Straordinario testo di Benedetto XVI: meditiamolo!!!!!!
Oggi abbiamo sentito un testo – lo sentiamo e lo meditiamo – della Lettera ai Romani: Paolo parla ai Romani e quindi parla a noi, perché parla ai Romani di tutti i tempi.
Questa Lettera non solo è la più grande di san Paolo, ma è anche straordinaria per il peso dottrinale e spirituale.
E’ straordinaria anche perché è una lettera scritta a una comunità che
non aveva fondato e neppure aveva visitato. Egli scrive per annunciare
la sua visita ed esprimere il desiderio di visitare Roma, e preannuncia i
contenuti essenziali del suo Kerygma; così prepara la Città alla sua visita.
Scrive a questa comunità che non conosce personalmente, perché è
l’Apostolo dei Pagani - del passaggio del Vangelo dagli Ebrei ai Pagani -
e Roma è la capitale dei Pagani e quindi il centro, alla fine, anche del suo messaggio.
Qui deve giungere il suo Vangelo, perché sia realmente arrivato nel
mondo pagano. Giungerà, ma in modo diverso da come lo aveva pensato.
Paolo arriverà incatenato per Cristo e proprio in catene si sentirà libero di annunciare il Vangelo.
Nel primo capitolo della Lettera ai Romani, egli dice anche: della vostra fede, della fede della Chiesa di Roma si parla in tutto il mondo (cfr 1,8). La cosa memorabile della fede di questa Chiesa è che se ne parla nel mondo intero,
e possiamo riflettere come stia oggi. Anche oggi si parla molto della
Chiesa di Roma, di tante cose, ma speriamo che si parli anche della
nostra fede, della fede esemplare di questa Chiesa, e preghiamo il
Signore perché possiamo far sì che si parli non di tante cose, ma della
fede della Chiesa di Roma.
Il testo letto (Rm 12, 1-2) è l’inizio della quarta e ultima parte della Lettera ai Romani e comincia con le parole "Vi esorto" (v. 1). Normalmente
si dice che si tratti della parte morale che segue alla parte
dogmatica, ma nel pensiero di san Paolo, e anche nel suo linguaggio, non
si possono dividere così le cose: questa parola "esorto", in greco parakalo, porta in sé la parola paraklesis – parakletos, ha una profondità che va molto oltre la moralità; è una parola che certamente implica ammonizione, ma anche consolazione, cura per l’altro, tenerezza paterna, anzi materna; questa parola "misericordia" – in greco oiktirmon e in ebraico rachamim, grembo materno - esprime la misericordia, la bontà, la tenerezza di una madre.
E se Paolo esorta, tutto questo è implicito: parla col cuore, parla con la tenerezza dell’amore di un padre e parla non solo lui. Paolo dice "per la misericordia di Dio"
(v. 1): si fa strumento del parlare di Dio, si fa strumento del parlare
di Cristo; Cristo parla a noi con questa tenerezza, con questo amore
paterno, con questa cura per noi. E così anche non fa appello soltanto
alla nostra moralità e alla nostra volontà, ma anche alla Grazia
che è in noi, che lasciamo operare la Grazia. E’ quasi un atto nel
quale la Grazia data nel Battesimo diventa operante in noi, dovrebbe
essere operante in noi; così la Grazia, il dono di Dio, e il nostro
cooperare vanno insieme.
A che cosa esorta, in questo senso, Paolo? "Offrite i vostri corpi
come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio" (v. 1). "Offrire i
vostri corpi": parla della liturgia, parla di Dio, della priorità di
Dio, ma non parla di liturgia come cerimonia, parla di liturgia come
vita. Noi stessi, il nostro corpo; noi nel nostro corpo e come corpo dobbiamo essere liturgia. Questa è la novità del Nuovo Testamento, e lo vedremo ancora dopo: Cristo offre se stesso e sostituisce così tutti gli altri sacrifici.
E vuole "tirare" noi stessi nella comunione del suo Corpo: il nostro
corpo insieme con il suo diventa gloria di Dio, diventa liturgia. Così
questa parola "offrire" – in greco parastesai – non è solo un’allegoria; allegoricamente anche la nostra vita sarebbe una liturgia, ma, al contrario, la vera liturgia è quella del nostro corpo, del nostro essere nel Corpo di Cristo, come Cristo stesso ha fatto la liturgia del mondo, la liturgia cosmica, che tende ad attirare a sé tutti.
"Nel vostro corpo, offrire il corpo": questa parola indica
l’uomo nella sua totalità, indivisibile - alla fine - tra anima e corpo,
spirito e corpo; nel corpo siamo noi stessi e il corpo animato
dall’anima, il corpo stesso, deve essere la realizzazione della nostra
adorazione. E pensiamo - forse direi che ognuno di noi poi rifletta su
questa parola - che il nostro vivere quotidiano nel nostro corpo, nelle
piccole cose, dovrebbe essere ispirato, profuso, immerso nella realtà
divina, dovrebbe divenire azione insieme con Dio.
Questo non vuol dire che dobbiamo sempre pensare a Dio, ma che dobbiamo
essere realmente penetrati dalla realtà di Dio, così che tutta la
nostra vita – e non solo alcuni pensieri – siano liturgia, siano
adorazione.
Paolo poi dice: "Offrite i vostri corpi come sacrifico vivente" (v. 1): la parola greca è logike latreia e appare poi nel Canone Romano, nella Prima Preghiera Eucaristica, "rationabile obsequium". E’ una definizione nuova del culto, ma preparata sia nell’Antico Testamento, sia nella filosofia greca: sono due fiumi – per così dire – che guidano verso questo punto e si uniscono nella nuova liturgia dei cristiani e di Cristo.
Antico Testamento: dall’inizio hanno capito che Dio non ha bisogno di
tori, di arieti, di queste cose. Nel Salmo 50 [49], Dio dice: Pensate
che io mangi dei tori, che io beva sangue di arieti? Io non ho bisogno
di queste cose, non mi piacciono. Io non bevo e non mangio queste cose.
Non sono sacrificio per me. Sacrificio è la lode di Dio, se voi venite a
me è lode di Dio (cfr vv. 13-15.23). Così la strada dell’Antico
Testamento va verso un punto in cui queste cose esteriori, simboli,
sostituzioni, scompaiono e l’uomo stesso diventa lode di Dio.
Lo stesso avviene nel mondo della filosofia greca. Anche qui si
capisce sempre più che non si può glorificare Dio con queste cose – con
animali od offerte –, ma che solo il "logos" dell’uomo, la sua ragione divenuta gloria di Dio, è realmente adorazione, e l’idea è che l’uomo dovrebbe uscire da se stesso e unirsi con il "Logos", con la grande Ragione del mondo e così essere veramente adorazione.
Ma qui manca qualcosa: l’uomo, secondo questa filosofia, dovrebbe
lasciare – per così dire – il corpo, spiritualizzarsi; solo lo spirito
sarebbe adorazione.
Il Cristianesimo, invece, non è semplicemente spiritualizzazione o moralizzazione: è incarnazione, cioè Cristo è il "Logos",
è la Parola incarnata, e Lui ci raccoglie tutti, cosicché in Lui e con
Lui, nel suo Corpo, come membri di questo Corpo diventiamo realmente
glorificazione di Dio. Teniamo presente questo: da una parte certamente
uscire da queste cose materiali per un concetto più spirituale
dell’adorazione di Dio, ma arrivare all’incarnazione dello
spirito, arrivare al punto in cui il nostro corpo sia riassunto nel
Corpo di Cristo e la nostra lode di Dio non sia pura parola, pura
attività, ma sia realtà di tutta la nostra vita. Penso che
dobbiamo riflettere su questo e pregare Dio, perché ci aiuti affinché lo
spirito diventi carne anche in noi, e la carne diventi piena dello
Spirito di Dio.
La stessa realtà la troviamo anche nel capitolo quarto del Vangelo di San Giovanni,
dove il Signore dice alla samaritana: Non si adorerà in futuro su quel
colle o sul quell’altro, con questi o altri riti; si adorerà in spirito e
in verità (cfr Gv 4,21-23). Certamente è
spiritualizzazione, uscire da questi riti carnali, ma questo spirito,
questa verità non è un qualunque spirito astratto: lo spirito è lo
Spirito Santo, e la verità è Cristo.
Adorare in spirito e verità vuol dire realmente entrare attraverso lo
Spirito Santo nel Corpo di Cristo, nella verità dell’essere. E così noi
diventiamo verità e diventiamo glorificazione di Dio. Divenire verità in Cristo esige il nostro coinvolgimento totale.
E poi continuiamo: "Santo e gradito a Dio: è questo il vostro culto spirituale" (Rm
12,1). Secondo versetto: dopo questa definizione fondamentale della
nostra vita come liturgia di Dio, incarnazione della Parola in noi, ogni
giorno, con Cristo - la Parola incarnata -, san Paolo continua: "Non
conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare, rinnovando il
vostro modo di pensare" (v. 2). "Non conformatevi a questo mondo". C’è un non conformismo del cristiano, che non si fa conformare.
Questo non vuol dire che noi vogliamo fuggire dal mondo, che a noi non interessa il mondo; al contrario vogliamo trasformare noi stessi e lasciarci trasformare, trasformando così il mondo. E dobbiamo tenere presente che nel Nuovo Testamento, soprattutto nel Vangelo di San Giovanni,
la parola "mondo" ha due significati e indica quindi il problema e la
realtà della quale si tratta. Da una parte il "mondo" creato da Dio,
amato da Dio, fino al punto di dare se stesso e il suo Figlio per questo
mondo; il mondo è creatura di Dio, Dio lo ama e vuol dare se stesso
affinché esso sia realmente creazione e risposta al suo amore.
Ma c’è anche l’altro concetto del "mondo", kosmos houtos: il mondo che sta nel male, che sta nel potere del male, che riflette il peccato originale.
Vediamo questo potere del male oggi, per esempio, in due grandi poteri,
che di per sé stessi sono utili e buoni, ma che sono facilmente
abusabili: il potere della finanza e il potere dei media.
Ambedue necessari, perché possono essere utili, ma talmente abusabili
che spesso diventano il contrario delle loro vere intenzioni.
Vediamo come il mondo della finanza possa dominare sull’uomo, che l’avere e l’apparire dominano il mondo e lo schiavizzano.
Il mondo della finanzia non rappresenta più uno strumento per favorire
il benessere, per favorire la vita dell’uomo, ma diventa un potere che
lo opprime, che deve essere quasi adorato: "Mammona", la vera
divinità falsa che domina il mondo. Contro questo conformismo della
sottomissione a questo potere, dobbiamo essere non conformisti: non
conta l’avere, ma conta l’essere! Non sottomettiamoci a questo, usiamolo
come mezzo, ma con la libertà dei figli di Dio.
Poi l’altro, il potere dell’opinione pubblica. Certamente abbiamo
bisogno di informazioni, di conoscenza delle realtà del mondo, ma può
essere poi un potere dell’apparenza; alla fine, quanto è detto conta di
più che la realtà stessa. Un’apparenza si sovrappone alla realtà,
diventa più importante, e l’uomo non segue più la verità del suo essere,
ma vuole soprattutto apparire, essere conforme a queste realtà. E
anche contro questo c’è il non conformismo cristiano: non vogliamo
sempre "essere conformati", lodati, vogliamo non l’apparenza, ma la
verità e questo ci dà libertà e la libertà vera cristiana: il
liberarsi da questa necessità di piacere, di parlare come la massa pensa
che dovrebbe essere, e avere la libertà della verità, e così ricreare
il mondo in modo che non sia oppresso dall’opinione, dall’apparenza che
non lascia più emergere la realtà stessa; il mondo virtuale diventa più
vero, più forte e non si vede più il mondo reale della creazione di Dio.
Il non conformismo del cristiano ci redime, ci restituisce alla verità.
Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad essere uomini liberi in questo
non conformismo che non è contro il mondo, ma è il vero amore del mondo.
E san Paolo continua: "Trasformare, rinnovando il vostro modo di
pensare" (v. 2). Due parole molto importanti: "trasformare", dal greco metamorphon, e "rinnovare", in greco anakainosis.
Trasformare noi stessi, lasciarsi trasformare dal Signore nella forma
dell’immagine di Dio, trasformarci ogni giorno di nuovo, attraverso la
sua realtà, nella verità del nostro essere. E "rinnovamento"; questa è la vera novità: che non ci sottoponiamo alle opinioni, alle apparenze, ma alla Grazia di Dio, alla sua rivelazione. Lasciamoci formare, plasmare perché appaia realmente nell’uomo l’immagine di Dio.
"Rinnovando - dice Paolo in modo sorprendente per me - il vostro modo di pensare". Quindi questo rinnovamento, questa trasformazione comincia con il rinnovamento del pensare. San Paolo dice "o nous":
tutto il modo del nostro ragionare, la ragione stessa deve essere
rinnovata. Rinnovata non secondo le categorie del consueto, ma rinnovare
vuol dire realmente lasciarci illuminare dalla Verità che ci parla
nella Parola di Dio. E così, finalmente, imparare il nuovo modo di
pensare, che è il modo che non obbedisce al potere e all’avere,
all’apparire eccetera, ma obbedisce alla verità del nostro essere che
abita profondamente in noi e ci è ridonata nel Battesimo.
"Rinnovare il modo di pensare": ogni giorno è un compito proprio nel
cammino dello studio della Teologia, della preparazione per il
sacerdozio. Studiare bene la Teologia, spiritualmente, pensarla fino in fondo, meditare la Scrittura ogni giorno;
questo modo di studiare la Teologia con l’ascolto di Dio stesso che ci
parla è il cammino di rinnovamento del pensare, di trasformazione del
nostro essere e del mondo.
E, infine, "Facciamo tutto - secondo Paolo - per poter discernere la
volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto" (cfr v. 2).
Discernere la volontà di Dio: possiamo imparare questo soltanto in un
cammino obbediente, umile, con la Parola di Dio, con la Chiesa, con i
Sacramenti, con la meditazione della Sacra Scrittura. Conoscere e discernere la volontà di Dio, quanto è buono. Questo è fondamentale nella nostra vita.
E, nel giorno della Madonna della Fiducia, vediamo nella Madonna
proprio la realtà di tutto questo, la persona che è realmente nuova, che
è realmente trasformata, che è realmente sacrificio vivente. La Madonna
vede la volontà di Dio, vive nella volontà di Dio, dice "sì", e questo
"sì" della Madonna è tutto il suo essere, e così ci mostra la strada, ci
aiuta.
Quindi, in questo giorno, preghiamo la Madonna, che è l’icona vivente
dell’uomo nuovo. Ci aiuti a trasformare, a lasciar trasformare il
nostro essere, ad essere realmente uomini nuovi, ad essere anche poi, se
Dio vuole, Pastori della sua Chiesa. Grazie.
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