Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 15 ottobre 2011

Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo


XXIX DOMENICA T.O.

     Quando Gesù parla, vuole provocare una specie di choc, per risvegliarci da quella sorta di anestesia, che a volte pratichiamo su noi stessi per non vedere la nostra reale condizione. I farisei che abbiamo conosciuto in queste settimane, sono un po’ l’incarnazione negativa di chi non si lascia raggiungere dalla parola - “Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo …” (Mt 22,15) -, avrebbero potuto cercare di capire, di lasciarsi provocare, invece hanno scelto di mettere a tacere la voce del “medico” che li voleva curare.

     E io, come reagisco alla parola che Dio mi indirizza? Sono accogliente o indifferente o addirittura non la percepisco?
     I farisei e i loro discepoli – dobbiamo stare attenti a chi andiamo dietro, perché a seconda di chi ci affidiamo, possiamo imboccare la strada che porta lontano, oppure entrare in una strada senza uscita. Come scrive Seneca: “Fissiamo dunque bene la mèta e scrutiamo attentamente il modo per poterla raggiungere, con l'aiuto di un esperto che abbia già intrapreso ed esplorato il cammino … Non c'è dunque nulla di peggio che seguire, come fanno le pecore, il gregge di coloro che ci precedono, perché essi ci portano non dove dobbiamo arrivare, ma dove vanno tutti[1] – pongono furbescamente a Gesù il problema del tributo da pagare all’Imperatore. Sappiamo che il regno di Israele era finito sotto il controllo dell’Impero Romano e che, all’interno della società giudaica vi era chi disprezzava i Romani (zeloti) e chi invece li apprezzava in maniera più o meno  ampia (erodiani e sadducei). La domanda vuole fare in modo che Gesù prenda una posizione pro o contro l’Impero, per metterlo in contrasto comunque con una parte della società e possibilmente con l’occupante straniero. Al Signore viene chiesto di compiere un’operazione di aut aut, ma egli stupisce tutti, perché sorprendentemente opera un et et.
     Non è difficile avere una posizione manichea che divide la realtà in buono e cattivo, senza possibilità di mescolanza; ne conseguirebbe che da ciò che è cattivo, bisogna prendere una netta distanza.  Oramai abbiamo capito che per Gesù questo discorso vale solo in quanto al peccato, ma non in quanto al peccatore. Nessuno di noi deve essere emarginato per il peccato, ma al contrario, accolto per essere curato.
     Lo Stato, il potere politico, la realtà materiale sono  buoni o cattivi? Bisogna sporcarsi le mani con tutto questo o starne alla larga? Non c’è alcun dubbio: tutto ciò che Dio ha creato è radicalmente buono. Dopo avere compiuta l’opera dei sette giorni “Dio vide quando aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). Non dimentichiamo che una volta creato l’essere umano, il Signore lo ha posto nel giardino di Eden “perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2,15).
     Non dobbiamo contrapporre Dio alle realtà umane (aut aut), ma tenerli insieme, riconoscendo però a ognuno il giusto posto (et et).
     Non è vietato pagare le tasse all’Imperatore, non è vietato obbedire al sovrano, finché quest’ultimo non pretende di prendere il posto di Dio; finché non si ubriaca di sé. Solo in quel caso è necessario fare una scelta radicale, perché, come ci insegna Gesù “nessuno può servire due padroni, … o odierà l’uno o amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro”  (Mt 6,24s).
     La collaborazione con la politica, è una cosa buona, perché la politica è il farsi carico della cosa pubblica, del bene comune, costituisce uno di quei modi con i quali l’uomo “custodisce e coltiva” Eden; ciò che a noi cristiani non è concesso è identificare la politica, il partito, il capo partito, il leader con il messia. Quando queste realtà si separano da Dio e ne diventano autonome, sia che siano di destra, di centro o di sinistra, non possono più essere seguite da un cristiano. Finché “Cesare” sta al suo posto, non pone nessun problema, ma quando vuole fare sue le prerogative di Dio, allora bisogna avere il coraggio di opporglisi. E’ celebre l’episodio che vide protagonisti Ambrogio vescovo di Milano e l’imperatore Teodosio: il vescovo impedì al sovrano l’ingresso in chiesa a causa della strage di Tessalonica e lo riammise alla comunione dei fedeli solo dopo che ebbe fatto pubblica penitenza.
     Mi raccomando di non ridurre le mie parole a un discorso pro o contro l’attuale Presidente del Consiglio, perché oggi “Cesare” è lui e quindi con lui bisogna fare i conti,  ma ieri ce n’era un altro e domani un altro ancora, ma il principio rimarrà comunque valido.
     Per avere una chiara capacità di relazionarsi con “Cesare”, è necessario avere molto chiaro il rapporto con Dio, altrimenti si rischia di scivolare lentamente in posizioni di compromesso o di opposizione radicale e distruttiva. Potremmo sintetizzare le parole di oggi nel motto: non con Cesare o con Dio, ma con Dio per collaborare con Cesare.


[1] Seneca,  La felicità, I

1 commento:

  1. Grazie Padre Andrea per questa omelia molto mirata al problema che oggi stiamo vivendo..quanto siamo poveri dentro..basterebbe mettere al primo posto Dio per vivere con più amore... che Gesù ci doni sempre il suo Santo Spirito per poter fare scelte che ci portino a Lui.....

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