Capitolo 13
L’acedia
L’acedia è una
debolezza dell’anima che insorge quando non si vive secondo natura né si
fronteggia nobilmente la tentazione. Infatti la tentazione è per un’anima
nobile ciò che è il cibo per un corpo vigoroso. Il vento del nord nutre i
germogli e le tentazioni consolidano la fermezza dell’anima.
La nube povera
d’acqua è allontanata dal vento come la mente che non ha perseveranza dallo
spirito dell’acedia. La rugiada primaverile accresce il frutto del campo e la
parola spirituale esalta la fermezza dell’anima. Il flusso dell’acedia caccia
il monaco dalla propria dimora, mentre colui che è perseverante se ne sta
sempre tranquillo. L’acedioso adduce quale pretesto la visita degli ammalati,
cosa che garantisce il proprio scopo. Il monaco acedioso è rapido a svolgere il
suo ufficio e considera un precetto la propria soddisfazione; la pianta debole è
piegata da una lieve brezza e immaginare la partenza distrae l’acedioso. Un
albero ben piantato non è scosso dalla violenza dei venti e l’acedia non piega
l’anima ben puntellata. Il monaco girovago, secco fuscello della solitudine,
sta poco tranquillo e, senza volerlo, è sospinto qua e là di volta in volta. Un
albero trapiantato non fruttifica e il monaco vagabondo non dà frutti di virtù.
L’ammalato non è soddisfatto da un solo cibo e il monaco acedioso non lo è da
una sola occupazione. Non basta una sola femmina a soddisfare il voluttuoso e
non è abbastanza una sola cella per l’acedioso.
Capitolo 14
L’occhio
dell’acedioso fissa le finestre continuamente e la sua mente immagina che
arrivino visite: la porta cigola e quello balza fuori, ode una voce e si sporge
dalla finestra e non se ne va da lì finché, sedutosi, non si intorpidisce.
Quando legge, l’acedioso sbadiglia molto, si lascia andare facilmente al sonno,
si stropiccia gli occhi, si stiracchia e, distogliendo lo sguardo dal libro,
fissa la parete e, di nuovo, rimessosi a leggere un po’, ripetendo la fine
delle parole, si affatica inutilmente, conta i fogli, calcola i quaternioni, disprezza
le lettere e gli ornamenti e infine, piegato il libro, lo pone sotto la testa e
cade in un sonno non molto profondo, e infatti, di lì a poco, la fame gli
risveglia l’anima con le sue preoccupazioni. Il monaco acedioso è pigro alla
preghiera e di certo non pronuncerà mai le parole dell’orazione; come infatti
l’ammalato non riesce a sollevare un peso eccessivo, così anche l’acedioso di
sicuro non si occuperà con diligenza dei doveri verso Dio: all’uno infatti
difetta la forza fisica, all’altro viene meno il vigore dell’anima. La
pazienza, il far tutto con molta assiduità e il timor di Dio curano l’acedia.
Disponi per te stesso una giusta misura in ogni attività e non desistere prima
di averla conclusa, e prega assennatamente e con forza e lo spirito dell’acedia
fuggirà da te.
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