“Il
lebbroso … andrà gridando: “Impuro! Impuro!” … se ne starà solo, abiterà fuori
dell’accampamento” (Lev 13, 45s). La malattia di cui si parla in questo
testo sembra non essere la lebbra – morbo di Hansen – che conosciamo noi, che,
pare non esistesse nel vicino Oriente prima della fine del IV secolo a.C.; non
sappiamo bene di quale problema si tratta, ma è certamente un problema visibile
e a livello cutaneo.
In ogni caso, la dichiarazione di impurità
del malato e il conseguente isolamento, non erano dovuti alla contagiosità
della malattia, ma a una questione religiosa. La “lebbra” era percepita come un
segno della corruzione della persona. La malattia, dunque, non sarebbe altro
che la manifestazione esteriore di un male interiore: il peccato. Ricordiamo
bene la “battaglia” tra il povero Giobbe – colpito da una tremenda malattia
della pelle -, che si affanna a dimostrare la propria innocenza agli amici, che
cercano in tutti i modi di convincerlo che, se è ridotto così è perché ha certamente
peccato – “Quale innocente è mai perito e
quando mai uomini retti furono distrutti?”(Gb 4,7) -.
Noi oggi sappiamo bene quanto sia falsa
questa idea che il peccatore è punito da Dio con il male. Non ha senso che un
cristiano, quando si trova negli affanni della vita, affermi: “Cosa ho fatto di
male?”, perché il Signore non “vuole la
morte del peccatore, ma che si converta e viva”.
Ci è chiaro pure che il peccato, che si
annida in noi, può avere un’incidenza anche sulla nostra salute psico-fisica.
Come esiste il male psicosomatico – malattia fisica di origine psicologica -, credo
si possa dire che vi è anche il male pneumosomatico (questo termine non esiste,
l’ho inventato io) – malattia originata dal male spirituale -. Non è Dio che
manda il male, ma il male è la conseguenza “matura” del peccato: “Mangeranno il frutto della loro condotta”
(Pro 1,31).
A chi ci vuole illudere che il peccato non
esiste; a chi si illude banalizzando il proprio peccato, io dico: “Attenzione,
perché il peccato fa sempre male, è come un parassita che si innesta nel nostro
organismo al fine di danneggiarlo
irreparabilmente”.
Il “lebbroso” era condannato
all’isolamento, a una specie di morte sociale. E’ la tentazione di ogni epoca:
tenere fuori, lontani gli impuri. E’ la logica che vuole un mondo di puri,
eliminando ciò che non lo è. Questo sistema non cura, uccide, taglia, estirpa.
Così non si odia il peccato, ma il peccatore, al quale non di dà nessuna
opportunità di salvezza.
Ecco però che in questa logica si
inserisce Gesù – Dio salva -. Il primo atteggiamento del Signore verso il
lebbroso è la compassione. E’ questo un termine straordinario, perché in greco ha
nella sua radice l’espressione viscere.
La compassione è il sentimento di dolore per il male dell’altro, che ti entra
dentro e ti prende; è il contrario dell’odio e dell’indifferenza.
La compassione di Gesù diventa subito
fatti. Egli allunga la mano e tocca il malato. Per colui che doveva stare lontano da tutti, che
era già morto per il mondo, Gesù compie un atto che prima ancora di guarirlo
fisicamente, gli ridona la vita. Là dove c’è chi esclude e isola, il Signore,
accoglie. Nessuno può essere semplicemente buttato fuori, nemmeno se il suo
peccato è tale da renderlo come deforme. So bene quanto sia difficile
concretizzare questa parola di Gesù; so quanto è più facile eliminare il
peccato con il peccatore, eppure non possiamo fare finta che Gesù non ci abbia
mostrato qual è l’atteggiamento di Dio. Non dimentichiamo ciò che scrive l’evangelista
Giovanni: “Chi dice dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è
comportato” (1Gv 2,6).
Il maligno tenta di tenerci nella “lebbra”
in tre modi:
-
convincendoci di non essere malati
-
facendoci credere che Gesù è buono, quindi gli andiamo
sempre bene come siamo, - dimenticando che alla peccatrice perdonata ha detto:
“Va’ e non peccare più”
-
facendoci sentire indegni di presentarci al Signore per
ricevere il perdono.
Messe da parte le prime due illusioni,
impariamo dal lebbroso a non avere paura di chiedere aiuto al Signore. Non ci
sentiremo mai dire da Lui, vattene mi fai schifo! Non sei degno di me.
Lasciamoci toccare dalla mano misericordiosa di Dio. Consentiamogli di
lasciarci alle spalle un passato che può essere anche molto malato, per
costruire con Lui un presente nuovo di libertà e bene.
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