II DOMENICA DI PASQUA
Oggi è domenica, come lo fu quando Maria
di Magdala si recò al sepolcro di buon mattino e lo trovò spalancato e vuoto e i
due discepoli si incamminarono col volto triste verso Emmaus; Pietro e Giovanni
corsero al sepolcro e videro e credettero; Gesù apparve in mezzo ai suoi
discepoli, che si erano rinchiusi per
paura dei Giudei; infine, come quando Tommaso incontrò il Signore.
A volte
sembriamo dimenticarlo, ma se per i popoli di lingua inglese la domenica è il Sunday (giorno del sole), per i latini è
il dies domini, il giorno del
Signore. La domenica infatti richiama,
nella scansione settimanale del tempo, il giorno della risurrezione di Cristo.
È la Pasqua della settimana, in cui si celebra la vittoria di Cristo sul peccato
e sulla morte, il compimento in lui della prima creazione, e l'inizio della
" nuova creazione ". Non per niente è il giorno che ci caratterizza –
gli islamici sono quelli del venerdì e gli ebrei quelli del sabato -.
Sono passati tanti secoli, eppure, la
nostra domenica non è diversa da quella dei nostri padri e madri nella fede. Se
ricordate i discepoli di Emmaus, lungo la via stavano conversando di tutto quello
che era accaduto, ebbene, il verbo usato è omilein
(dal verbo homilèo deriva la nostro omelia). Gesù poi si affianca a loro e “cominciando da Mosè e da tutti i profeti,
spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27). E’
esattamente ciò che avviene in ogni chiesa, dove, dall’ambone viene proclamata
la parola di Dio, prima dall’Antico e poi dal Nuovo Testamento. - Apro una
parentesi interessante, fino a non molti anni fa nelle nostre chiese le donne
erano separate dagli uomini e stavano dalla parte di fronte all’ambone, perché
l’ambone rappresenta l’angelo che annuncia la resurrezione del Signore, e le
prime destinatarie di questo annuncio sono state proprio le donne -. I discepoli non riconobbero il Signore se non
dopo che ebbe spezzato il pane e recitata la benedizione. Noi siamo qui a
condividere lo stesso pane, che è Cristo.
Anche noi vediamo il vivente e non un
fantasma, la domenica è un giorno privilegiato per l’incontro con colui che
vuole la salvezza e la libertà di ogni uomo. Forse è per questo che il principe
di questo mondo, vuole che anche la domenica si lavori, si vada a far spesa, si
viva nei centri commerciali o la si dedichi solo allo sport e al relax. Se uno
è distratto, non va in cerca del Signore e potrebbe non lasciarsi trovare da Lui. Tommaso non era con
gli altri e ha rischiato di rimanere un incredulo. Se la Maddalena non fosse
stata al sepolcro, non avrebbe visto e toccato il suo amato Signore.
Ai discepoli radunati e impauriti, il
Signore ha detto: «Pace a voi! Come il
Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro:
«Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno
perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv
20,21ss). Quale responsabilità per coloro che incontrano Gesù, che ascoltano la
sua parola e spezzano il pane con Lui; c’è una stretta continuità tra la sua
missione e la loro missione, che, non è altro che la nostra. E’ come se Gesù
ripetesse nei secoli: “Continuate a compiere ciò che io ho compiuto. Siate il
segno della mia presenza nella storia”. Capite che siamo ben al di là del
freddo adempimento del precetto festivo. Non veniamo qui per adempiere un
precetto, ma per renderci disponibili a un incontro che ci cambi, che ci doni
continuamente vita e che debordi poi verso la realtà in cui viviamo.
Alla nostra Chiesa Gesù dà oggi una
missione fondamentale: essere casa della misericordia. “A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non
perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,23) non significa che ci è stato
affidato un potere arbitrario; noi non possiamo decidere chi perdonare o non
perdonare in base al nostro metro e alle simpatie. Noi siamo i necessari canali
della misericordia divina, per tutti coloro che chiedono perdono e scelgono di
cambiare vita. In italiano non si percepisce, ma il testo greco usa due verbi
diversi per parlare di perdono – aphète e kratète
-, ma ciò che è interessante è che quando si parla di perdono il verbo
indica un’azione compiuta definitivamente – il perdono fa si che da quel
momento il peccato non esista più -, mentre il non perdono, indica un’azione
continuata – se non perdonato, quel peccato perdura nel tempo -. La Chiesa è la
casa di tutti coloro che non guardano a chi era una data persona, ma a chi è,
perché Dio non guarda chi siamo stati, ma chi vogliamo essere oggi, lasciandoci
trasformare da Lui. La misericordia è dare la possibilità a una creatura di
diventare ciò che il Signore vuole che diventi, senza tenerla inchiodata alla
responsabilità del passato. Negare la misericordia è andare contro il mandato
del Signore.
Purtroppo va di moda l’autoconfessione –
io chiedo perdono direttamente a Dio -; dico purtroppo, perché, prima di tutto
va sostanzialmente contro il progetto di Dio, che ha voluto offrire una
mediazione, poi perché quando ci confrontiamo solo con noi stessi o ci
assolviamo sempre, senza chiederci ciò che invece il Signore vuole da noi: la
conversione radicale, oppure ci neghiamo anche la misericordia a cui avremmo
diritto. C’è chi trova sempre una valida giustificazione per il proprio peccato
e chi non si perdona nulla facendo una
vita da inferno.
Lasciamo concludere san Paolo, il quale
afferma: “chiunque tu sia, o uomo che
giudichi, non hai alcun motivo di scusa perché, mentre giudichi l’altro,
condanni te stesso; tu che giudichi, infatti, fai le medesime cose. …Tu che
giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, pensi
forse di sfuggire al giudizio di Dio? O disprezzi la ricchezza della sua bontà,
della sua clemenza e della sua magnanimità, senza riconoscere che la bontà di
Dio ti spinge alla conversione?” (Rm 2, 1ss).
Nessun commento:
Posta un commento