Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 4 febbraio 2012

Per questo sono venuto ...

"Subito gli parlarono di  di lei ..."; "Gli portavano tutti i malati e gli indemoniati"; "Si misero sulle sue tracce ...: "Tutti ti cercano!". Riascoltando queste parole di Marco vedo scorrere davanti agli occhi le immagini dei milioni di pellegrini che ogni anno vanno a Lourdes, S. Giovanni Rotondo, Padova, Medjugorie. Moltissimi di questi uomini e donne hanno in comune con Giobbe l'esperienza del dolore e della malattia - personale o di qualche persona cara -: "così a me son toccati mesi d'illusione e notti di dolore mi sono state assegnate. Se mi corico ... la notte si fa lunga e sono stanco di rigirarmi fino all'alba". Ricordo l'ultima settimana, prima che mia mamma passasse a miglior vita e comprendo bene il senso di queste parole.

Come risultano vere le parole del Salmo: "Nella mia prosperità ho detto: «Nulla mi farà vacillare!». Nella tua bontà, o Signore, mi hai posto su un monte sicuro; ma quando hai nascosto il tuo volto, io sono stato turbato.  A te grido, Signore, chiedo aiuto al mio Dio" (29,7ss). Finché tutto sembra filare liscio ci si sente padroni del mondo, poi, quando si entra a contatto col dolore, si fa l'esperienza della fragilità e dell'impotenza. In quei momenti la fede accende la speranza; Gesù Cristo è cercato come il medico necessario - qualcuno si rivolge a Sua Madre o a qualche santo, ma non cambia la sostanza -. Anche noi ci portiamo o conduciamo i nostri cari davanti alla porta del Signore.
Come ai tempi in cui Gesù era presente fisicamente, ancora oggi, qualcuno viene guarito, ma la maggior parte deve portare a termine la salita al Calvario.
Perché?
Credo che questa risposta sfugga alla ragione umana. Essa fa parte di quel mistero che, pur non essendo totalmente incomprensibile, sfugge a una piena comprensione umana. Ci possiamo dare tante risposte parziali, ma non, una sola capace di calmare gli animi feriti. 
E' certo che Gesù non ha voluto vendere illusioni; ha guarito molti, ma  non tutti. Ha voluto aiutarci a prendere coscienza del fatto che siamo creature destinate all'eternità, ma fragili. In questa parte della storia  dobbiamo passare necessariamente per la strettoia del limite umano: "Laudato sii, mio Signore, per sora nostra morte corporale, dalla quale nullo homo vivente potrà mai scappare", cantava san Francesco. 
Per questo il rapporto con Dio non può ridursi alla ricerca di una garanzia. La vicenda del Figlio di Dio, al quale nulla è stato risparmiato o di Sua Madre, alla quale non è stato risparmiato il massimo dolore, ci dice con chiarezza che la fede non è assicurazione contro le difficoltà della vita.  La fede fa guardare il dolore con occhi diversi, ma non sempre consente di sfuggirne. Essa tiene lontana la disperazione, ma non il dolore, la stanchezza e lo sconforto. 
E' evidente che non sto parlando della fede ragionata; è necessario sentire nel profondo la parola di Gesù che dice: "Non temere, io sono con te"; la Sua mano che tocca e solleva; il Suo sguardo vivo e vero su di sé. 
Possiamo e dobbiamo andare per santuari; dobbiamo pregare, venire in chiesa e accendere i ceri, ma non tanto o non solo per chiedere il miracolo della guarigione, bensì per cercare quella voce, quella mano, quello sguardo. 
Vorrei a questo punto dire due sole parole su un sacramento evitato, proprio perché poco conosciuto: l'unzione degli infermi. La storia ce lo ha consegnato col titolo di "estrema unzione" e, per questo, tanti, troppi, pensano che sia da riservare ai moribondi oramai incoscienti. Quale errore! Esso è stato voluto da Cristo e consegnato alla Chiesa, certamente per chi è affetto da mali seri, ma non per accompagnare alla morte, bensì per sostenere nella malattia, ed eventualmente per guarire. Ascoltiamo le parole della preghiera di benedizione dell'olio necessario per il sacramento: "O Dio, Padre di ogni consolazione, che per mezzo del tuo Figlio hai voluto recare sollievo alle sofferenze degli infermi, ascolta la preghiera della nostra fede: manda dal cielo il tuo Spirito Santo Paràclito su quest'olio che ci viene dal frutto dell'olivo per nutrimento e sollievo del nostro corpo; effondi la tua santa benedizione, perché quanti riceveranno l'unzione di quest'olio ottengano conforto nel corpo, nell'anima e nello spirito, e siano liberi da ogni dolore, da ogni debolezza, da ogni sofferenza. Sia un olio santo da te benedetto per noi, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna con te per tutti i secoli dei secoli".
Concludo con le parole che abbiamo dette all'inizio della celebrazione nella preghiera di colletta: " O Dio, che nel tuo amore di Padre ti accosti alla sofferenza di tutti gli uomini e li unisci alla Pasqua del tuo Figlio, rendici puri e forti nelle prove ... illuminati dalla speranza che ci salva".

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