Sabato 3 agosto 1957.
Gioia,
gioia, gioia! E siano rese grazie a Dio. Da tre giorni ho di nuovo la
fede. Non che mi abbia mai abbandonato interamente ma, con il tempo e le
prove, si era confortevolmente installata in una tiepidezza che, come
si dice, nemmeno l'inferno apprezza.
Per
la seconda volta nella mia vita, le squame mi sono cadute dagli occhi, e
io conosco di nuovo quanto è dolce il Signore [cf At 9,18; Sal 33,9].
Certo, bisogna che innanzi tutto ti racconti come ho trovato Cristo la prima volta.
Era
una sera, nella mia cella, e da allora saranno fra poco tre anni.
Nonostante tutte le catastrofi che da alcuni mesi s'erano abbattute
sulla mia testa, io restavo ateo convinto e cercavo perfino, per
divertimento, di convertire il mio avvocato alla negazione di ogni vita
dello spirito fuori del corpo.
Mi
ricordo ancora dei potenti argomenti intellettuali che avevo racimolato
un po' dappertutto e che mi parevano irrefutabili. Anatole France è
molto forte al riguardo: Dio, essendo amore assoluto e onnipotente, ha
tuttavia creato un mondo imperfetto e degli uomini che l'hanno rinnegato
fin dalla loro creazione. Non poteva certo ignorarlo, e senza ciò non
sarebbe onnipotente; e se lo sapeva e ugualmente ha creato, vuol dire
che non è poi cosi buono.
Ora,
quella sera, ero a letto con gli occhi aperti e soffrivo realmente per
la prima volta nella mia vita con una intensità rara, per ciò che mi era
stato rivelato riguardo a certe cose di famiglia. Ed è allora che un
grido mi scaturì dal petto, un appello al soccorso: "Mio Dio", e
istantaneamente, come un vento violento, che passa senza che si sappia
donde viene [Gv 3,8], lo Spirito del Signore mi prese alla gola. Non è
un'immagine: ho realmente la sensazione che la gola si restringa e che
vi entri uno spirito troppo forte per l'involucro che lo riceve.
È
un'impressione di forza infinita e di dolcezza che non si potrebbe
sopportare troppo a lungo. E a partire da quel momento ho creduto con
una convinzione incrollabile che da allora non mi ha più abbandonato. Ho
cominciato a pregare e a dirigere i miei passi verso il Signore con una
volontà sostenuta da grazie onnipotenti. Tutto mi sembrava facilità,
calore e luce. Dio era prodigo di consolazioni di ogni specie che, nel
mio entusiasmo e nel mio zelo, pensavo meritate dalle mie ripetute
invocazioni.
Quando
il Signore s'impadronisce di un'anima, non lo fa in modo gretto ma con
profusione da gran Signore. Egli marchia il suo bene in maniera
indelebile, affinchè al momento della prova e dell'apparente abbandono,
noi possiamo continuare i nostri sforzi sullo slancio che questo primo
impulso ci ha dato. Per chi ha ricevuto questa presa di possesso, è
impossibile dimenticarla per sempre. E anche se le tentazioni o la
debolezza della carne finiscono con trasformare il cristiano ardente in
una tiepida pecorella, gli resterà sempre in fondo alla memoria il
ricordo di queste ore di pace e di felicità perfetta.
Durante
circa sei mesi ho cercato il Signore imponendomi lunghe preghiere e una
meditazione di ogni istante. E più io progredivo, più lo Spirito mi
colmava dei suoi doni. Mi ricordo specialmente delle meditazioni che
avevo fatto su Il Castello interiore di santa Teresa d'Avila, e sul
grado supremo della perfezione: l'unione dell'anima con Dio. Anch'io ho
cercato di dar la scalata alle sette dimore, e mi rendo attualmente
conto che tutto ciò che m'è stato donato, era sproporzionato con ciò che
io allora pensavo di meritare.
Questa
fase di felicità facile è cessata una sera con un'unione breve ma
intensa con Dio, che non dimenticherò mai. Poi venne un'aridità
relativa, tutto era divenuto duro, oscuro e lontano, con qualche piccolo
slancio passeggero come delle oasi nel deserto, e lo sforzo che io
compivo mi sembrava vano e inutile. E poi fu il lento crollo delle mie
buone risoluzioni, il cedimento del mio zelo, e io finii con marcire in
un pantano di fiacchezza e pigra indifferenza, e di disgusto per ogni
sforzo, pur restando perfettamente convinto delle verità della fede.
Detto
in altro modo, sapevo dov'era il bene, ma non lo facevo, perché ero
stanco e debole, e le prove che dovevo attraversare mi sembravano troppo
forti per la mia resistenza. Avevo la fede senza le opere [cf Gc 2,20],
e sono rimasto in questo stato fino a questa settimana.
Ma, adesso, vittoria! I tempi sono corti e il lavoro che devo fare lungo. Allora, coraggio!
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