XXII DOMENICA T.O.
“Siate
di quelli che mettono in pratica la parola, e non ascoltatori soltanto,
illudendo voi stessi” (Gc 1,22). Per oggi potrebbe bastare questa frase;
sarebbe sufficiente lasciarla risuonare nella mente, finché penetrasse in profondità
in noi.
Proprio domenica scorsa abbiamo assistito
all’esodo di molti discepoli di Gesù: “molti
… tornarono indietro e non andavano più con lui” (Gv 6,66); Pietro invece,
a nome dei Dodici ha detto: “Da chi
andremo Signore? Tu hai parole di vita eterna” (6,68).
Credo che questo stato d’animo sia la
condizione necessaria per vivere l’appello di Giacomo. Per mettere in pratica
la Parola è necessario averne gustato la bellezza e l’unicità. Ascoltiamo le
parole di un salmista: “I precetti del
Signore sono retti, fanno gioire il cuore; il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi. Il timore del
Signore è puro, rimane per sempre; i giudizi del Signore sono fedeli, sono
tutti giusti, più preziosi dell’oro, di
molto oro fino, più dolci del miele e di un favo stillante” (Salmo 19,9ss).
Del resto è Giacomo stesso che afferma: “Chi
fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta
fedele, non come un ascoltatore smemorato, ma come uno che la mette in pratica,
questi troverà la sua felicità nel praticarla” (Gc 1,25).
Senza questa scoperta c’è il rischio di
vedere Dio solo come un legislatore e nelle sue parole un sistema di leggi
opprimenti e impossibili da mettere in pratica.
Ricordiamo il detto “fatta legge, trovato l’inganno”; chi non comprende il valore
profondo di una legge, farà di tutto per trovare il modo per non
osservala, ma a norma di legge.
Se la Parola di Dio è legge e non dono
prezioso, conseguono vari atteggiamenti non buoni:
-
il rifiuto e l’indifferenza – la vita è già
sufficientemente complicata, senza che ci si metta anche Dio con le sue pretese
esagerate -;
-
uno sforzo sfiancante, ma fallimentare, perché la
volontà, seppur indispensabile, non è sufficiente per vivere la parola di Dio.
I comandi del Signore hanno bisogno di un cuore nuovo, non di una volontà di
ferro;
-
quell’aggiungere e togliere di cui parla Mosè. Si
aggiunge qualcosa a ciò che è mancante e si toglie ciò che è di più, eccessivo.
Non è il percorso indispensabile di chi vuole andare in profondità per
comprendere il vero senso della Parola, ma un operazione di adattamento della
grandezza della bella notizia portata da Gesù agli schemi umani, spesso troppo
miseri.
Scrive il profeta Geremia: “Quando le tue parole mi vennero incontro, le
divorai con avidità;
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore” (Ger 15,16).
la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore” (Ger 15,16).
Ancora una volta Signore ti diciamo: “Da chi andremo? tu hai parole di vita
eterna?”. Ascoltiamo le straordinarie parole di Madleine Delbrel: “Il Vangelo … è fatto per diventare il libro
della nostra vita … per essere accolto … Ciascuna delle sue parole … non
attendono altro che il desiderio profondo della nostra anima per fondersi con
lei … ci plasmano, ci trasformano, ci assimilano a sé. … Non ci è domandato che
di obbedire … e non sono i ragionamenti che ci aiuteranno a farlo”.[1]
“Per
compiere la tua opera sulla terra, tu non hai bisogno delle nostre azioni
sensazionali, ma i un certo volume di sottomissione, d’un certo grado di
arrendevolezza, d’un certo peso di cieco abbandono situato non importa dove,
tra la folla degli uomini. E se in un sol cuore si trovassero congiunti …
l’aspetto del mondo cambierebbe certamente. Perché questo solo cuore ti
aprirebbe la strada, diverrebbe la breccia per la tua invasione, il punto
debole dove cederebbe la rivolta universale”.[2]
Ti chiediamo, Signore,
accendi in noi la passione per la tua Parola. Tu hai inviato nel mondo il tuo
Figlio, Parola fatta carne per mostrati a noi uomini. Invia ora il tuo Spirito su
di noi, affinché possiamo incontrare Gesù Cristo in questa parola che viene da
Te, affinché lo conosciamo più intensamente e conoscendolo lo amiamo in modo
più totale pervenendo così alla beatitudine del Regno.
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