XIV DOMENICA T.O.
“Prendete il mio giogo sopra di voi … Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28s).Confesso che, ascoltando queste parole, ho sempre avuto un’impressione negativa, perché il giogo mi faceva pensare a qualcosa di pesante e, poco servivano le parole rassicuranti di Gesù sulla leggerezza del medesimo. M’ha illuminato un sacerdote. Il giogo infatti ha la funzione
di condurre l’animale dove vuole colui che lo conduce e quando il giogo è doppio, serve a far si che entrambi gli animali vadano nella stessa direzione, condividendo il peso del carico. Il giogo che Gesù ci offre ha quindi la funzione di condurci sulla strada giusta, di aiutarci a non disperdere tempo ed energie per esperienze che rischiano di farci perdere vita; ma c’è qualcosa di più: caricandoci del giogo di Gesù, Lui condivide con noi il peso. Chi si è lasciato raggiungere da Dio e gli ha permesso di venire ad abitare nella sua vita, sa bene cosa intendo dire. Ciò che senza Dio, affidandosi solo alle proprie forze – in un’illusione di autosufficienza -, è impossibile o quanto meno molto faticoso da vivere, diventa improvvisamente alla nostra portata se lasciamo agire la grazia. Quante volte abbiamo combattuto contro il peccato con la nostra volontà e con mille buoni propositi salvo poi andare a sbattere contro il fallimento? Basta che il Signore ci metta la sua mano e che noi glielo consentiamo e certi atteggiamenti così duri a morire, evaporano in un attimo. Questo giogo non è che il Vangelo di Gesù Cristo, vissuto come Lui lo ha vissuto. Questa è l’altissima nostra vocazione. “Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25). Chi sono questi sapienti e questi dotti?
E’ gente che ha studiato, che è molto preparata, che sa molte cose. Sono quelli che al cieco nato, guarito da Gesù, dicono: “Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?” (Gv 9,34). Sono coloro che non hanno nulla da imparare, perché credono di sapere tutto e di avere solo da insegnare. A queste persone Gesù aveva dichiarato: “Se foste ciechi non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane” (9,41). Sono i ciechi che credono di vedere.
Stiamo attenti a non confonderci; Gesù non ce l’ha con la cultura - quasi che l’ignoranza fosse un valore da salvaguardare e non una piaga di debellare -, essa è invece una realtà santa e straordinariamente preziosa, purché non ci faccia perdere il senso della misura.
Vi confesso che quando fino a qualche anno fa ero profondamente ignorante, credevo di sapere tutto, ora che so poco, percepisco profondamente la mia ignoranza. Finalmente so di non sapere e questo mi mantiene in ricerca. Da quando ho cominciato a cibarmi del preziosissimo patrimonio che la Chiesa conserva da secoli, mi sono accorto che abbiamo tra le mani qualcosa di vastissimo e straordinario e di fronte a questo, mi percepisco piccolissimo.
Il problema quindi, non è cultura o ignoranza, ma disponibilità e chiusura; se una persona è colta, ma non aperta alla verità, è insipiente; ma anche una persona ignorante, se è convinta di sapere tutto, sarà insipiente. Viceversa chi non ha studiato, come chi ha studiato, se è aperto e in ricerca della verità, potrà trovarla o meglio, si lascerà trovare da essa. La storia passata e presente della Chiesa annovera tra i suoi santi alcuni dei più grandi pensatori universali; uomini e donne il cui sapere era ed è vasto come il mare, ma è piena anche di persone molto semplici, a volte al limite dell’analfabetismo, che hanno conosciuto Dio e lo hanno donato agli altri.
Non è Dio che ha scelto i piccoli per rivelarsi, ma è che se non si è piccoli, la rivelazione non può trovare un punto di passaggio per brillare nella nostra esistenza.
“Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11). Nel 2005 il cardinal Ratzinger, allora Decano del Sacro Collegio, pronunciò queste parole proprio durante la Missa Pro eligendo Romano Pontifice (Messa per l’elezione del Romano Pontefice): “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero ... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro …. Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie. Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. É lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. … Nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo, anche nella nostra vita, verità e carità si fondono. La carità senza verità sarebbe cieca; la verità senza carità sarebbe come “un cembalo che tintinna” (1 Cor 13, 1)”.
Non esiste altra “strada” per conoscere Dio che il Cristo; solo Gesù ci ha permesso di comprendere che Dio è Padre. ma dirò di più, anche l’essere umano se vuole conoscersi per essere pienamente se stesso, deve passare per Gesù il Cristo. Quando l’essere umano vuole fare da sé, cercando di scegliere una strada autonoma, rischia veramente il fallimento.
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