Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

domenica 17 giugno 2012

Il regno di Dio è come ...


XI DOMENICA T.O.

     Dichiara Gesù: “Se io scaccio i demòni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio” (Mt 12,28) e: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino” (Mc 1,15). Dove c’è Gesù c’è il regno di Dio, esso, infatti, non ha a che fare con la geografia - come nel caso dei regni umani -, ma è la presenza concreta di Dio nella realtà umana. Il regno di Dio c’è dove Dio regna.
     Gesù, Dio incarnato, è in qualche modo il seme del regno posto nella terra affinché si estenda e coinvolga tutti gli esseri umani, ma è anche la manifestazione di cosa significa in concreto lasciare regnare Dio, Egli, infatti, pur essendo Dio, è colui che, in quanto pienamente uomo, ha detto “non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. Non dimentichiamolo, Gesù ha voluto aderire liberamente a ciò che il Padre gli chiedeva e come ognuno di noi ha dovuto scegliere e vincere la tentazione di percorrere vie più semplici.

           In una sua lettera Madeleine Delbrel scrive a proposito di Charles de Foucauld: “(Egli è uno di quegli) uomini che hanno sentito tale chiamata (di Dio) e non hanno più scelta. Dio abbraccia tutto il loro orizzonte. Per il fatto che esiste, egli è preferito sopra ogni altra cosa”.[1]
     L’esistenza di ogni singolo essere umano è la terra dove Dio vuole seminare il regno e proprio per questo la storia dimostra chiaramente che il maligno tenta in tutti i modi di devastare la terra seminata – ha un’enorme fantasia -; si ingegna per trovare sistemi nuovi e subdoli, ma inesorabilmente, dopo i primi successi, il seme ricomincia a germogliare. Basta un piccola quantità di terra buona è la pianta germoglia. Da quando Gesù ha seminato la sua parola in un piccolo numero di discepoli, il regno di Dio non ha più cessato di espandersi.
     Il regno di Dio cresce dove ci sono uomini e donne che non gli fanno violenza, cioè non lo forzano, cercando di anticiparne lo sviluppo, né lo ostacolano con una vita separata da Dio.
     Ebbene si, anche forzare i piani di Dio è un modo per ostacolare il regno. Ne sa qualcosa Giuda, il quale, tradendo Gesù, ha probabilmente cercato di costringerlo ad anticipare la realizzazione del regno – pensava però a un regno terreno, nella terra promessa -. Quali conseguenze! Troppo spesso dimentichiamo che per Dio “mille anni sono come il giorno di ieri che è passato” e che i suoi tempi non sono i nostri.
     E’ chiaro poi che come la crescita del seme è ostacolato da una terra non curata, così il regno – che comunque si realizzerà pienamente - è rallentato là dove Dio è manifestamente rifiutato o dove trova l’indifferenza. Dio non può costringere nessuno o meglio, non vuole costringere nessuno ad accoglierlo. Dio non può regnare su queste esistenze e quindi non può regnare attraverso queste esistenze.
     Per queste ragioni la crescita del  regno non si misura con le statistiche, i numeri non dicono nulla. Il regno ha a che fare con la profondità, non con la quantità. Non è il numero dei battezzati o dei praticanti, che ci dice a che punto è il regno, ma la profondità con la quale il Vangelo riesce a condizionarne la vita. Non dimentichiamolo nazione cristiane in termini assoluti, hanno saputo generare vere e proprie mostruosità ideologiche che hanno cercato di costruire un regno alternativo a quello di Dio – marxismo, fascismo, nazismo -.
     Là dove Dio trova un terreno fertile l’albero cresce rigoglioso. Pensiamo a san Francesco, piccolo seme di senape che in pochi anni ha infiammato l’Europa e per venire più vicini a noi Teresa di Calcutta, partita da sola e diventata germoglio di un grande albero di carità.
     Questo ci insegna che il regno non si edifica forzando gli altri, modificando le strutture, chiacchierando di rivoluzioni …; no, il regno ha bisogno solo della mia terra personale. I miei si, rendono possibile a Dio di regnare; i miei no, lo rallentano.
     E’ chiaro, il tempo della mietitura verrà, anche se non spetta a noi conoscerne i tempi, allora non preoccupiamocene, viviamo tranquillamente, tanto è solo questione di tempo! Davanti al regno di Dio non si può scadere né nella iperattività – tutto dipende da me -, né nella passività – tutto dipende da Dio e io sto a guardare -; infatti dove non c’è la cooperazione umana, Dio è rallentato nella realizzazione dei suoi progetti di salvezza e quindi, l’essere umano ne deve pagare le conseguenze.


[1] M. Delbrel, La gioia di credere, Gribaudi 32

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