Natura, ragione e oggettività
La parola del Magistero non è più plausibile, oggi, per molti cristiani, perché la sua ragionevolezza e la sua oggettività non sono più trasparenti. Il Magistero è accusato di partire da una interpretazione obsoleta della realtà. Come gli stoici dei tempi antichi, - si dice - il Magistero ragiona a partire dalla «natura». Ma l'espressione stessa di «natura» è stata completamente sorpassata insieme all'intera epoca metafisica.
La parola del Magistero non è più plausibile, oggi, per molti cristiani, perché la sua ragionevolezza e la sua oggettività non sono più trasparenti. Il Magistero è accusato di partire da una interpretazione obsoleta della realtà. Come gli stoici dei tempi antichi, - si dice - il Magistero ragiona a partire dalla «natura». Ma l'espressione stessa di «natura» è stata completamente sorpassata insieme all'intera epoca metafisica.
In un primo tempo, questo cosiddetto naturalismo della tradizione del Magistero venne considerato in contrapposizione al personalismo della Bibbia. L'opposizione tra natura e persona, come modello fondamentale per l'argomentazione, era considerata, nello stesso tempo, una contrapposizione tra tradizione filosofica e tradizione biblica. Eppure è un fatto riconosciuto da tempo che non esiste un «biblicismo» puro, e che anche il «personalismo» ha i propri aspetti filosofici.
Assistiamo oggi a un movimento che è quasi il diretto opposto del precedente: la Bibbia è in larga misura scomparsa dalle opere moderne di teologia morale. Domina, al suo posto, la tendenza a un'analisi razionale particolarmente vigorosa, accompagnata dalla rivendicazione dell'autonomia della morale, che non si basa né sulla natura né sulla persona, ma sulla storicità e su modelli di comportamento sociale orientati verso il futuro. Bisogna cercare di scoprire ciò che è socialmente compatibile e ciò che serve a costruire una futura società umana.
La «realtà» sulla quale si basa l'«oggettività» non è più una natura che precede l'uomo, ma è piuttosto il mondo che egli stesso ha strutturato, che può analizzare in maniera semplice, e dal quale può estrapolare ciò che il futuro porterà. Qui ci troviamo di fronte alla vera ragione per cui il cristianesimo di oggi manca in larga misura di una autentica plausibilità, e non solo nel campo della morale.
Come abbiamo già visto, a seguito del mutamento filosofico introdotto da Kant, la divisione della realtà in soggettivo e oggettivo è diventata dominante.
L'oggettivo non è semplicemente la realtà in sé stessa, ma la realtà in quanto oggetto del nostro pensiero, in quanto cioè è misurabile e passibile di calcolo. Il soggettivo invece sfugge alla spiegazione «oggettiva». Questo significa, tuttavia, che la realtà che incontriamo parla soltanto il linguaggio del calcolo, ma non contiene alcuna espressione morale. Le forme radicali in costante espansione della teoria dell'evoluzione portano alla stessa conclusione, anche se da un punto di partenza differente. Il mondo non presuppone alcuna ragione: ciò che vi è di ragionevole in esso è risultato di una combinazione di accidenti, il cui continuo accumulo ha creato in seguito un tipo di necessità.
Secondo tale punto di vista, il mondo non contiene alcun significato, ma soltanto traguardi, posti dalla stessa evoluzione. Se il mondo è quindi un fotomontaggio di apparenze statiche, la massima direttiva morale che può dare all'uomo sarà dunque che questi deve impegnarsi in un qualche tipo di fotomontaggio del futuro, e che deve dirigere tutto conformemente, a ciò che considera utile. Il modello si trova quindi sempre nel futuro: sotto questo aspetto, il massimo miglioramento possibile del mondo è l'unico comandamento morale.
La Chiesa invece crede che in principio era il Verbo, e che quindi l'essere stesso porta il linguaggio del Logos, la ragione non solo matematica, ma anche estetica, morale. Ecco che cosa s'intende quando la Chiesa ribadisce che la «natura» ha un valore morale. Nessuno dice che il biologismo debba diventare la norma dell'uomo. Questo concetto è stato proposto solo da una certa corrente di un’evoluzione radicale.
La Chiesa difende dichiaratamente il significato della creazione, e mette in pratica ciò che intende quando dice: io credo in Dio, Creatore del Cielo e della terra. Vi è una ragione dell'essere, e quando l'uomo si stacca totalmente da essa riconoscendo solo il valore di ciò che ha costruito egli stesso, in quel momento egli abbandona ciò che è morale in senso stretto. In un modo o in un altro, stiamo cominciando a renderci conto che la materialità contiene un'espressione spirituale, e non è semplicemente destinata al calcolo e all’uso. Possiamo intravedere che vi è una ragione che ci precede, che essa sola può mantenere in equilibrio la nostra ragione e può impedirci di cadere in una non-ragione esteriore.
Necessità dell'esercizio
In definitiva, il linguaggio dell'essere, il linguaggio della natura, è identico al linguaggio della coscienza. Ma per ascoltare quel linguaggio è necessario, come per qualsiasi linguaggio, esercitarlo. Ora, poiché l'organo preposto a questa funzione è stato mortificato nel nostro mondo tecnologico, ecco che manca una qualsiasi plausibilità. La Chiesa tradirebbe non soltanto il suo messaggio ma il destino stesso dell'umanità, se rinunciasse a essere custode dell'essere e del suo messaggio morale. In questo senso, può essere contrapposta a ciò che è «plausibile», ma nello stesso tempo rappresenta le più profonde rivendicazioni della ragione.
Diventa evidente, a questo punto, che anche la ragione è un organo e non un oracolo. E anche la ragione richiede esercizio e comunità.
Che una persona sia capace di attribuire una ragione all'essere e di decifrare la propria dimensione morale, dipende dal fatto che risponda o non risponda alla domanda su Dio. Se il Verbo che è principio non esiste, non vi può neanche essere un Verbo nelle cose. Ciò che Kolakowski scopriva recentemente, diventa allora enfaticamente vero: quando non vi è Dio, non vi è morale, anzi non vi è neanche umanità.
In questo senso, analizzando le cose più a fondo, tutto dipende da Dio, da un Dio che è Creatore e che ha rivelato sé stesso. Per questa ragione, ancora una volta, abbiamo il bisogno della comunità la quale può garantire quel Dio che nessuno da solo potrebbe pretendere di portare nella propria vita.
La questione di Dio, punto centrale, non è una questione per specialisti. La percezione di Dio è proprio quella semplicità che gli specialisti non potranno mai monopolizzare, che invece può essere percepita soltanto mantenendo una semplicità di visione. Forse ci riesce oggi così difficile affrontare l'essenza dell'umanità, perché non siamo più capaci di semplicità.
La morale richiede quindi non lo specialista ma il testimone. Non ne consegue, naturalmente, che l'opera scientifica riguardante i criteri della morale e la conoscenza specializzata in questo campo siano superflue. Poiché la coscienza esige esercizio, poiché la tradizione deve essere vissuta e deve svilupparsi in epoche di cambiamenti culturali, e poiché il comportamento morale è una risposta alla realtà e quindi richiede una conoscenza della realtà, per tutti questi motivi l'osservazione e lo studio del reale e delle tradizioni della morale sono anch'essi importanti.
In altre parole, cercare una conoscenza approfondita della realtà è un comandamento morale basilare.
Non senza ragione gli antichi ponevano la «prudenza» al primo posto tra le virtù cardinali, interpretandola come volontà e capacità di percepire la realtà e di rispondervi in maniera adeguata.
Il compito generale della Chiesa e di ogni credente quanto alle questioni morali potrebbe alla fine, tutto sommato, essere così brevemente caratterizzato: il credente non insegna ciò che ha scoperto da sé stesso, ma testimonia la vivente saggezza della fede, nella quale la saggezza primitiva dell'umanità viene purificata, mantenuta e approfondita. Attraverso il rapporto con Dio, nella misura in cui la coscienza sia percettiva, quella sapienza umana primitiva diventa un veicolo concreto di comunicazione con la verità attraverso la comunione cui partecipa con la coscienza dei santi, e con la conoscenza di Gesù Cristo. Così il cristiano esprime e vive non una ideologia chiusa, e neppure una teoria limitata all'interno della Chiesa, ma riapre il messaggio dell'essere e da così una risposta autentica alla questione decisiva dell'umanità di oggi e di ogni tempo: alla questione di come si può essere uomo, di come si può vivere una vita veramente umana.
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