Durante il regno di Erode il Grande (40 a.C. – 4 d.C.) un sacerdote
levita – cioè appartenente alla classe sacerdotale di Israele – di nome
Zaccaria, riceve la promessa della paternità tanto attesa e oramai delusa. Il
nome Zaccaria significa “Dio ricorda”[1]
. Egli è sposato con Elisabetta, anch’ella appartenente alla casata
sacerdotale, discende infatti da Aronne – fratello di Mosè e primo sacerdote -.[2]
L’annuncio dell’angelo è una straordinaria bella notizia per uno che si
era oramai tristemente rassegnato all’infertilità. Zaccaria ed Elisabetta hanno
a che fare entrambi con il sacerdozio, sono definiti giusti, cioè osservanti
della Legge, eppure sono sterili; rappresentano un mondo che sta finendo – il
vecchio sacerdozio levitico sta per finire, sta per nascere un grande profeta –
il primo del Nuovo Testamento e anche l’ultimo dei profeti. Siamo sullo spartiacque della storia. Questa
coppia simboleggia la chiusura dell’Antico Testamento, mentre Giovanni apre una
nuova storia, seppur in radicale continuità. E’ la stessa antica promessa di
Dio che si compie: Dio ricorda il suo giuramento e sta per realizzarlo in
pienezza.
Giovanni Battista è il trait d’union tra i due testamenti ed è uno che
ha parecchio da insegnarci umanamente e spiritualmente. Prima di tutto perché è
il “patrono” dei co-protagonisti, cioè di coloro che sono chiamati a fare da
sfondo, sono collaboratori dei protagonisti; di quanti, una volta che hanno
compiuto il loro ministero devono accettare serenamente di farsi da parte, godendo
di avere fatto il proprio dovere. Giovanni è della scuola di Giuseppe sposo di
Maria e di tutti coloro che non si sentono inutili solo perché non hanno
diritto al podio e ai primi posti. Giovanni non è un protagonista, perché
Cristo è il protagonista, eppure Dio ha scelto di chiedere il suo aiuto. Noi
che siamo la maggioranza, probabilmente non saremo mai ricordati dai libri di
storia, eppure il Signore ci ha scelti e chiamati a collaborare alla diffusione
del suo regno, stando in seconda fila.
Giovanni Battista è un profeta, cioè un portatore della parola di Dio.
E’ uno chiamato innanzitutto ad ascoltare la voce di Dio e a comunicarla, senza
operarne riduzioni o amplificazioni personali. Per il profeta è importante la
disponibilità e la fiducia in Dio, chi è autonomo – legge a se stesso - non
potrà mai essere un vero profeta anche se molti lo definiranno tale -, perché
correrà sempre il rischio di diffondere
il proprio verbo e non ciò che Dio gli comunica. Il profeta deve accettare di
“dire” le parole di Dio e non le proprie.
Il profeta deve fare conoscere ciò che Dio vuole, senza lasciarsi
condizionare dai limiti umani. Nella storia Dio ha scelto come profeti creature
imperfette – chi si sentiva troppo giovane, chi incapace di parlare, chi
ignorante, chi impuro -, a loro non ha
mai chiesto di diventare perfette, ma semplicemente di fidarsi e di accettare
di servirLo. Questo chiaramente ha un costo, perché Dio non sempre manda ad
accarezzare l‘uomo, a volte e necessario
“sradicare, demolire, distruggere e
abbattere”.
Cosa significa? Dio vuole forse
il ferimento dell’uomo? No! E’ che per far fiorire un giardino bisogna prima
dissodare la terra, fertilizzarla, seminarla, liberarla dalle pietre e dai rovi.
Il profeta deve a volte sradicare rovi e pietre pesantissime, prima di veder
crescere la pianta della vita. Per far germogliare la vita di Dio è necessario
eliminare tutto ciò che la ostacola.
Giovanni Battista è patrono anche delle vittime della verità e della
libertà. Egli ha subito il martirio proprio a causa di quella parola chiara e
senza sconti che Dio gli aveva chiesto di annunciare. Del resto questo era il
suo ministero, Giovanni doveva annunciare la venuta del Messia e preparargli
una strada sgombra. Dio giunge dove trova la strada aperta, ma se essa è
ingombrata dal peccato e dall’autonomia difficilmente potrà giungere.
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