VIII ► A livello popolare è, questo, il comandamento che colpisce una piaga universale, quella della menzogna, della calunnia, della mormorazione, della maldicenza e così via. E questa convinzione ha un suo fondamento.
Tuttavia, il significato primario del precetto biblico puntava soprattutto alla sfera pubblica, ossia all’orizzonte giudiziario e processuale, per cui la resa migliore dell’originale ebraico dovrebbe essere piuttosto questa: «Non deporre contro il tuo prossimo come testimone falso».
Il verbo usato è, infatti di taglio giuridico e riguarda precisamente la comparizione di un testimone durante un processo.
Considerando il rilievo che rivestiva la testimonianza a voce in una civiltà di cultura orale (lo scritto era secondario rispetto alla parola data), è facile comprendere perché questo comandamento fosse la prima norma in assoluto nel celebre Codice di Hammurabi (XVIII sec. a.C.), testo-base dell’antico diritto babilonese. Certo, in esso si ingloba anche la verità privata e quella delle corrette relazioni quotidiane, ma si punta prima di tutto alla vita sociale e al suo giusto funzionamento, alle azioni penali, alla tutela della dignità pubblica di una persona e del suo diritto all’amore.
Per questo l’accento cade sul “falso testimone” -in ebraico ‘ed sheqer-, che scardina e viola un diritto fondamentale della persona e della comunità.
Osservava un esegeta: “Sheqer non è solo un discorso menzognero, bensì tutto un modo di comportarsi contrario alla fedeltà e alla fede, all’assistenza giudiziaria a cui il prossimo ha naturalmente diritto; è un contegno aggressivo, distruttivo della comunità, asociale”.
Per marcare questa responsabilità, il testimone decisivo per una sentenza capitale doveva scagliare per primo la pietra della lapidazione: «La mano dei testimoni sarà la prima contro il condannato per farlo morire; poi la mano di tutto il popolo» (Dt 17,7).
E a questo proposito è illuminante la scena evangelica dell’adultera con l’invito di Gesù a scagliare la prima pietra, se si è senza colpa.
L’importanza dell’ottavo comandamento risulta anche dalla sua reiterata ripresa nella legislazione biblica. Solo un esempio: «Non spargerai false dicerie; non presterai mano al colpevole per essere testimone in favore di un’ingiustizia. Non seguirai….» (Es 23,1-2 e 7-8).
I profeti saranno veementi nel denunziare la corruzione dei magistrati, corollario della proibizione del Decalogo. Grida, ad esempio, Isaia: «Guai a coloro che fanno decreti iniqui e scrivono in fretta sentenze oppressive, per negare la giustizia ai miseri, per fare della vedova la loro preda e spogliare gli orfani» (10,1-2).
La Bibbia registra casi clamorosi di ingiustizia processuale nei confronti dei deboli. Pensiamo ai due falsi testimoni, subornati dalla potente regina Gezabele, per riuscire a far condannare a morte il contadino Nabot così da potergli sottrarre ‘legittimamente’ il terreno destinato ad allargare la tenuta reale di Izreel in Galilea (1 Re 21).
Oppure pensiamo a Susanna, una donna sposata bellissima che corre il rischio di esser condannata a morte per adulterio a causa della falsa e ipocrita testimonianza di due anziani notabili invaghiti della sua bellezza e da lei respinti (Dn 13).
Ma nella mente di tutti l’ottavo comandamento è presente con la scena della condanna di Gesù del Sinedrio: «I capi dei sacerdoti e tutto il Sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per metterlo a morte, ma non la trovavano. Molti, infatti, testimoniavano il falso contro di lui ma le loro testimonianze non erano concordi. Infine alcuni si alzarono a testimoniare il falso contro di lui e dissero….» (Mc 14,55-61).
Nessun commento:
Posta un commento