L’emendamento
del governo dunque è arrivato, con buona pace di chi, appena ieri,
scriveva con acredine e inesattezze ormai stranote e strasegnalate di
«fulminea sparizione dell’Ici» sui beni ecclesiastici, perseverando
nella distorcente pretesa di raccontare come esenti da imposte in Italia
le «attività di natura commerciale» riconducibili a enti non
commerciali (cioè non profit) e nella cattiva abitudine di identificare
la galassia di questi ultimi (ossia l’intero non profit) con la Chiesa
cattolica, che ne è parte assai importante ma non solitaria, visto che
in questo ambito ci sono iniziative di diversa ispirazione religiosa e
anche laiche.
Ma stiamo al punto. L’emendamento ha chiarito tutto ciò che c’era da chiarire? In parte. Rispetto al passato sembra cambiare poco. Per gli immobili a uso commerciale si pagherà domani come si pagava ieri. Chi evadeva l’imposta avrà meno scappatoie. Ma soprattutto un ente non profit, quando svolge in un suo immobile un’attività solo parzialmente commerciale, pagherà l’imposta non per l’intero immobile, ma per la parte adibita ad attività commerciale. Ancora ieri un quotidiano romano ripeteva la colossale fandonia della «cappella votiva» che renderebbe esente l’intero albergo o l’intero ristorante.
È falso, ridicolo e l’abbiamo dimostrato, ricevute alla mano, più volte. Il caso, iniquo, più clamoroso è quello dell’Hotel Giusti delle suore di Sant’Anna, a Roma, calunniate su quello stesso giornale, e su un sito satirico, come evasori fiscali, ladre matricolate. L’albergo ha cinque piani; tre sono adibiti a hotel a una stella; gli altri due a comunità delle suore e a cappella. Le suore pagano l’Ici, da sempre e senza sconti, per l’intero edificio, cappella compresa. Presto pagheranno soltanto per i tre piani adibiti ad albergo. Tanti sono nella stessa condizione di superpaganti (nonostante la martellante campagna politico–mediatica che sostiene addirittura il contrario) e, probabilmente, anche per questo il Governo non s’è avventurato in previsioni sul gettito possibile. Difficile dire quale sarà il saldo tra ciò che si sarà recuperato dall’evasione (che non è privilegio di legge, ma – come abbiamo scritto cento volte – violazione di legge) e ciò che, giustamente, non dovrà più essere versato.
Comunque sia, un sospiro di sollievo per la galassia del non profit? Fino a un certo punto. L’Europa dovrebbe ritenersi soddisfatta dopo che i radicali avevano portato il caso sino a Bruxelles (spacciandolo in Italia per un’offensiva solo contro la Chiesa, mentre in realtà – basta leggere le carte, e noi lo abbiamo fatto fin dall’inizio – era inevitabilmente mirata contro tutto il non profit, visto che non è mai esistita una disciplina dell’Ici ad ecclesiam, solo per la Chiesa).
Tuttavia alcuni, nel mondo del «senza fine di lucro», potrebbero restare ancora con il fiato sospeso. Il caso più evidente è quello delle scuole paritarie, non statali, che svolgono un servizio pubblico. Il caso evidentissimo è quello delle innumerevoli scuole dell’infanzia, che già oggi vivono di stenti (non pochi parroci e non poche associazioni che le tengono in piedi sono allo stremo), pur essendo in molti piccoli centri l’unica realtà a disposizione delle comunità locali (strumento di solidarietà, ed esemplare applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà). Un’imposta in più sarebbe per loro il colpo di grazia. Chi si occuperebbe di quei bambini, chi darebbe risposta abbordabilissima alle attese delle loro famiglie? Più in generale, è il caso degli innumerevoli servizi che il non profit – cattolico e di ogni fede, orientamento, colore... – svolge in Italia a servizio della collettività.
Servizi pubblici che comportano forme di «attività commerciale», ossia soldi che entrano ed escono, com’è inevitabile quando si erogano servizi. La solidarietà e la sussidiarietà saranno tassate? Sarebbe un autogol, una forma di autolesionismo tanto smaccata che neppure vogliamo pensarci. Il governo finora si è dimostrato giudizioso e ragionevole. Ha ignorato le grida isteriche, si è scrollato di dosso chi lo tirava per la giacca, non s’è fatto sedurre da alcuna sirena ideologica e ha tirato dritto. Vogliamo pensare che continuerà a fare l’interesse non di questa o quella parte, ma dell’intero Paese. Il non profit, se così sarà, verrà non penalizzato ma sostenuto e agevolato. Com’è giusto che sia.
Ma stiamo al punto. L’emendamento ha chiarito tutto ciò che c’era da chiarire? In parte. Rispetto al passato sembra cambiare poco. Per gli immobili a uso commerciale si pagherà domani come si pagava ieri. Chi evadeva l’imposta avrà meno scappatoie. Ma soprattutto un ente non profit, quando svolge in un suo immobile un’attività solo parzialmente commerciale, pagherà l’imposta non per l’intero immobile, ma per la parte adibita ad attività commerciale. Ancora ieri un quotidiano romano ripeteva la colossale fandonia della «cappella votiva» che renderebbe esente l’intero albergo o l’intero ristorante.
È falso, ridicolo e l’abbiamo dimostrato, ricevute alla mano, più volte. Il caso, iniquo, più clamoroso è quello dell’Hotel Giusti delle suore di Sant’Anna, a Roma, calunniate su quello stesso giornale, e su un sito satirico, come evasori fiscali, ladre matricolate. L’albergo ha cinque piani; tre sono adibiti a hotel a una stella; gli altri due a comunità delle suore e a cappella. Le suore pagano l’Ici, da sempre e senza sconti, per l’intero edificio, cappella compresa. Presto pagheranno soltanto per i tre piani adibiti ad albergo. Tanti sono nella stessa condizione di superpaganti (nonostante la martellante campagna politico–mediatica che sostiene addirittura il contrario) e, probabilmente, anche per questo il Governo non s’è avventurato in previsioni sul gettito possibile. Difficile dire quale sarà il saldo tra ciò che si sarà recuperato dall’evasione (che non è privilegio di legge, ma – come abbiamo scritto cento volte – violazione di legge) e ciò che, giustamente, non dovrà più essere versato.
Comunque sia, un sospiro di sollievo per la galassia del non profit? Fino a un certo punto. L’Europa dovrebbe ritenersi soddisfatta dopo che i radicali avevano portato il caso sino a Bruxelles (spacciandolo in Italia per un’offensiva solo contro la Chiesa, mentre in realtà – basta leggere le carte, e noi lo abbiamo fatto fin dall’inizio – era inevitabilmente mirata contro tutto il non profit, visto che non è mai esistita una disciplina dell’Ici ad ecclesiam, solo per la Chiesa).
Tuttavia alcuni, nel mondo del «senza fine di lucro», potrebbero restare ancora con il fiato sospeso. Il caso più evidente è quello delle scuole paritarie, non statali, che svolgono un servizio pubblico. Il caso evidentissimo è quello delle innumerevoli scuole dell’infanzia, che già oggi vivono di stenti (non pochi parroci e non poche associazioni che le tengono in piedi sono allo stremo), pur essendo in molti piccoli centri l’unica realtà a disposizione delle comunità locali (strumento di solidarietà, ed esemplare applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà). Un’imposta in più sarebbe per loro il colpo di grazia. Chi si occuperebbe di quei bambini, chi darebbe risposta abbordabilissima alle attese delle loro famiglie? Più in generale, è il caso degli innumerevoli servizi che il non profit – cattolico e di ogni fede, orientamento, colore... – svolge in Italia a servizio della collettività.
Servizi pubblici che comportano forme di «attività commerciale», ossia soldi che entrano ed escono, com’è inevitabile quando si erogano servizi. La solidarietà e la sussidiarietà saranno tassate? Sarebbe un autogol, una forma di autolesionismo tanto smaccata che neppure vogliamo pensarci. Il governo finora si è dimostrato giudizioso e ragionevole. Ha ignorato le grida isteriche, si è scrollato di dosso chi lo tirava per la giacca, non s’è fatto sedurre da alcuna sirena ideologica e ha tirato dritto. Vogliamo pensare che continuerà a fare l’interesse non di questa o quella parte, ma dell’intero Paese. Il non profit, se così sarà, verrà non penalizzato ma sostenuto e agevolato. Com’è giusto che sia.
Umberto Folena
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