pensare – da qualunque parte provenga –, è un crimine contro Dio, la persona e la società intera. Sovvertire le categorie valoriali, mettendo − a esempio − a repentaglio con l’istituto familiare l’asse portante di ogni società, significa sventrare – per miopia intellettuale o per lucida strategia – il fondamento antropologico del benessere civile. Viene da chiedersi: a vantaggio di chi o di che cosa una simile opera demolitrice, pseudo culturale e ipocritamente umanistica? Il cinismo degli adulti induce i giovani a subire la vita, anziché incontrarla con positività, e diventarne protagonisti umili e gioiosi. Diamo fiducia alla voglia di futuro, tanto più che il mondo sembra attendere da noi proprio questo.
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