QUINTO EVANGELO
Di Giacomo Biffi
UNA SCOPERTA SENSAZIONALE
La notizia sarebbe ancora
sotto segreto. Una ristretta commissione di esperti sta faticando con la
tranquilla impazienza dei dotti a dare una perfetta edizione critica di tutto
il materiale di cui sono avventurosamente venuto in possesso.
In questo genere di
lavoro di solito si va per le lunghe. E', gente precisa, puntigliosa. E se c'è
in taluni un residuo di italica disinvoltura, è intimidito e come raggelato dal
pensiero di quel che potranno dire e scrivere i sapienti d'oltralpe. Sicché ci
vorranno degli anni.
D'altronde è urgente a
mio parere che questi antichi frammenti si conoscano. La carità mi spinge a
violare l'impegno al riserbo, col rischio di incorrere nell'ira dei miei
colleghi occhialuti e taciturni. Sono persone miti, inoffensive, laboriose come
le api. Nulla è però più duraturo e micidiale dei loro risentimenti, quando
vengono stuzzicati nel loro proprio campo.
Tanto più grande e
meritevole apparirà il mio amore per la cristianità e per le sue attuali
controversie. Ma forse è meglio che cominci a spiegare tutto dal principio.
In principio c'è il
commendator Giovanni Migliavacca, anzi Migliavacca commendator Giovanni, come
ha impavidamente stampato sui suoi biglietti da visita.
Ci fosse un
"trattato sull'industriale milanese", verrebbe riprodotto in
copertina come uno dei più perfetti esemplari. Cosa fabbrichi non ho mai ben
capito, Qualunque cosa sia, riesce a venderla a tutte le latitudini. Ai suoi
tempi ha fatto le "tecniche" alla sera e parla il francese e
l'inglese con la stessa difficoltà dell'italiano. Le sue impiegate, di bella
presenza, dovrebbero sapere tre lingue. Ma quanto più è bella la presenza,
tanto meno si formalizza sulla glottologia. Ma non c'è da pensare male: in ufficio
è paterno, ma serio. La segretaria gli serve come l'Enciclopedia Treccani nel
soggiorno della sua cosa. Arredano l'ambiente: le guarda con soddisfazione, ma
non le tocca. Non vuole complicazioni, né con la moglie né con la cultura.
E' cattolico convinto.
Sua moglie difatti va a messa tutte le domeniche libere e sua figlia ha
studiato dalle Marcelline.
A parole è fiero
oppositore del governo, per via delle tasse. In fondo al cuore spera che le
cose non cambino. Egli si è fatto tutto nel ventennio democristiano, e
all'epoca del "miracolo economico" è riuscito anche a piazzarsi sui
mercati internazionali davanti ai concorrenti francesi e inglesi, ai quali è
rimasta sempre in fondo al cuore la persuasione di essere stati raggirati:
l'avevano preso per un italiano - spaghetti, mandolino, "dolce far
niente" - e quando si sono accorti che era un milanese era già troppo
tardi.
Le sue convinzioni
sociali sono ben definite: dal Po, in giù sono tutti "terroni", ma la
colpa è di Garibaldi che ci ha messo insieme; la politica è una cosa sporca ed
è per i meridionali che non sanno far altro, però i sottosegretari si invitano
a pranzo anche se sono della Basilicata.
I preti devono
interessarsi solo di quel che succede in chiesa, ma anche in chiesa non devono
proibire di cantare l'"Ave Maria" durante il matrimonio della sua
"bambina", perché "lui paga".
Gli operai fanno sciopero
perché non hanno voglia di lavorare come invece lavora lui, che è sulla breccia
dall'alba a mezzanotte.
Naturalmente, come tutti
i milanesi è convinto di avere il "cuore in mano". Non sfugge a
nessuna colletta, a nessuna richiesta. In Valsassina, dove ha la casetta del
"vikend" mantiene il riscaldamento all'asilo dei paese. E se il Milan
vince il campionato, i frati di Padova ricevono un assegno di sei cifre.
Rispetta tutte le
opinioni, tranne quelle dei sindacati e dei tifosi dell'Inter.
Rispetta gli animali, i
preti, i carabinieri, a patto che restino tutti a una certa distanza.
Io sono un prete. E
tuttavia è mio amico.
E' mio amico fin
dall'infanzia. Pur essendo più anziano di me di qualche anno, è stato mio
compagno di giochi nel cortiletto dei nostro caseggiato popolare, dalle
ringhiere perennemente pavesate di camicie e di mutande, donde occhieggiavano
di tanto in tanto le nostre madri a rassicurarsi che la nostra scapestraggine
restasse nel limite dei sopportabile.
Poi io ho fatto il prete
e lui i soldi, ma siamo rimasti amici lo stesso.
Nell'aprile del '67 -
proprio poche settimane prima della "guerra dei sei giorni" - il
comm. Giovanni Migliavacca mi dice a bruciapelo: "Vieni a fare un giro con
me in Palestina?".
Era a causa del Padre
Mariano della televisione. L'aveva sentito una sera che era a letto con
l'influenza parlare del paese di Gesù, Nazaret, Gerusalemme, Betlemme, nomi che
gli ricordavano il presepio e i pomeriggi domenicali all'oratorio, e gli era
venuto il ghiribizzo - come una nostalgia - di andarli a vedere di persona. E
aveva trovato naturale pensare a me, prete, come accompagnatore.
La proposta mi provocò
una crisi di coscienza. Potevo senza rimorsi spendere tanti soldi per un
viaggio, sia pure per un pellegrinaggio in Terra Santa? E' vero che io vedevo
tanti miei confratelli - i più informati sui nuovi sviluppi del cristianesimo
post-conciliare - andare un po' in tutte le parti dei mondo a dialogare
sull'impegno e sul disimpegno, sulla comunità primitiva e sulla povertà
evangelica.
Si parlava anzi in quei
giorni di un prossimo raduno internazionale alle Isole Bahamas per la
riscoperta della Chiesa dei poveri. Io però non sarei andato a dialogare e
perciò non avevo scuse.
"Ma ghe pensi mi per
la grana", ripeteva spazientito il Migliavacca. Era per la mia coscienza
cascare dalla padella nella brace: potevo compromettermi in questo modo con un
tipico rappresentante del capitalismo e correre così il rischio di venire
perfettamente "integrato nel sistema"?
Alla fine il desiderio fu
più forte delle mie titubanze. E così una mattina d'aprile salivo sull'aereo
dietro il mio commendatore, con l'eccitazione e la vergogna di un adolescente
d'altri tempi che varcasse per la prima volta la soglia di una casa di peccato.
Il resoconto del nostro
soggiorno palestinese mi porterebbe fuori argomento. Ai nostri fini basti dire
che, esaurita la visita ai luoghi santi e qualche approssimativa devozione, il
commendator Giovanni Migliavacca si era abbandonato anche là all'istinto
dell'uomo d'affari, e, vestito mezzo americano e mezzo arabo, s'aggirava tutto
il giorno per le stradette e le bottegucce tutto intento a farsi spennare da
quei musi levantini. Ci vedevamo a cena, quando ritornava carico di tutta la
paccottiglia del Medio Oriente.
Una sera mi viene in
albergo con un involto misterioso pieno di carte sbrindellate. "Tieni,
questa è roba per te che hai studiato il latino. Ho capito subito io che sono stracci
del "tempo di Carlo Codiga" o almeno dei Lombardi alla prima
crociata".
Già avevo cominciato a
canzonarlo, come facevo, ma qualcosa in quei brandelli mi colpì. Si trattava
senza dubbio di pergamene di una antichità impressionante. Benché sbiaditi e quasi
cancellati dalla polvere e dalle macchie, i segni che vi erano mi apparvero
subito come caratteri greci, gli stessi dei più antichi codici del Nuovo
Testamento. Metteva conto di considerarli con un po' di attenzione.
L'esame degli esperti,
dopo il nostro ritorno, diede risultati sensazionali. Erano frammenti - ci si
assicurò della metà del secondo secolo, di uno scritto cristiano che poteva
benissimo risalire alla fine del primo. Pagine di un "quinto
evangelo" sobrio nella forma e originale nel contenuto, capace di gettare
una luce nuovissima sull'autentico insegnamento di Gesù.
Finanziati
dall'impagabile commendatore - che si dimostrava tanto più entusiasta quanto
meno ci capiva - ci si accinse in équipe, com'è d'obbligo oggi, a preparare
l'edizione critica, una fatica che è solo ai suoi inizi.
Quando vedrà la luce,
sarà un trauma per il mondo dei dotti. Migliaia di volumi pubblicati dalla
cultura tedesca, francese, anglosassone per risolvere la questione sinottica e
il problema dell'origine degli evangeli dovranno essere mandati al macero e
tutto si dovrà ristudiare da capo. Centinaia di professori universitari vivono
oggi ignari i loro ultimi anni di tranquillità prima della disperazione e
dell'infarto.
Ma io non posso aspettare
l'edizione critica. Ed ecco perché.
Un vento nuovo spira in
questi anni sulla cristianità. Idee giovani e vigorose lievitano il popolo di
Dio. Sacerdoti, teologi, teologhesse enunciano concetti ogni giorno più
sorprendenti, nei linguaggi più disparati, tra la meraviglia attonita degli
abitanti di Gerusalemme: è una nuova Pentecoste.
Io sarei stato
dall'inizio tra gli ammiratori senza riserve di questo moderno multiforme
"annuncio", se non avessi incontrato una difficoltà; tutti questi
maestri dichiaravano di voler tornare ai genuini insegnamenti di Gesù, come
sono contenuti negli scritti del Nuovo Testamento, senza incrostazioni, senza
"superstrutture"; eppure le loro dottrine non mi apparivano
suffragate dai testi sacri a nostra disposizione.
Non che mi sembrassero
sbagliate. Anzi, mi tutte belle e affascinanti, ma non ne vedevo il fondamento
evangelico. Mi mancava il loro collegamento con Cristo e questo mi metteva a
disagio. Forse, nei rari momenti di silenzio interiore, metteva a disagio
anche, i loro sostenitori.
Ed ecco che quasi per
miracolo il collegamento mi veniva offerto dalle cartacce raccolte chissà dove
dal commendator Migliavacca Giovanni. Ognuno di quei frammenti sembrava
costituire la prova finora mancante alla genuinità biblica delle nuove
dottrine. Tutto mi diventava chiaro.
Nessuno si meraviglierà
allora dell'entusiasmo che mi ha afferrato alla scoperta, e della mia
impazienza, per la quale non ho saputo attendere la famosa edizione
scientifica, che ho preannunciato, e mi sono deciso a pubblicare questi testi
in una traduzione forse un po' spigliata, ma sostanzialmente fedele, e con un
modesto commento illustrativo.
Se incorrerò nel biasimo
dei miei colleghi, che pubblicheranno tra non molto in modo impeccabile il
testo originale e l'esame comparato delle sue fonti spero almeno di avere la
riconoscenza di tutti quei pensatori - si fa per dire - che troveranno in
queste brevi pagine una base sicura per i loro ardimenti.
A qualcuno potrà non
garbare l'idea del vecchio manoscritto. Non vorremmo si arrivasse addirittura a
mettere in dubbio la buona fede nostra o del nostro amico commendatore.
Questi ritrovamenti sono
capitati con molta frequenza in questi ultimi secoli, anche ai migliori
scrittori; Perché sarebbero interdetti solo al signor Migliavacca? Il quale è
decisissimo a non mostrare le sue preziose pergamene a nessun curioso che ne
facesse richiesta. E ha invece disposto che alla sua morte vengano consegnate
alla Biblioteca Ambrosiana, dove resteranno, custodite con uguale amore,
assieme alle pagine autografe del celebre Anonimo manzoniano.
FRAMMENTO 1
Prostratisi lo
adorarono. Poi, aperti i loro scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e
mirra (Mt 2, 11).
Prostratisi lo
adorarono. Poi, aperti i loro scrigni, gli offrirono in dono oro, incenso e
mirra. Ma disse Giuseppe: L'oro non lo possiamo accettare, perchè è segno di
ricchezza e contamina chi lo dà e chi lo riceve (Quinto evangelo)
L'episodio dei Magi ci
descrive la vicenda spirituale degli uomini di cultura, che, persi nella
contemplazione delle loro chimere e attardati dalla selva intricata dei loro
ragionamenti, arrivano a Betlemme in ritardo su tutti, a spettacolo finito.
Però ci arrivano, perché
nella capanna c'è posto per tutti, perfino per qualche intellettuale.
Anche questo evangelo -
come quello di Matteo - tace degli altri Magi, che partiti al seguito della
stella sbagliata giunsero chi alla reggia del celeste impero, chi dal Negus
degli Etiopi e persero così l'occasione di passare alla storia. Distratti,
scombinati, pronti sempre sul terreno pratico ad ogni balordaggine, scelgono
per il re dei Giudei i regali meno opportuni. Intanto l'offerta della mirra -
che serviva per il trattamento dei cadaveri - era di pessimo gusto per un
neonato: non si va a suscitare pensieri di morte laddove è appena sbocciata la
vita.
L'incenso poi, avviando
l'uso nel cristianesimo di questa materia propria delle corti e dei templi
orientali, ha segnato l'inizio del trionfalismo liturgico ed ecclesiastico, che
tutti deprechiamo.
Ma con l'oro questi goffi
personaggi hanno superato ogni limite prevedibile. Come? Il Figlio di Dio vede
la luce in una stalla, si circonda di caprari e di vaccari, volendo in tal modo
manifestare la sua volontà di fondare la Chiesa dei poveri, ed ecco che arrivano questi
signori a contaminare con la loro ricchezza la pura austerità del quadro. Sotto
lo sguardo sbigottito dell'asino e del bue, trovava il suo principio la Chiesa costantiniana.
E' mai possibile che
questa Chiesa costantiniana nascesse senza contestazioni? Stando a Matteo
sembrerebbe quasi che l'oro - emblema e fonte di ogni corruzione - fosse stato
tranquillamente accettato dalla sacra famiglia.
Ma qui veniamo a sapere
come si sono svolti veramente i fatti: Giuseppe, uomo taciturno e rude, con
dignità e calma, ma con estrema fermezza esprime il suo dissenso, enunciandone
la ragione profonda: laddove c'è oro, non ci può essere né Cristo né la Chiesa di Cristo.
Il frammento è tanto più
significativo in quanto ci riferisce la sola frase del falegname di Nazaret di
cui abbiamo notizia: poche parole che valgono interi decreti conciliari.
E i Magi, con
l'inconsapevolezza giuliva dei professori quando si avventurano nel mondo degli
uomini, se ne ritornarono per un'altra strada, senza avere neppure il sospetto
dei guai che avevano causato alla storia universale.
FRAMMENTO 2
E le folle gli
domandavano: "E allora che cosa dobbiamo fare?". Egli rispondeva:
"Chi ha due tuniche ne faccia parte a chi non ne ha e chi ha alimenti
faccia altrettanto".
Vennero anche
alcuni pubblicani per farsi battezzare e gli dissero: "Maestro che cosa
dobbiamo fare? ". Egli rispose "Non esigete di più di quanto vi è
stato ordinato". Lo interrogarono anche alcuni soldati: "E noi che
cosa dobbiamo fare?". E disse loro: "Non vessate né denunziate
falsamente nessuno, e contentatevi delle vostre paghe". (Lc 3, 10-14)
Giovanni diceva
alla folla: Chi non ha tunica, la strappi a chi ne ha due, e chi non ha da
mangiare faccia altrettanto. E ai pubblicani: Lasciate ai figli di Satana il
denaro di Satana. Ai soldati diceva: Gettate lo scudo e la lancia, perché anche
solo il portare gli strumenti di guerra, rende partecipi dei peccato di Caino. (Quinto evangelo)
E' un frammento
illuminante, liberatore. Noi siamo sempre stati inceppati, nel nostro desiderio
di aiutare il mondo moderno, non solo dalle parole di Gesù, ma anche da quelle
di Giovanni.
Qui invece il messaggio
del Battezzatore appare sotto tutt'altra luce e la sua stessa figura, così
trasandata nel vestiario e così irrispettosa delle buone norme del vivere
borghese, ci si fa simpatica e più vicina.
"Chi ha due tuniche
ne dia una a chi non ne ha". L'ingenuità di questa proposta denota tra
l'altro un'assoluta mancanza di senso del ridicolo, a meno di prenderla come
una battuta di spirito. Se sono questi i rimedi proposti dal cristianesimo
all'ingiustizia del mondo, sarebbe meglio cambiare dottore. Ma ecco che
apprendiamo che tutto deve essere rovesciato. E allora la norma si fa chiara,
sensata, ragionevolissima.
L'incoraggiamento poi di
Giovanni agli esattori perché proseguano nella loro azione seviziatrice, faceva
del Battista una delle figure più ostiche della storia. Che rivoluzionario è
mai questo tanto integrato da appoggiare addirittura il fiscalismo statale? La
risposta qui riferita fa invece contenti tutti: gli eversori della società
ingiusta che in tal modo la possono colpire nel suo punto più sensibile; i
"figli di Satana", cui è consentito di godere in pace il loro denaro;
e i pubblicani che se ne andranno a cercare un'occupazione meno compromettente.
Infine gli obbiettori di
coscienza. Non potevano capacitarsi che proprio il Battezzatore, che per altri
versi era un personaggio tanto aderente ai loro ideali, fosse uscito in quella
acritica accettazione della vita militare. Come appellarsi al Vangelo, se il
precursore stesso aveva esortato i soldati a restare soldati, senza neppure
avvedersi delle gravi questioni morali implicate dalle sue parole? Anche a loro
questo frammento darà non poco sollievo.
FRAMMENTO
3
Ed avendolo
condotto più in alto, gli mostrò tutti i regni della terra in un solo istante.
E il diavolo gli disse: "Io ti darò tutta questa potenza con la loro
gloria, perché a me è stata data, e io la dò a chi voglio. Se tu dunque ti
prostrerai davanti a me, tutto sarà tuo". E Gesù così gli rispose:
"Sta scritto: Adorerai il Signore Dio tuo e a Lui solo renderai
culto" (Lc 4, 5-8)
Ed avendolo
condotto più in alto gli mostrò tutti i regni della terra in un solo istante. E
il diavolo gli disse: io ti darò tutta questa potenza con la loro gloria,
perché a me è stata data e io la dò a chi voglio. Se tu dunque ti prostrerai
davanti a me, tutto sarà tuo. E Gesù così gli rispose: A parte la pretesa di
farti adorare, questa terza proposta mi conviene. lo prendo sotto il mio
dominio i regni della terra, perché dov'è la miseria io porti la gioia, dov'è
l'ingiustizia io porti la giustizia, dov'è la schiavitù e l'oppressione io
porti la libertà, e ci sia pace sulla terra Per tutti i figli dell'uomo. (Quinto evangelo)
Questo modo di concludere
l'episodio delle tentazioni ci sembra molto più intelligente di quello
riferitoci dalla tradizione sinottica. Nostro Signore si rivela un uomo di
grande buon senso, che sa per il bene dell'umanità trascurare le questioni di
forma.
Perché rinunciare al
dominio sui regni della terra, per poi affannarsi a conquistare il mondo con la
missione degli apostoli e la fondazione della Chiesa? Una volta che tutto il
potere è di Cristo, anche la cristianizzazione diventa più facile.
Nella versione comune, la
condotta di Gesù assomiglia a quella di un partito giustiziere e rivoluzionario
che rifiutasse l'offerta di andare pacificamente al governo e si ostinasse a
preferire la strada lunga, oscura e senza speranza delle cospirazioni.
C'era, è vero, la poca
rispettabilità dell'offerente. Ma se non si deve guardare in bocca al cavallo
donato, ancor meno si deve guardare in bocca al donatore dei cavallo.
Soprattutto in vista di un fine eccellente, come quello che qui viene
enunciato. D'altronde Gesù non cede affatto alle pretese del demonio e non si
piega in adorazione. Certo Satana, da buon commerciante, ha cercato di avere il
prezzo più alto. Ma non insiste, non fa l'esoso: gli basta che Cristo diventi
il dominatore politico degli uomini; anche gratis; anche per uno scopo
santissimo.
Qui sorge un problema: è
possibile impadronirsi della potenza terrestre senza diventare adoratori di
Satana? Sotto il profilo puramente letterario, la risposta dei Signore si
sembra un poco retorica. "Pace, giustizia, libertà": sono parole che
ci appaiono ormai prive di contenuto. C'è da dire che a quei tempi, che non
conoscevano né i discorsi domenicali dei parlamentari, né i messaggi dei capi
di stato, quei termini conservavano forse ancora qualche significato.
FRAMMENTO 4
Visto Gesù venire a
lui, gridò: Ecco l'Agnello di Dio che toglie il Peccato del mondo (Gv 1, 29)
Giovanni gridò:
Ecco il leone di Giuda, ecco colui che mette giustizia in questo mondo (Quinto evangelo)
Qui c'è un significativo
cambio di animale: il leone subentra all'agnello e tutto il vangelo ne viene
innegabilmente migliorato.
Senza dubbio
l'evangelista Giovanni non deve aver ben capito. Il Precursore aveva descritto
il Messia veniente coi tratti più robusti: aveva, parlato di "scure alla
radice", di "ventilabro" purificatore, di fuoco. Sicché
l'immagine dell'agnello appare decisamente stonata.
Molto meglio il leone.
Intanto "è meglio vivere un giorno da leone che cent'anni da pecora".
E poi "chi si fa pecora il lupo lo mangia", dice il proverbio; e i
proverbi esprimono la saggezza universale, una specie di rivelazione informale
della Parola, che solo un eccesso di clericalismo potrebbe suggerirci di
trascurare. Tanto più che anche il leone è animale biblico e lo stesso
evangelista, quasi pentendosi di quanto scriverà nel quarto vangelo,
nell'Apocalisse esclama di Cristo: Ha vinto il leone della tribù di
Giuda".
Qualche spirito
superficiale potrebbe non capire la questione in tutta la sua gravità: agnello
o leone sono tutte bestie, tutte destinate - secondo il profeta Isaia - a
pascolare nel medesimo prato.
Invece la sostituzione
d'animale è stata decisiva. All'insegna della pecora, il cristianesimo ha
continuato a belare la sua nostalgia di giustizia in mezzo a un branco di
sopraffattori, lasciando in definitiva tutto immutato. In un mondo di lupi, che
bisogno c'era di insegnare agli uomini ad essere agnelli? Chi ci avrebbe
guadagnato, all'infuori dei lupi?
Agli oppressi, agli
affamati che cosa poteva importare un redentore che togliesse i peccati su di
sé e li cancellasse? Non le colpe, ma la miseria e la diseguaglianza essi non
riescono a portare da soli e vogliono scaricarsi dalle spalle.
Ma adesso la nostra
speranza rinasce col "leone di Giuda".
FRAMMENTO 5
Venne Gesù in
Galilea, annunciando il vangelo di Dio e dicendo: Il tempo è compiuto e il
Regno di Dio si è fatto vicino. Fate penitenza e credete nel vangelo. (Mc 1, 14-15)
Gesù cominciò ad
annunciare il vangelo e a dire: li tempo è compiuto, il regno è vicino. Fate
far penitenza e credete nel vangelo.
(Quinto evangelo)
"Fate
penitenza" nei vangeli convenzionali non è tanto un'esortazione a
mortificarsi, quanto un invito a convertirsi. La "penitenza"
evangelica è un'inversione della mentalità.
Quasi a dire: il Regno
che si è fatto vicino è il mondo ribaltato; ciò che era piccolo, nel Regno è
grande; ciò che era grande, nel Regno è piccolo; ciò che era secondario diventa
principale ecc. Sicché chi vuol riuscire ad infilare la porta del Regno, deve
capovolgere se stesso: allora entrerà diritto in una città rovesciata.
Questa idea della
"penitenza" è accettata dal quinto vangelo, con una delicata
variante: "fate far penitenza". Si tratta di esercitarla non più
verso l'interno dell'uomo, ma verso l'esterno. Non è chi non veda come in tal
modo l'operazione del capovolgimento diventi più facile e più efficace.
Se si tratta di
"cambiar testa", molto meglio cambiare quella degli altri. Il polso è
più fermo, il cuore più coraggioso quando si opera sulla testa altrui. Ché se
aspettiamo che ciascuno cambi la propria, il vecchio mondo non si smantella
più.
Questo brevissimo
frammento basta da solo a salvare il messaggio di Cristo per i nostri
contemporanei. Noi alleniamo noi stessi - nelle nostre riflessioni, nei nostri
progetti, nelle nostre scelte - soltanto in vista delle rivendicazioni dei
nostri diritti. Tanto a richiamarci ai nostri doveri, ci pensano già gli altri
fin troppo. E in questo senso educhiamo i nostri figli. Perciò non siamo più
avvezzi a batterci il "mea culpa": il pentimento è un fiore esotico
che non può più attecchire nel nostro giardino.
Dobbiamo dunque
rinunciare a questa fondamentale idea cristiana? Cominciavamo a temerlo, fino a
non abbiamo avuto la fortuna di leggere: "Fate far penitenza". Così
la conversione è ancora predicabile. Perfino il rito del "mea culpa"
- questo pittoresco residuo del monachesimo medievale - si può salvare. Basta
batterlo sulla pancia del vicino. La mano tremerà e i colpi saranno più
vigorosi e ben centrati. Si potrà alla luce di questo nuovo insegnamento
proporre una variante alle pratiche ascetiche quotidiane. Invece del solito
esame di coscienza - abitudine tipica del cristianesimo individualista -
proponiamo l' "esame di coscienza della Chiesa". Con umiltà e con
gioia ogni sera la riconosceremo peccatrice, faremo il proposito per il giorno
dopo di cambiarla per quel che ci sarà consentito e così potremo abbandonarci
sereni al sonno del giusto.
FRAMMENTO
6
Al mattino, prima
dell'alba, egli si alzò, uscì e se ne andò in un luogo solitario a pregare.
Simone andò a cercarlo coi suoi compagni. E avendolo trovato gli dicono: Tutti
ti cercano. (Mc 1, 35-36)
Gli dice Simone:
Maestro, non ti apparti mai in un luogo solitario a pregare? Rispose Gesù: La
mia preghiera è lavorare per gli altri, la mia solitudine è restare in mezzo
alla folla (Quinto evangelo)
La scena di Gesù che ogni
tanto si allontana da gente e perfino dal gruppetto degli apostoli e si rifugia
nella solitudine ad assaporare nella preghiera e nella meditazione la pienezza
della sua comunione col Padre, poteva dar origine a qualche malinteso. In primo
luogo sembrava costituire un argomento a favore dell'opportunità dei silenzio -
esteriore ed interiore - per la ricerca di Dio e l'audizione della sua voce.
Come se la voce di Dio per noi non fosse la voce dei nostri fratelli; anche il
grido rauco o la filastrocca lagnosa del canzonettista, il clamore di folla che
per le strade reclama giustizia, le storielle insulse dei nostri compagni di
viaggio. Il silenzio - questa orribile rivelazione del nulla - non può essere
oggi per le persone normali.
Pascal s'ingannava: non è
solo il silenzio degli spazi infiniti a spaventarci, è anche quello - raro e a
minuti frammenti per fortuna - del nostro piccolo mondo.
Poi c'è l'equivoco della
" contemplazione ": oggi giustamente se ne vergognano tutti, anche i
cosiddetti ordini contemplativi. Nessuno deve evadere. Non è un po' comodo
staccare gli occhi dalla terra per guardare il cielo? Tanto comodo che ci si
stupisce che siano così in pochi a volerlo.
Il Dio del cielo è un
residuo di mitologia. Dio si è incarnato in ogni scheggia del nostro quotidiano
esistere di uomini: bisogna cercarlo lì. Il lavoro, la lotta, la discussione,
tutto ciò che ci immerge nella folla, ci pone a contatto con Dio: questa è la
preghiera sostanziale.
Simone rivela una
mentalità nettamente post-tridentina: "Non ti apparti mai a
pregare?". Ma noi abbiamo capito che la religione non è un egoistico
rapporto personale coi Creatore, ma la totale fusione del singolo nella
comunità: l'importante è l'essere insieme, è l'essere in tanti, è il ripetersi
senza stanchezza a vicenda le stesse persuasioni. Chi tace è perduto: finirebbe
per essere preso dal dubbio o addirittura da qualche crisi di misticismo.
"Siamo grandi, siamo
libere, siamo straordinarie. Siamo gli animali più straordinari della giungla!
Lo diciamo tutte, quindi deve essere vero", gridano le Bandar-log.
Qualcuno potrebbe maliziosamente vedere raffigurato in questo passo del Libro
della Giungla un moderno convegno di pensatori cristiani. Noi - lasciando da
parte ogni ironia - pensiamo che, proprio perché scimmie, le Bandar-log si
rivelano qui molto vicine all'umanità e al suo commovente tentativo di valicare
il vuoto in cui si trova immersa, vivendo in modo più nuovo ed intenso la vita
della comunità, all'interno della quale ciascuno può sentirsi davvero grande,
libero, straordinario.
L'importante è non
restare mai. Neppure per un momento, soli e in silenzio. Si rischierebbe di
cominciare a pensare.
FRAMMENTO 7
Venite dietro a me
e io farò di voi dei pescatori di uomini. E subito, abbandonando le loro reti,
lo seguirono. E andando avanti vide Giacomo, figlio di Zebedeo e Giovanni suo
fratello, anch'essi nella loro barca che stavano riassettando le reti. E subito
lì chiamò. E lasciando il loro padre, Zebedeo nella barca coi dipendenti, si
misero al suo seguito (Mc 1, 17-20).
Io vi farò
diventare Pescatori di uomini. Gli dicono i figli di Zebedeo: Dobbiamo allora
lasciare le nostre reti, la nostra barca, il nostro padre per seguirti? Ma Gesù
disse: Non sapete quello che dite. Se vi separerete dagli uomini, come potrete
pescarli? (Quinto evangelo)
Il testo di Marco segna
l'esordio del clericalismo. Quelle reti abbandonate sono gravide più di malanni
che di pesci. Gli apostoli con le reti sarebbero
dei fratelli tra i
fratelli; gli apostoli stati senza reti sono diventati una casta: è innegabile,
sulle rive del lago di Genezaret nascono il "clero" e, per
opposizione, i "laici". Se i suoi figli che discendono dalla barca
diventano "preti", Zebedeo che ci resta è l'iniziatore dello stato laicale,
del quale meriterebbe di essere proclamato patrono.
Il fatto nella sua
sostanza è certamente avvenuto: gli apostoli che accompagnano Gesù per le
montagne della Giudea non si sono portati con sé gli attrezzi per la pesca né
si sono dati la pena di cercarsi un altro lavoro decente. Ma è di estremo
interesse sapere che Gesù ha separato la propria responsabilità da questo
comportamento.
L'"apostolo" -
questa è la sua vera idea - non deve abbandonare il proprio mestiere perché non
deve separarsi dagli altri uomini. I dodici l'hanno fatto e appaiono sempre
come un gruppo segregato in tutta la vicenda evangelica, ma contro il parere di
Cristo. Essi forse si sono clericalizzati per la loro pigrizia, della quale
abbiamo un altro indizio di rilievo: la decisione raccontata nel libro degli Atti
di non mescolarsi ai fratelli neppure per aiutare a servire alle mense, che non
era poi un lavoro troppo pesante, ma di voler restare a parte, per attendere
"all'orazione e al ministero della parola" (At 6, 2-4).
Come mai Gesù ha potuto
tollerare questo travisamento dei suo pensiero?
Per la sua lungimiranza:
egli sapeva che - sia pure dopo molti secoli - si sarebbe scoperta da parte di
alcuni la sua vera intenzione e si sarebbe alla fine superato il clericalismo
dei figli di Zebedeo.
E per il suo amore di
pace: gli apostoli, con la loro mancanza di tatto, avrebbero potuto
rinfacciargli il suo abbandono della bottega di carpentiere e ne sarebbe sorta
una discussione imbarazzante.
FRAMMENTO
8
In quel tempo andò
sulla montagna a pregare e passò tutta la notte a pregare Dio. Poi, fattosi
giorno, chiamò i suoi discepoli e ne scelse
Dodici, ai quali
diede il nome di apostoli. (Lc 6, 12-13)
E salì sul monte e
chiamò quelli che volle lui. E vennero da lui. E costituì i dodici, perché
stessero con lui e per mandarli ad annunciare (Mc 3, 13-14).
In quel tempo passò
tutta la notte a presiedere la discussione dell'assemblea dei discepoli per la
scelta dei dodici apostoli. Diceva infatti: Nessuno può veramente rappresentare
gli altri uomini, se non è eletto da loro. Poi chiamò a sé coloro che
l'assemblea aveva indicato (Quinto
evangelo)
I passi di Luca e Marco,
nei quali l'elezione apostolica sembra piovere dall'alto senza consultazione
alcuna della comunità, sono responsabili di una delle più perniciose malattie
che hanno nei secoli afflitto la cristianità: l'autoritarismo.
"Come il Padre ha
mandato me, così io mando voi " persuasi di questa mistica investitura,
come potevano i vescovi resistere alla tentazione di scambiare il proprio
cervello con la volta celeste e i loro pensamenti come autentiche rivelazioni
dello Spirito di Dio? Nacque così nei pastori della Chiesa l'abitudine di non
prendere parere da nessuno, se non da quelli che presumibilmente concordassero
in tutto con la loro propria opinione: stile che, nonostante le apparenze, era
mantenuto con uguale impegno a tutti i livelli della gerarchia, dagli
assistenti di oratorio fino al sommo pontefice.
E' vero che le cattive
applicazioni di un principio non sono per sé argomento probante contro la bontà
e la verità del principio stesso e non vanno rinnegate le prerogative solo per
il timore degli abusi nel loro esercizio. Diversamente noti dovrebbero essere
lasciati agli uomini né la lingua né gli organi della riproduzione.
Ma il nostro frammento
preferisce colpire il male alla radice, canonizzando per la prima volta il
metodo assembleare nella scelta degli uomini nella Chiesa. Qualcuno ha
autorevolmente osservato che l'intelligenza di un'assemblea è inversamente
proporzionale al numero
dei partecipanti: le più
pazzesche decisioni dei dittatori di ogni colore - che sono sempre stati i più
fanatici propugnatori del metodo assembleare integrale - hanno avuto
l'approvazione frenetica di folle oceaniche, anonime e irresponsabili, che alla
resa dei conti sono misteriosamente scomparse. Ma non è il nostro caso. Qui si
tratta della comunità che è sotto
l'azione dello Spirito di
Dio e perciò ne possiede i carismi.
Piuttosto è tutta una
nuova ecclesiologia che si impone da questo quinto evangelo: è la comunità che
direttamente riceve il mandato di evangelizzare e di santificare, e non i
dodici. O meglio, i dodici mandati
dall'assemblea, la
rappresentano e assolvono ai loro compiti in nome e per autorità di tutti i
fratelli. Propriamente parlando sono "apostoli" non di Cristo, ma
della "ekklesía", che come assegna l'incarico così può revocarlo. La
visione " piramidale " è nettamente superata. All'idea
"aristocratica" della trama delle diverse "missioni" che
compaginerebbero la Chiesa
secondo lo schema antico (il Padre manda il Figlio, il Figlio manda l'apostolo,
l'apostolo manda il vescovo, il vescovo dà origine alla comunità: idea
insostenibile dopo la
Rivoluzione francese), subentra una concezione più
democratica e moderna.
C'è l'incongruenza di
Gesù, l'Apostolo per eccellenza, che essendo mandato dal Padre non sembra
desumere la propria missione dall'assemblea dei fedeli. Ma bisogna sperare nel
progresso degli studi teologici: chi ci dice che non esista anche un sesto
evangelo, nascosto in qualche grotta del Mar Morto, che un giorno ci consentirà
di correggere anche questa anomalia?
FRAMMENTO 9
Voi siete la luce
del mondo. Non può essere nascosta una città posta sul monte e neppure
accendono una lucerna e la mettono sotto il moggio, ma sopra il candelabro,
perché faccia luce a tutti quelli di casa. Così risplenda la vostra luce
davanti agli uomini! Perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il
Padre vostro che è nei cieli. (Mt 5,
14-16)
Voi siete una città
nascosta e una lucerna posta sotto il moggio. La vostra luce non abbagli gli
uomini, ma risplenda solo al cospetto dei Padre vostro che è nei cieli. (V Evangelo)
Il problema della Chiesa
e della sua condizione tra gli uomini è tra i più vivi nella teologia del
nostro tempo. Gli ultimi due concili ecumenici ne hanno fatto il tema centrale
della loro dottrina.
Solo abbiamo
l'impressione che le due pagine di storia ecclesiastica si siano scambiate di
posto. Il Concilio Vaticano primo, che poteva ancora contemplare l'esistenza di
un "popolo di Dio" credente in Cristo e almeno intenzionalmente
sottomesso alla sua legge, ha elaborato la sua ecclesiologia alla luce del
concetto di "Signum levatum inter gentes". Ai nostri giorni, quando la Chiesa può al massimo
sperare di essere un
"segno" - una
voce energica, un chiaro e inaspettato cartello indicatore - per l'umanità che
ha smarrito la fede e insieme la consapevolezza del suo destino, il Vaticano
secondo ha parlato di "Popolo di Dio". Forse nell'orchestra divina
c'è stata qualche confusione tra le partiture.
In realtà ambedue i concili
sono usciti di strada. Senza colpa di nessuno però, dal momento che questo
quinto evangelo per un gioco misterioso della Provvidenza è stato ritrovato
soltanto in quest'epoca post-
conciliare.
La Chiesa dunque non è né un popolo né un segno.
Non é un popolo, perché
al di fuori dei piccoli gruppi non c'è Chiesa, ma solo un'entità astratta che
ha finora usurpato questo nome. "Dovunque saranno non più di due o tre
radunati nel mio nome, io sarò in mezzo a loro" - ha detto Gesù: ne siamo
sicuri anche se questa variante di Mt. 18, 20 non è stata purtroppo
rintracciata tra le carte del Migliavacca.
Niente città sul monte: la Chiesa è questa rete
sotterranea di microscopiche comunità, che si radunano a discutere con molta
franchezza e con molta fede se il Signore sia o non sia risorto. L'altra,
quella delle cattedrali, non è la
Chiesa, è il relitto fossile di una cristianità ormai
estinta.
E non può essere un
" segno ". Dovrebbe far spicco, gridare il suo messaggio, ascoltato o
no che sia, far notare continuamente la sua presenza. Dovrebbe rivestire non
solo i preti e le suore, ma tutti i battezzati di un abito diverso, che
colpisca, faccia pensare, ricordi. Dovrebbe costruire chiese e perfino
campanili, anche soltanto per richiamare l'idea del Regno e di una vita diversa
da questa.
Ma ci sarebbero due
inconvenienti. Il primo, gravissimo, è che per essere un "segno" deve
distinguersi dal mondo, dalle sue convenzioni, dai suoi gusti, e talvolta
contrastare con essi. Il secondo è quello di mettere a repentaglio la sua
umiltà e il suo amore al nascondimento, rischiando di approdare
all'ostentazione e al trionfalismo.
Meglio restare sotto il
moggio. C'è tra l'altro il vantaggio che non ci si avvede neppure della
differenza quando la lucerna si spegne.
FRAMMENTO
10
Chi non è con me, è
contro di me (Mt 12, 30). Chi non è contro di noi, è per noi (Mc 9, 40).
Chi è contro di
noi, è per noi (Quinto evangelo).
Una certa confusione è
presente, come sì vede, già nei vangeli canonici. Mentre l'aforisma di Matteo
denota un atteggiamento di intransigenza e di massimalismo da Controriforma,
quello citato da Marco si intona con la larghezza di spirito proprio del
Concilio Vaticano II.
Luca, che ha la vocazione
dei pacificatore, a buon conto li riferisce ambedue, lasciando ai suoi lettori
il compito di trovare la giustificazione logica dell'accordo (Lc 9, 50; 11,
23).
Ma sopravviene il quinto
evangelo e ogni tentativo di concordismo appare del tutto inutile.
Chi giova di più al
Regno?
Coloro che vivendo
dall'interno la vita della Chiesa si lasciano avvolgere dalla forza persuasiva
e trasformante della Parola di Dio; tengono desta l'attesa dell'incontro col
Signore, e si studiano di vivere ogni giorno nel silenzio e nel nascondimento
la vita d'amore per Dio e per gli altri, persuasi che il più bel regalo che
possono fare agli uomini è la loro stessa esistenza cristiana, che diventa luce
per gli smarriti, pace per gli inquieti, inquietudine per i sazi; oppure i
cristiani "anonimi", coloro che dal di fuori, lavorano ignari per la
causa della verità e della giustizia, con onestà, con disinteresse, con sincero
desiderio di ricerca?
Né gli uni né gli altri,
ci dice il nostro frammento. La questione è superata. I più efficaci artefici
del Regno sono i demolitori dall'interno. Quelli che combattendo e perfino
irridendo la fede dei semplici, li costringono a farsi adulti; quelli che
lottando contro ogni struttura e ogni autorità impongono a tutti un salutare
stato di incertezza, di smarrimento, di angosciata perplessità, ben lontano da
ogni serenità illusoria e antievangelica; quelli che nella propria casa sanno
cogliere il male anche quando è scarso, senza lasciarsi incantate dal bene,
anche quando è copioso.
E' vero: è una misteriosa
e valida legge dello spirito, che non arrivano a percepire il male negli altri,
se non quelli che hanno una insufficiente esperienza del bene nel loro cuore.
Benedetta allora la trave che c'è nell'occhio nostro, se proprio essa ci
consente di cogliere la più piccola pagliuzza nell'occhio della Chiesa, e di
procedere senza sentimentalismi alla correzione di questa nostra indocile
madre.
Si sa: l'educazione dei
genitori è l'opera più difficile, ma anche la più meritoria. E sarà anche la
meglio ricompensata. Cristo ci sarà senza dubbio riconoscente per questa nostra
capacità di trovare le rughe sul volto della sua sposa e a tempo debito non
mancherà di manifestarci sensibilmente la sua gratitudine.
FRAMMENTO
11
Ti benedico o
Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai
dotti e ai furbi e le hai rivelate ai piccoli (Mt 11, 25)
Ti ringrazio o
Padre perché hai voluto rivelare i misteri del Regno ai dotti e agli
intelligenti,- che così li potranno spiegare ai semplici (V Evangelo)
L'importanza di
questo frammento sta nel fatto che esso fonda lo "status" dei teologi
professionisti nella Chiesa; status che finora mancava di un supporto biblico
evidente.
Che i dotti e gli
intelligenti di cui qui si parla siano gli insegnanti della "sacra
doctrina" è fuori discussione. Quali altri potrebbero meritare questa
qualifica? Non certo i vescovi che di intelligenza non sono privi, ma per
modestia non ne fanno sfoggio troppo frequente e hanno la cultura tra i cari
ricordi della loro giovinezza.
D'altronde, se non fosse
possibile attribuire a loro neppure questo accenno evangelico, come potrebbero
i teologi rivendicare la più sacrosanta delle loro libertà, quella dal
Magistero, senza di che finirebbero per essere confusi con i fedeli?
Essi cercano talvolta di
appoggiarsi ad altri passi quali l'esortazione di Paolo a Timoteo di predicare
la parola "opportune et importune", cioè a proposito e a sproposito
[Cfr. Concilium, anno V, fasc. I, 1969]. Ma illegittimamente, poiché il
diritto di parlare a sproposito è sempre stato una prerogativa episcopale:
Timoteo è senza dubbio insignito del carisma apostolico.
La Rivelazione, ci si dice, discende dai teologi ai
"semplici". Si chiarisce
In tal modo che i
"magistri" cui sono stati affidati i misteri dei Regno - anche se
hanno l'obbligo di recarsi alla scuola di tutti pensatori alieni dalla fede,
per evitare il pericolo di arroccarsi nella loro inespugnabile cittadella e di
costituire come un corpo estraneo nell'odierna società - non devono affatto
preoccuparsi delle opinioni del popolo cristiano devoto, quello, per intenderci,
che viene ancora a messa la domenica e crede negli angeli custodi.
Sarà piuttosto il popolo
cristiano devoto a doversi preoccupare del continuo del continuo superamento
del pensiero teologico e a inseguirlo come potrà.
Come si vede, secondo un
ordine prestabilito discende per gradi la verità nel popolo di Dio.
FRAMMENTO
12
Avete udito che è
stato detto: non commettere adulterio. Io invece vi dico: Chiunque guarda una
donna con desiderio ha già commesso con lei adulterio nel suo Cuore (Mt 5, 27-28)
Vi era stato detto:
Chiunque guarda una donna con desiderio impuro, ha già commesso con lei
adulterio nel suo cuore. Ma adesso io vi dico: Non bisogna esagerare. La donna
è fatta per l'uomo e l'uomo per la donna. Purché tutto si faccia per amore (Quinto evangelo).
E' questo il solo
frammento che, richiamandosi esplicitamente a un loghion registrato dai
vangeli tradizionali, lo supera per approdare a una visione più alta e
rasserenante.
Ed è una fortuna
incalcolabile che sia stato scoperto. Il discorso della montagna nella sua
forma fin qui nota poteva essere proposto a una società prefreudiana, non alla
nostra, che ha finalmente le idee chiare sull'uomo e sulla donna: essa sa che
il sesso è una realtà così semplice e innocente, da non meritare l'attenzione ossessiva
che da sempre gli ha prestato la
morale comune; e insieme
è una forza tanto travolgente e fondamentale per l'uomo, che deve
invincibilmente assorbire e marchiare ogni suo pensiero, ogni suo impulso, ogni
suo momento di vita.
Con divina intelligenza,
Gesù in questo testo non aggredisce dal di fuori l'impulso sessuale per
coartarlo con norme oggettive, ma cerca di lievitarlo dal di dentro, facendone
essenzialmente un'espressione d'amore e quindi un incontro personale, dove è
irrilevante la natura di ciò che si compie, perchè tutto si valuta dalla
capacità di comunione che è insita nella reciproca attrattiva e nella reciproca
donazione.
Si arriva in tal modo
alla perfetta libertà interiore, che tutto consente, tranne l'ipocrisia o la
debolezza di sentirsi attratti da impegni, da vincoli, da considerazioni
esterni all'impulso d'amore.
Una libertà dove ogni
timidezza deve essere travalicata da un'audacia autenticamente evangelica:
sicché se il tuo occhio destro non ci vede bene, tu guarda con il sinistro, e
se la tua mano destra è troppo cauta, adopera la sinistra.
Tuttavia, nota acutamente
il Maestro, "non bisogna esagerare". L'invito è nel frammento rivolto
ai puritani e agli inibiti. Ma noi, coll'equilibrio che ci contraddistingue, lo
estendiamo anche all'altro fronte: per una sana attività sessuale, sia pure non
inceppata da inutili moralismi, una certa moderazione è salutare.
FRAMMENTO
13
Chi rimanda la
propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio nei confronti della
prima; e se una donna ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette
adulterio (Mc 10, 11-12).
Se qualcuno rimanda
la propria moglie e ne sposa un'altra - a meno che la prima sia imbruttita ai
suoi occhi - commette adulterio. Chi poi sposa la divorziata compie un vero
atto di carità. (Quinto Evangelo)
Abbiamo qualche dubbio
sull'autenticità di questo frammento. Da tutto il quinto evangelo Gesù appare
come un uomo dalla straordinaria larghezza di idee, ma c'è un limite a tutto.
Qui si difende non solo il divorzio, ma addirittura il libero amore. Anche la
citazione della regina delle virtù, la carità, appare almeno sorprendente in
questo contesto.
Sicchè ci sembra
legittimo il sospetto - anche se non c'è nulla sotto il profilo della critica
testuale che ci dia argomenti atti a convalidarlo - che queste righe siano
state introdotte da qualche copista malevolo, al fine di screditare tutto il
nostro prezioso manoscritto. Tuttavia, sia o no opera di un falsario, questo
brevissimo brano ha per lo meno, circa il divorzio, il pregio della limpidità.
A nostro avviso su questo
argomento le posizioni veramente logiche sono due. O si accetta che l'unione
sponsale crea tra i partecipanti una vivente unità che tocca le radici profonde
dell'essere e soggiace intatta a tutte le sopravvenienti vicissitudini della
vita: "un solo corpo", come si esprime la Scrittura; e in tal caso
è del tutto inutile andare alla ricerca di casi pietosi o drammatici che
giustificherebbero la divisione: come non si può più sopprimere un nuovo essere
cui s'è dato l'esistenza, così quest'"unico corpo" resta al di là
delle volontà che l'hanno costituito. O non si ammette che questo nuovo essere
esista, e allora è abbastanza ipocrita stendere l'elenco delle situazioni che
legittimerebbero il divorzio: non ne esiste nessuna più grave della mancanza di
amore. Se c'è amore, anche l'ergastolo o il manicomio di uno dei coniugi non
sono ragioni sufficienti; se non c'è amore, anche l'ergastolo o il manicomio
non riuscirebbero a rendere il vincolo più insopportabile di quanto già non
sia.
In conclusione se non si
volesse accettare l'idea prenapoleonica dell'indissolubilità e si decidesse di
prestare fede a questo quinto evangelo, il libero amore resterebbe di questo
problema l'unica soluzione schietta, coerente, totale.
FRAMMENTO 14
Il Regno di Dio è
simile a un uomo che ha seminato grano nel campo. Dorma o sia levato, di notte
o di giorno, il grano germoglia e cresce senza che egli lo sappia. La terra
produce spontaneamente lo stelo, poi la spiga, poi il grano nella spiga. E
quando il frutto è pronto, egli vi mette la falce, perché la messe è matura. (Mc 4, 26-29)
Il Regno di Dio è
simile a un uomo che avendo seminato nel suo campo non si dà più pace, non
dorme di notte, non sta fermo di giorno, e non si rassegna ad aspettare fino al
tempo dei raccolto. (Quinto Evangelo)
Questa parabola è rivolta
a scuotere dalla sonnolenza i pacifisti del Regno di Dio, quelli che, col
pretesto della fiducia nella Provvidenza e nella forza interiore della Parola e
dei sacramenti, cercano di sottrarsi all'angoscia e all'inquietudine,
sentimenti caratteristici del vero cristiano.
In un mondo che è
diventato in tutto problematico, la ricerca della serenità di spirito
costituisce un peccato di egoismo. In un tempo che scandisce le sue ore
all'insegna della frenesia, dove tutto è affanno, agitazione, apprensione,
cruccio, irrequietezza, tormento, travaglio, parlare di pace interiore
significa colpevolmente separarsi dalla condizione umana e perfino irriderla
senza sensibilità.
Anzi il cristianesimo
aggiunge altri e più sottili motivi di malessere e di rodimento a quelli che
gli uomini possiedono in conto proprio e, se ci è consentito usare questo
linguaggio, ne sublima ed esaspera la drammaticità.
La parabola è poi un
correttivo mirabile a quella deformazione teologica che è l'"escatologismo
", cioè la facilità con cui ci si perde nella contemplazione della fine
del mondo e ci si dispensa - in vista dell'immancabile venuta del Regno di Dio
- dalla ricerca del successo immediato.
Se questo stato d'animo
prevalesse, allora necessariamente l'angoscia - questa fondamentale virtù
cristiana, questo regalo del cielo a una terra troppo tranquilla - non
riuscirebbe a sostenersi e si piomberebbe in una placidità indegna di un
discepolo di colui che ha detto: "Io sono venuto a portare non la pace
ma la spada". Per fortuna questa malattia non è ora troppo diffusa:
sono, grazie al cielo, molto numerosi gli apostoli che non concedendo tregua né
a sé né agli altri, né di giorno né di notte, si costituiscono candidati per
l'esaurimento e per l'infarto, autentiche e meritorie forme di martirio della
vita moderna.
FRAMMENTO
15
Ogni scriba
divenuto discepolo del Regno dei cieli è simile a un padrone che estrae dal suo
tesoro cose nuove e cose vecchie (Mt 13,
52)
Colui che è esperto
nella dottrina dei Regno di Dio è simile ad un padrone di casa che non può
soffrire le cose vecchie, e getta via prima di sera ciò che ha comperato alla
mattina (Quinto Evangelo)
Come capita spesso ai
personaggi delle parabole, anche questo padre di famiglia ha un comportamento
stravagante. Si potrebbe addirittura parlare di una vera e propria mania, con
diritto a un posto nell'elenco delle aberrazioni mentali.
Ma al di sotto di questo
rivestimento letterario c'è uno dei più decisivi insegnamenti evangelici. il
cristianesimo è la religione del "nuovo".
In esso ciò che è vecchio
è irrimediabilmente condannato.
C'è però una misteriosa
legge dell'esistenza per cui il "vecchio" e il "nuovo" non
sono due categorie della realtà avulse tra loro e perfettamente incomunicabili:
anzi il vecchio di oggi è il nuovo di ieri, e il nuovo di oggi sarà il vecchio
di domani. Sicché il culto della novità comporta necessariamente lo spasimo del
cambiamento.
A ben guardare è questa
la prerogativa della giovinezza spirituale. Chi non muta è decrepito, chi è
ancora capace di mutate è giovane di spirito, chi poi è incapace di non mutare
è arrivato a mentalità di fanciullo che assegna i posti più alti nel Regno dei
cieli.
E non è a credere che
tutto questo valga solo nel campo della moda, del linguaggio, delle mogli, dei
gusti musicali, delle consuetudini di vita, dove le variazioni esprimono senza
dubbio la floridezza di una personalità. Anche nel campo delle convinzioni vige
la stessa legge.
Alle antiche filosofie
che rozzamente classificavano i concetti in veri e falsi, giusti ed errati, è
subentrata una concezione più sottile, più sfumata, soprattutto più aderente
alla vita - la quale è un perpetuo fluire e ha in orrore ogni fossilizzazione -
per cui il giudizio di merito per le idee, come per le uova, è stabilito dal
loro grado di freschezza.
Si determina così nel
cristiano "giovane" la corsa all'ultimo ritrovato, che è
caratteristica della civiltà dei consumi; corsa affannosa all'ultimo ritrovato
del mattino è il penultimo della sera.
Non sappiamo nascondere
una certa pena nei confronti del padrone che ci ha offerto lo spunto per queste
note: è così occupato a cambiare l'arredamento che non ha mai il tempo di
prendere stabilmente dimora. Sempre intento a preparare una vita che non vive
mai.
FRAMMENTO
16
Capita dei Regno
dei cieli come di un ladro che, entrato di notte in casa di un uomo ricco, non
vede il cofanetto pieno di gioielli preziosi e s'affanna a forzare la
cassaforte, dove sul far dell'alba, impaziente ed esausto, trova solo il
testamento del padrone e le sue lettere d'amore. (Quinto Evangelo)
Questa parabola che -
tranne per la figura del ladro - è del tutto originale, non ci riesce di facile
penetrazione. Rinunciamo perciò al solito commento, pregando al tempo stesso gli
eventuali lettori di inviarci al più presto la loro esegesi.
L'analisi che sarà
giudicata migliore dalla commissione dei nostri esperti verrà pubblicata nella
seconda edizione di questo evangelo.
FRAMMENTO
17
Il Regno dei cieli
è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio, ma tutti gli
invitati rifiutarono di venire. Allora fu radunato il consiglio della corona e
si ricercarono le cause dell'insuccesso.
E uno disse: I servi hanno sbagliato l'ora, dovevano studiare il momento opportuno.
E un altro disse: Non dovevano presentarsi con la loro livrea, ma vestiti come tutti gli altri.
E un terzo: Non hanno saputo capire la mentalità dei destinatari e adattarsi al loro linguaggio.
Uno osservò: Forse non sono venuti perché non avevano voglia di venire.
Ma tutti gli diedero contro (Quinto Evangelo)
E uno disse: I servi hanno sbagliato l'ora, dovevano studiare il momento opportuno.
E un altro disse: Non dovevano presentarsi con la loro livrea, ma vestiti come tutti gli altri.
E un terzo: Non hanno saputo capire la mentalità dei destinatari e adattarsi al loro linguaggio.
Uno osservò: Forse non sono venuti perché non avevano voglia di venire.
Ma tutti gli diedero contro (Quinto Evangelo)
Rinunciamo anche qui al
solito commento per l'opposta ragione. Il senso di questa parabola ci sembra
ovvio. Ci limitiamo soltanto a una nota di biasimo all'indirizzo dell'ultimo
consigliere che con spirito superficiale e qualunquista ha potuto pensare a una
soluzione tanto semplice dell'enigma.
FRAMMENTO
18
Il Regno di Dio è
simile a un suonatore di flauto chiamato a una danza di gente svogliata. Suona
un motivo allegro e nessuno balla, suona una nenia funebre e nessuno piange. E
più cambia e più la gente si disinteressa di lui. (Quinto Evangelo)
Se non vediamo male,
l'insegnamento di questa parabola è in netto contrasto con quanto è detto nel
quindicesimo frammento.
Il nostro parere è che
queste righe siano frutto di interpolazione e pertanto non possano essere
accolte come parte di questo quinto evangelo.
Per questa ragione
rinunciamo a qualunque tentativo di illustrazione.
FRAMMENTO
19
Il Regno dei cieli
è simile a un mercante in cerca di perle preziose. Avendone trovata una di gran
pregio, va, vende tutto ciò che possiede e compera quella perla (Mt 13, 45-46)
Il Regno dei cieli
è simile a un saggio mercante di perle, che avendone trovata una preziosa cerca
di tirare di prezzo perché non vuol rinunciare né alla perla né al suo denaro (Quinto Evangelo).
E' una condanna
inequivocabile dell'integralismo e insieme una più umana presentazione del
messaggio di Cristo.
L'uomo aborre da ogni
posizione esclusiva. Raramente vuole una cosa sola. Ogni piccola scelta
comporta una grande rinuncia, perciò dalle scelte si cerca di rifuggire. Spesso
non ce se ne avvede neppure: ogni atto di volontà che si porti su un oggetto,
include altri atti, altri oggetti, diversi o addirittura in contrasto. Sotto
questo profilo la poligamia è molto più radicata nel mistero del cuore umano di
quanto comunemente si creda.
Non sempre le iniziative
di Dio tengono conto di questa caratteristica della nostra natura. Tutti i guai
dell'umanità sono derivati dalla prodigalità divina. Dio chiama l'uomo ad
altezze incredibili, lo vuole partecipe della conoscenza, dell'amore, della
vita che anima e fa ricca dall'interno la natura stessa del Creatore. Noi siamo
invece gente modesta. A noi basterebbe una piccola felicità terrestre da
sbocconcellare tranquilli in qualche oscuro angolo dell'universo. La nostra
superiore vocazione mal si sposa con la nostra mediocrità: tra le pretese dei
Signore e le limitate aspirazioni del servo il matrimonio è mal combinato.
Il peccato di Adamo forse
sta proprio in questo: il desiderio - più che del male, che sarebbe
inspiegabile in un essere equilibrato e innocente - di una
"pura natura"
rassicurante di fronte alle ebbrezze vertiginose del
"soprannaturale".
Con un Dio dalle idee
tanto grandi, noi siamo costretti a difendere piuttosto energicamente la nostra
banalità. E' un Dio focoso e imprudente: a noi tocca perciò custodire un po' di
saggezza.
Poiché il nostro sogno è
l'appartamento di tre locali più i servizi, non ci sentiamo attirati dalle
praterie sconfinate del Regno.
O meglio, potremmo anche
rassegnarci alla Gerusalemme celeste, purché i tre locali più i servizi ci
vengano intanto lasciati.
Ci piace la perla, ma ci
piace anche il nostro poco denaro, caldo, palpitante, palpabile, sicuro. E ci
conforta il sapere che anche Gesù a un certo momento si è deciso a moderare
l'esuberanza integralista del Padre e a convenire sulla bontà della strada di
mezzo e delle piccole aspirazioni comuni.
FRAMMENTO
20
Secondo voi, se un
uomo possiede cento pecore e ne perde una, non lascia le altre novantanove il
sicuro sui monti per andare alla ricerca della smarrita, E se riesce a
ritrovarla, in verità vi dico, ha più gioia per questa che non per le
novantanove che non si sono perdute. (Mt
18, 12-13)
Il Regno dei cieli
è simile a un pastore che avendo cento pecore e avendone perdute novantanove,
rimprovera l'ultima pecora per la sua scarsità di iniziativa, la caccia via e,
chiuso l'ovile, se ne va all'osteria a discutere di pastorizia (Quinto evangelo).
Cominciamo ad applaudire
alle novantanove pecore perdute: non è un comune smarrimento il loro, piuttosto
è una forma di protesta contro l'idea stessa di ovile.
L'immagine dell'ovile
evoca la recinzione, la chiusura, la segregazione dagli altri. Come possono gli
"altri" unirsi al gregge, se a un certo momento nel loro cammino si
imbattono in una barriera?
Senza dire che la vita di
ghetto - al riparo dal pericoli, ma anche dalle emozioni dell'avventura -
finisce per deformare la personalità e ingenerare dei complessi, di inferiorità
o di superiorità a seconda dei temperamenti, da cui difficilmente si guarisce.
Meglio per una pecora il rischio del lupo che la certezza dell'avvilimento
nell'ovile.
Può capitare che il
pastore non sia sufficientemente perspicace per rendersene conto: in tal caso
bisogna avere il coraggio di forzare la mano. L'esodo di massa, registrato
nella parabola, è il mezzo più efficace per fare intendere la ragione a chi si
ostina a chiudere gli occhi. Una volta smantellato l'ovile, allora si potrà
tornare tutti insieme: pecore, lupi e altri animali, e ci sarà un solo branco
senza un solo pastore.
Nella parabola però il
pastore capisce la ragione, tanto che si secca per l'unica pecora rimasta.
Quest'animale - cui va
riconosciuto obbiettivamente un certo non conformismo - basta da solo a
rovinare l'avvento di un'epoca nuova: finché c'è lui c'è l'ovile, e finché c'è
l'ovile, le pecore in libertà avranno qualche inquietudine sulla saggezza della
loro evasione. E non è bene: anche ad essere ben divorate giova una certa interiore
tranquillità.
Fuori dunque, o pecora
renitente! Ti si deve necessariamente costringere ad essere libera. Anche
perché tu, da sola, fai perdere al tuo custode tempo e fatica, e impedisci così
il progresso della cultura. Solo quando anche tu avrai preso coraggiosamente il
sentiero del bosco, il pastore potrà discutere coi suoi colleghi i mezzi più
adatti per far prosperare un allevamento. Solo quando non ci sarà più l'ovile
(e neppure le pecore) si potrà elaborare in tutto il suo rigore scientifico -
senza compromessi con le condizioni concrete e con la sopravvivenza delle
concezioni superate - una vera e compiuta teologia pastorale.
FRAMMENTO
21
Che giova all'uomo
conquistare il mondo intero, se poi perde la propria anima? (Mt 16, 26)
Che giova all'uomo salvare
la propria anima, se poi non riesce a conquistare il mondo? (Quinto Evangelo)
Si noterà come il
testo di Matteo sia perfettamente antitetico al nostro. E' probabile che un
copista distratto abbia scambiato tra loro i termini "anima" e
"mondo", dandoci così nel primo evangelo un insegnamento addirittura
opposto a quello veramente inteso dal Signore.
Si noterà anche come
questo frammento riesca finalmente a concordare l'idea della
"alienazione" (di origine marxista ma oggi assioma fondamentale di
tutto il pensiero cristiano contemporaneo) con la predicazione di Cristo.
Veramente il concetto era
implicito anche negli evangeli canonici. Per essi "alienato" è l'uomo
che, creato per conoscere, amare e servire Dio, si perde nella conquista della
terra; destinato a una vita eterna, si lascia prendere dall'affanno del giorno;
in grado di conoscere dalla meditazione della Parola le ultime notizie sul
mondo e sul Regno, è avido di ascoltare
il telegiornale e di
leggere le riviste di attualità cattolica.
Analogamente
"alienato" è il cristiano che essendo incapace di adempiere al suo
compito di testimoniare le cose dell'alto, "dove Cristo è assiso alla
destra del Padre ", cerca di farsi perdonare la propria fede rivestendola
di un umanitarismo inconcludente o identificandola con la rivoluzione e la
violenza.
Sulla stessa linea
"alienato" è il prete che non riuscendo a interessare al Regno i suoi
parrocchiani o anche solo a organizzare i suoi chierichetti, evade dalla sua
missione specifica nelle "questioni di fondo" e nei "problemi
generali".
Questo concetto di
"alienazione" però ha il demerito di essere scandalosamente
originale. Per esso la causa prima dell'infelicità umana non starebbe tanto
nelle strutture opprimenti quanto nello smarrimento dell'ultimo fine: un uomo
che non conosce più la ragione essenziale del suo stesso esistere non può non
essere un candidato alla disperazione, dalla quale si difende come può.
Ma tutti vedono come
questa idea sia inaccettabile. farebbe del cristianesimo una concezione non solo
estranea, ma addirittura ribelle alle filosofie oggi più accreditate. Uno che a
tutti costi la sostenesse, si porrebbe per ciò stesso al di fuori della storia
e riuscirebbe incomprensibile ai suoi contemporanei.
Il quinto evangelo ci
inette provvidenzialmente in guardia: non lasciamoci distrarre dalle solite
banalità sulla salvezza dell'anima e sul Paradiso. Il vero cristiano sa che la
sua unica legittima preoccupazione è la conquista del mondo; non per volontà di
dominio, si capisce, ma per assicurare a tutti giustizia, felicita, benessere
e, se è possibile, una perfetta riposante oscurità circa il significato della
vita.
FRAMMENTO 22
Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato prima me. Se
foste del mondo, il mondo amerebbe la sua proprietà: ma poiché non siete dal
mondo e io vi ho presi dal mondo, per questo il mondo vi odia. (Gv 15, 18-19)
Se il mondo vi odia, è segno che non lo capite.
Conformatevi al mondo e il mondo vi salverà. (Quinto
evangelo)
L'attitudine da prendersi
nei confronti del mondo ha subito ai nostri giorni nell'insegnamento dei
migliori teologi e nella convinzione dei cristiani più illuminati un'accelerata
evoluzione.
"Fuggiamo il
mondo!", dicevano gli antichi asceti. "Salviamo il mondo!",
ribattevano gli apostoli di tutti i tempi. E per secoli la disputa si sostanziò
della contrapposizione di questi due enunciati, senza che fosse possibile
risolverla con la soppressione di uno dei termini. Se pur disputa c'era: in
realtà il mistico anche nella sua solitudine si sentiva al servizio della
salvezza dei fratelli e l'apostolo nel suo lavoro per gli altri cercava di non
soggiacere ai dettami della società mondana.
Ma in questi ultimi tempi
abbiamo compreso che il torto era di entrambi. Il mondo non deve essere né
fuggito né salvato: è già salvo da sé, Perché tutto quello che c'è in esso,
tutte le sue idee, le sue aspirazioni, le sue abitudini, hanno una loro
Positiva bontà, che attende solo di essere capita e apprezzata.
Anzi, e qui la nuova luce
raggiunge il pieno meriggio, occorre lasciarsi salvare dal mondo: chi se ne
distacca o, peggio, chi tenta di opporre resistenza, è irrimediabilmente
perduto.
Così noi oggi ammiriamo
l'umiltà e la larghezza di spirito dei nuovi cristiani che invocano ogni giorno
più intensamente per sé e per la
Chiesa quella redenzione che solo il mondo può apportare: chi
altri ci può liberare dalla nostra angusta visione della realtà, dalle
inibizioni e dalle remore di natura morale, dalla mania aberrante del
sacrificio, della rinuncia, del senso del dovere?
C'è chi mutua dal mondo
(ma forse qui si esagera un po') perfino il riscatto dalla concezione di un Dio
trascendente, e in fin dei conti oppressivo, che antecedentemente al parere
della nostra coscienza decida del bene e del male.
"Conformatevi al
mondo e il mondo vi salverà!". Nonostante l'apparente contraddizione,
abbiamo qui espressa con forza la legge suprema dell'anticonformismo, l'unica
ad essere cordialmente e universalmente accettata. Tutti siamo anticonformisti
e spesso in un modo veramente inaspettato.
Anticonformista è colui
che coraggiosamente decide di non andare più a messa in un'epoca in cui il
novanta per cento non ci va.
Anticonformista è colui
che sa oltrepassare tutti i tabù sessuali, dal momento che "fanno tutti
così". Anticonformista è quell'uomo che sa perfino vestirsi come la sua
bisnonna, purché lo facciano al tempo stesso tutti quelli della sua tribù.
Anticonformista è chi
accetta questa concezione dell'anticonformismo, poiché non è contestata da
nessuno.
"Per il mondo non
prego", avrebbe detto Gesù secondo l'evangelo di Giovanni. Ci ha sempre
lasciati perplessi questa frase senza misericordia. Ma forse adesso ne cogliamo
il significato: non dobbiamo pregare per il mondo, che non ha nessun bisogno
della nostra preghiera. Noi piuttosto abbiamo bisogno del mondo, se non
vogliamo essere relegati in un angolo coi nostri inutili rimpianti, solitari
conformisti che fanno vergognosamente spicco nell'anticonformismo universale.
FRAMMENTO
23
Se vuoi entrate
nella vita, osserva i comandamenti (Mt
19, 17)
Se vuoi entrate
nella vita eterna, osserva i dettami della tua coscienza. (Quinto evangelo)
Questo frammento formerà
senza dubbio la gioia dei moralisti contemporanei, i quali tendono ogni giorno
di più a semplificare il loro compito con l'appello alla coscienza del singolo.
Soprattutto darà una
chiara giustificazione biblica all'idea, sempre più diffusa tra i cristiani,
che non va ricercata nessun altra regola di moralità al di fuori del sentimento
interiore del bene e del male.
Per la verità non si
tratta di una nuova dottrina: da sempre la morale cristiana ha insegnato che la
norma propria dell'agire per l'uomo concreto è la sua coscienza personale, che
egli deve sempre seguire, qualunque cosa comandi o proibisca.
La novità consiste
piuttosto in una rinnovata concezione, della coscienza e delle sue funzioni. La
mentalità antica riteneva che la coscienza fosse soltanto l'altoparlante
interiore in grado di trasmettere la legge di Dio: era perciò essenziale ad
essa la capacità di restare in sintonia con la voce divina; senza di che,
diventava inservibile come una radio ricevente che non riuscisse più a
mantenere il collegamento con l'emittente voluta. In questa visione, il primo
compito imposto dalla coscienza non era di rinvenire dentro di sé i suoi
contenuti, ma di ricercarli nei comandi del Signore. Il primo imperativo della
coscienza era di scrutare la legge.
Secondo l'opinione che
oggi si generalizza invece, la coscienza non pare debba uscire da se stessa:
stia attenta ai propri desideri, alle proprie ritrosie, ai propri entusiasmi,
ai propri languori, e non avrà bisogno d'altro. La conoscenza delle norme
oggettive le è estranea e quindi indifferente.
E così si è finalmente
venuti a capo di un equivoco: si era fino a questo momento pensato che la
coscienza fosse un mezzo dato da Dio per far conoscere la sua volontà: si è
adesso capito che essa è in realtà un regalo molto più prezioso; è un mezzo per
dispensare l'uomo dall'incomodo di conoscere la volontà di Dio. Tutto è così
reso più facile: la coscienza è l'abolizione della legge. E' la liberazione
dalla schiavitù dei precetti e della casistica. L'imperativo morale è
perfettamente semplificato:
- sono leciti i rapporti
prematrimoniali? segui la tua coscienza;
- come devo compilare
denuncia dei redditi? segui la tua coscienza;
- mi è lecito compiere un
aborto, se ho già tre figli da mantenere? segui la tua coscienza. La quale non
va affatto informata, ma solo seguita.
E non è appena il
mestiere di moralista a venire in tal modo agevolato, è anche quello più impegnativo
di uomo.
Tanto più che, nonostante
le apparenze, non c'è nulla di più arrendevole della coscienza che non si
raffronti continuamente con la legge divina. All'uomo che obbedisce alla
coscienza senza preoccuparsi affatto di conoscere il parere di Dio, la
ricompensa è immanente: la coscienza finisce sempre per obbedire all'uomo senza
recargli più nessun disturbo.
Anche colui che ha preso
l'abitudine di avvelenare di tanto in tanto le proprie zie per ottenerne in
anticipo l'eredità. al funerale della quarta troverà che la sua coscienza (come
la zia) non ha nessuna protesta da fare.
FRAMMENTO 24
Disse a uno:
Seguimi! Ma quello disse: Signore, consentimi prima di andare da mio padre. Gli
disse: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti: tu va e annunzia il Regno
di Dio. Gli disse un altro: Ti seguirò, Signore, ma lascia che mi accomiati da
quelli di casa mia.
Gli disse Gesù:
Nessuno che mette mano all'aratro e poi si volta indietro è adatto al Regno di
Dio (Lc 9, 59-62).
E Gesù disse a uno:
Seguimi per cinque anni, poi potrai tornare ad attendere ai tuoi affari. E a
chi gli diceva: Cinque anni sono troppi! - rispose: Vieni per sei mesi e così
farai una bella esperienza (Quinto
Evangelo)
Negli evangeli canonici
Cristo lancia i suoi appelli coll'aria di chi ignora l'esistenza dei contratti
a termine.
Hapax, "una volta per sempre", è in tutto il
Nuovo Testamento un concetto di base: e non solo nei confronti dell'azione
salvifica del Signore, ma anche dell'adesione degli uomini a lui. All'hapax
di Gesù, che si è sacrificato tutto in una donazione unica e pienamente
sufficiente, corrisponde l'hapax dell'uomo, che si deve consacrare senza
riserve e senza pentimenti.
Tuttavia, secondo i
principi dei migliori teologi contemporanei, anche questa dottrina, come tutte
le altre, va capita storicamente: è sorta condizionata da circostanze che oggi
non esistono più e perciò deve essere tutta ripensata secondo le categorie
della cultura odierna.
E' ad esempio innegabile
che lo stile evangelico nasce in una società che non conosce le vendite
rateali, le quali sono al contrario uno dei pilastri dell'attuale economia. Il
"tutto subito", anche per la vocazione apostolica, suppone un mondo
che ancora non è arrivato all'invenzione delle cambiali. Sarà necessario dunque
procedere a una "traduzione" in termini più accessibili a noi.
In questo il frammento ci
aiuta.
Ci aiuta con il suo senso
di umanità: di fronte alla durezza del testo di Luca che abbiamo citato,
risalta la discrezione, la dolcezza, si direbbe, di questo invito. Ci sentiamo
capiti: qui c'è uno che ci legge dentro e sa che niente ci raggela più delle
parole "sempre" e "mai". Incidentalmente rileviamo che
trova qui il suo fondamento l'uso secolare nella Chiesa dei voti temporanei,
che fino adesso mancava di un supporto biblico persuasivo.
E il frammento ci aiuta
con la sua "modernità". Gesù sa con occhio profetico penetrare con
venti secoli di anticipo l'indole degli uomini del nostro tempo.
Essi sono generosi, avidi
di donarsi, di spendere la loro esistenza per uno scopo; ma non vogliono legami
irresolubili. Sono disposti anche a dare la vita per il Regno di Dio, purché
non sia per un periodo di tempo troppo esteso.
Soprattutto sono ansiosi
di sperimentare: il fine supremo è arricchirsi di sensazioni inconsuete. Oggi
l'uomo vuol essere e restare aperto, o, come preferisce dire, disponibile.
Per qualche mese è capace
anche di fare il missionario in situazioni di estrema difficoltà. C'è gente
che, se la cosa non va per le lunghe, sa anche affrontare l'emozione di vivere
in povertà, castità e obbedienza.
Così, hanno qualcosa di
originale da raccontare raduni del clan, quando le disparate esperienze di
tutti sono messe a confronto.
FRAMMENTO
25
Vi sono degli
eunuchi che si sono resi tali da se stessi per il Regno dei cieli. Capisca chi
può... (Mt 19, 12)
Ci sono di quelli
che per Regno dei cieli, laddove lo esiga il bene della comunità, si astengono
dal generare per qualche tempo. E non dovrebbe essere una cosa difficile da
capire. (Quinto Evangelo)
La questione dei celibato
di consacrazione è ricca di sfumature che non hanno nessuna eco nel testo di
Matteo, dove tanto crudamente si parla di "eunuchi", di gente posta
in una condizione senza ritorno. Nel confronto, si impone alla nostra
attenzione la finezza di questo frammento.
Qui non pare si tratti
del celibato dei preti: Gesù si riferisce infatti a coloro che si preoccupano
del Regno dei cieli, al punto di farne il senso e il fine
della propria esistenza.
Tanto più che al
presbitero non è dato di estraniarsi dalla comunità, vivendo una vita diversa
da quella dei suoi fratelli: egli deve in tutto assimilarsi a loro per essere
compiutamente uno di loro, sia pure al loro servizio. Ora nessuno è più
straniero di chi è programmaticamente celibe in un popolo di coniugati. Sicché
se il dilemma sta nel conformarsi o a Cristo, che è vergine, o agli altri
cristiani che di regola vivono nel matrimonio, il sacerdote illuminato non ha
esitazioni: sceglierà di essere come tutti.
Se qualcuno vuol
rinunciare provvisoriamente al matrimonio, lo farà soltanto in ordine al bene
della sua comunità. Non dunque per imitare il Signore; né perché sente che
"il tempo è breve" e decide di anticipare le condizioni proprie del
Regno, dove non ci saranno né mogli né mariti; e neppure per essere partecipi
dell'amore sponsale con cui Cristo si dona alla Chiesa. Ma solo per il
temporaneo vantaggio della comunità.
In ogni caso, non si può
diventare degli "eunuchi" spirituali: non è ammissibile una decisione
irrevocabile.
Il celibato ha valore se
è frutto di una libera determinazione. Chi ha preso, sia pure spontaneamente,
un impegno che lo vincola per tutta la vita, diventa prigioniero di una norma;
l'obbligo si fa per lui una catena giuridica che lo astringe dall'esterno e ne
impaccia la crescita spirituale.
La scelta celibataria più
valida dovrebbe essere presa quotidianamente: ogni sera si ricupera quella
libertà che al mattino può ridare - se lo si ritiene opportuno - vigore e
ricchezza a un'altra decisione giornaliera.
Come si vede, non si
tratta di consacrare una vita, ma di programmare il proprio, servizio per un
breve spazio di tempo.
Del resto c'è qualche
immoralità in un impegno perpetuo: chi può dirsi psicologicamente padrone di
tutto il suo avvenire?
Sarà forse concepibile la
rinuncia alle donne che si sono conosciute nel passato: ma se la donna
destinata a noi è ancora nel grembo del futuro? Non è mostruoso il sacrificio
dì ciò che ancora non si conosce?
A simili abnegazioni ci
si può in coscienza obbligare soltanto a breve scadenza.
Al limite, possiamo anche
concludere che il più libero e consapevole voto di castità, e quindi il più
prezioso, sia quello che vincola lo spazio di tempo - lungo o breve che sia -
che va da un rapporto coniugale, all'altro.
FRAMMENTO 26
Giuda l'Iscariota,
uno dei discepoli che stava per tradirlo, disse: Perché questo profumo non è
stato venduto per trecento denari, per darli ai poveri... Ma Gesù disse:
Lasciala stare: doveva conservarlo per il giorno della mia sepoltura. I poveri
infatti li avrete sempre con voi; me invece, non mi avrete sempre. (Gv 12, 4-8)
E Gesù disse a
Maria, sorella di Lazzaro: Un profumo di trecento denari noti poteva essere
venduto per aiutare i poveri? Giuda mormorò: Guarda! proprio quello che volevo
dire io. (Quinto Evangelo)
Si va per grazia di Dio
diffondendo nella cristianità la convinzione che bisogna economizzare al
massimo sulle spese di culto, perché appaia più luminoso il primato della
povertà e della carità tra i discepoli di Cristo.
Qualcuno però educato in
clima di trionfalismo potrebbe a questo proposito sollevare diverse obiezioni.
Ci si potrebbe ad esempio meravigliare che un giovane esiga a gran voce dai
vescovi di manifestare la loro consacrazione a Cristo con una croce di legno, e
poi non ritenga il legno materia adatta per esprimere il suo amore sponsale. Ma
è una meraviglia fuori luogo: l'affetto che lega i fidanzati e i coniugi tra
loro è una cosa veramente seria, ed è giusto sia rappresentato dalle gemme e
dall'oro.
Oppure si potrebbe
trovare a ridire sull'abitudine invalsa ormai tra i sacerdoti più aperti e
sensibili di risparmiare - in nome dell'austerità evangelica - sui fiori, sulle
luci, sui paramenti degli altari, e invece di non lesinare affatto sulle
sigarette, il whisky, la birra e, ahimè!, la coca-cola per il sostentamento e
il ristoro delle interminabili discussioni sulle malefatte della Chiesa dei
ricchi. Ma sarebbe un non capire l'esatta gerarchia dei valori.
C'è chi arriverebbe
perfino a difendere le immense, ornatissime chiese del passato col pretesto che
in fin dei conti sono state volute ricche, grandi, stupende da tutto un popolo
che magari viveva in catapecchie ma si sentiva felice di avere una casa di Dio
- e dunque una casa dei figli di Dio - che con la sua magnificenza gli
richiamasse la gioia del suo destino e il significato della sua dolorosa
esistenza. I sassi contro le cattedrali non sono mai stati scagliati da coloro
che vivevano in tuguri di legno su pavimenti di terra battuta, ma a quelli che
- non avendole costruite e camminando ogni giorno nelle proprie case sul marmo
e la ceramica - sanno vittoriosamente resistere al loro fascino e superare la
loro insidia sottile.
Gli antichi ritenevano
che fosse preferibile vivere il distacco dai beni nelle abitazioni e trovare
nel duomo cittadino l'appagamento al desiderio di bellezza e di grandezza. Più
saggiamente nella civiltà moderna si pensa che ad ogni ambiente debba essere
riservato il suo compito proprio: la casa di Dio richiami la povertà
evangelica, e la nostalgia dell'uomo per un ideale di vita luminosa trovi la
sua più alta forma espressiva nei servizi igienici , con le loro maioliche e le
loro cromature.
Tuttavia l'argomento
principe dei trionfalisti era di carattere biblico: il rimprovero rivolto a
Maria, la sciupona, per i trecento denari effusi nel culto affettuoso di Cristo
appariva nei vangeli tradizionali un sentimento meschino del cuore senza amore
di Giuda, l'unico della compagnia capace di fare dei calcoli.
Ed ecco risultare
evidente da questo frammento che le antiche narrazioni sono tendenziose: in
realtà il Maestro era dello stesso avviso del più prudente, assennato e
caritatevole dei suoi discepoli. E' vero che poi lo ha tradito; ma non ci
sentiremmo, in questo clima di apertura ecumenica, di condannare per un solo
errore tutti i pensieri e i fatti della vita di un uomo.
FRAMMENTO 27
Ed entrato nel
tempio cacciò tutti i venditori e i compratori che vi si trovavano. Rovesciò i
tavoli dei cambiavalute e i banchi dei mercanti di colombe. E disse loro: Sta
scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera, ma voi ne avete fatto una
spelonca di ladri. (Mt 21, 12-13)
Ed entrato nel
tempio vide la folla dei venditori e dei compratori e disse: Questo luogo è
diventato una spelonca di ladri, ma la cosa non mi preoccupa, tutto il mondo è
infatti un tempio in cui si adora Dio in spirito e Verità. (Quinto evangelo)
Non c'è in tutto il Nuovo
Testamento - che però ha diversi accenni in proposito - un passo che in modo
più esplicito di questo permetta di superare il concetto di "sacro"
per arrivare all'idea dei "religioso" sostanziale, che non ha
necessità di una verniciatura rituale per essere teatro dell'incontro tra
l'uomo e Dio.
Per ciò stesso che un
luogo viene sacralizzato, tutti gli altri sono definiti profani e quindi
sottratti alla destinazione originale di "creature" che col loro
stesso essere rivelano e richiamano il Creatore. Se dedichiamo un giorno alla
divinità, la derubiamo di tutti gli altri. Se un gesto viene separato e diventa
rituale, si sconsacrano con questo tutti i gesti comuni.
Come si vede, il
"sacro" insidia e soffoca il "religioso"; e mentre il
"culto" si dissecca sconnettendosi dall'autenticità dell'esistenza,
la vita viene privata di ogni spontaneo riferimento a Dio e diventa atea.
Si può facilmente
comprendere allora l'entusiasmo che coglie molti teologi cattolici di fronte
all'"eclissi del sacro", innegabile nel mondo moderno. E' una delle
conquiste più alte della civiltà contemporanea: una vera liberazione spirituale
che prelude al rinascimento del genuino senso di Dio.
Lasciamo dunque che i
compratori e i venditori profanino i templi: ne affretteranno la fine. Quando
finalmente non ci saranno Più chiese e tutte le nostre case saranno luoghi di
culto; quando non distingueremo più domeniche perché tutti i giorni della
settimana sono di Dio; quando non avremo più riti e preghiere, perché tutto
nella nostra esistenza, il cibo. l'amore, il sonno, il lavoro, il gioco, la
lotta sono una vera orazione e una sostanziale liturgia, allora tutti gli
uomini vivranno in perfetta e continua adesione al Signore e lo ricorderanno
senza soste e senza stanchezze.
Tuttavia c'è invincibile
in noi qualcosa dell'antica mentalità "sacrale" che non ci lascia
quieti.
E se l'analisi storica
fosse errata? Se lo smarrimento del senso di Dio non dipendesse dall'affermazione
del "sacro" e fosse piuttosto l'eclissi del sacro una semplice
conseguenza dello smarrimento del senso di Dio? La situazione sarebbe molto più
grave di quella che viene prospettata dall'ottimismo teologico contemporaneo, e
forse non basterebbe la desacralizzazione a rinvigorire la fede.
O se - a tal punto ci
tiranneggiano interiormente i residui ancestrali e l'assuefazione dello spirito
- il "sacro" fosse una necessità psicologica per la sopravvivenza del
"religioso"?
O se fosse addirittura
una necessità teologica, proveniente dalla convinzione che il mondo così com'è
non è nello stato originario voluto da Dio e neppure nello stato definitivo di
gloria e perciò si imponesse la lotta contro il Maligno anche a colpi di
battesimi e di benedizioni, e fosse necessario anticipare ritualmente il Regno
con i templi, le domeniche, le celebrazioni?
Nelle piazze della
Gerusalemme celeste non ci saranno più chiese: una
"desacralizzazione" perfetta. Ci viene il dubbio che la teologia
della secolarizzazione sia tutta giusta, solo per eccessiva preveggenza arrivi
con qualche anno di anticipo.
Ma forse queste nostre
incertezze non sono che rimasugli inconsci di due vecchie concezioni che nel
nostro animo non sono ancora state perfettamente smitizzate: quella del peccato
originale e quella dell'attesa del Regno di Dio alla fine del mondo. Dove si
vede che, se non ci si difende con continuità, anche le più importanti
conquiste della teologia contemporanea possono essere minate dal dubbio.
FRAMMENTO 28
Simone... io ho pregato
per te perché la tua fede non venga meno e tu, una volta ritornato, conferma i
tuoi fratelli. (Lc 22, 32)
Io ho pregato per
te, Simone, perché la tua fede, confermata dall'opinione della moltitudine, non
venga mai meno, e tu sia sorretto dalle mormorazioni affettuose dei tuoi
fratelli. (Quinto evangelo)
Da chi è sostenuta la
fede incrollabile di Pietro? Dalla preghiera di Cristo, sembra insegnarci il
terzo evangelo. Dal parere della maggioranza dei fedeli, insinua invece questo
nostro testo.
Quando nella Chiesa c'è
qualche incertezza sulla strada da prendere, che deve fare Pietro?
Deve affidarsi al suo
interiore carisma, alla cui sorgente sta la preghiera del Signore,
"vescovo e pastore delle nostre anime", sembra suggerire San Luca.
Deve fondarsi sui risultati dì un referendum tra i battezzati o quanto meno di
un sondaggio di opinione, direbbe il quinto evangelo.
Se il gregge non sa più
dove andare, cosa succede?
Guardi Pietro, il pastore
delegato, pare ammonire il vangelo secondo Giovanni. Niente affatto: si
radunino le pecore e decidano a maggioranza la strada che il pastore dovrà poi
seguire, insegna l'evangelo secondo il Migliavacca.
Siamo come si vede in
presenza di due ben diverse concezioni della Chiesa e del suo capo visibile.
Tra esse l'accordo è difficile: è necessario che una scelta si compia.
Per parte nostra non ci
sono dubbi: la teologia del primato che soggiace a questo esiguo frammento,
anche se in contrasto con gli evangeli canonici, è più democratica, più
conforme alla mentalità dei tempi che corrono, più accettabile.
Vorremmo che si notasse
l'equilibrio garbato che caratterizza le ultime parole del brano.
I cattolici di questo
secolo nei confronti del Papa sembrano incapaci di percorrere qualunque strada
di mezzo tra l'adulazione e l'insulto, tra il culto della personalità e il
disprezzo, tra l'osanna e il crucifige. Quanta misura, invece, quanto buon
senso in quelle "mormorazioni affettuose" che, secondo la parola di
Gesù qui riferita, sarebbero il vero segreto della saldezza di Pietro e la
fonte nascosta delle sue consolazioni!
FRAMMENTO
29
Questo è il mio
corpo, che è dato per voi: fate questo per ricordarvi di me. (Lc 22, 19)
Questo è il corpo
che è dato per voi: fate questo per ricordarvi della vostra comunione tra voi (Quinto evangelo).
Se si dovesse stare alla
teologia che pare soggiacere ai testi dei sinottici e di S. Giovanni,
sembrerebbe che l'aspetto fondamentale dell'eucaristia sia quello di essere un
rito che avvera nei discepoli una "memoria oggettiva" di Cristo e di
ciò che ha fatto per noi, istituendo una reale partecipazione al suo corpo e al
suo sangue. Sicché il sacrificio del Figlio di Dio, liturgicamente ripresentato
e reso spiritualmente assimilabile, unirebbe gli uomini più diversi e più
lontani tra loro, alla persona dei Salvatore veramente presente tra i suoi.
E' ovvio, che in questo
caso la celebrazione eucaristica darebbe origine anche a una effettiva
comunione dei partecipanti tra loro, ma solo in quanto essi si fondono nel
comune ricordo di Cristo: "fate questo per ricordarvi di me", e nella
comune manducazione della sua carne e del suo sangue.
E' la dottrina
tradizionale e ha un suo incontestabile fascino. Ma a una migliore
considerazione, per gli spiriti più avveduti, si rivela lacunosa e scialba.
Il nostro frammento
colloca invece al primo posto la prerogativa della " autenticità " di
comunione, il gesto deve avvenire non fra estranei, che non si conoscono
neppure di nome, ma, come tutti i banchetti, fra persone legate da schietta
amicizia. Anzi il suo senso profondo è di esprimere questa solidarietà, che
pertanto più che costruita dall'azione comune le è prerequisita.
Non ci può essere dunque
eucaristia se non tra persone che già formano tra loro una comunità di spiriti,
di ideali, di gusti, di abitudini di vita. E siccome tutto ciò non si ha di
solito né in una massa troppo numerosa né fra uomini troppo diversi per
cultura, condizioni sociali età o razza, un'eucaristia autentica può nascere
solo da un gruppetto omogeneo, che si raduni attorno a un piccolo tavolo. La
" ekklesìa" di Cristo, espressa dal sacramento, sarà dunque composta
o da soli greci o da soli ebrei, o da soli poveri o da soli ricchi, o da soli
semplici o da soli intellettuali. O anche
e meglio da intellettuali
che i semplici; purché siano tutti di loro.
Del resto la legge della
"autenticità" ha una validità generale e costringe felicemente a
conclusione che neppure avremmo osato prevedere, prima della sua scoperta.
Autenticità nella lingua, senza inflessioni sacrali o vocaboli ecclesiastici; autenticità
nelle vesti, che devono essere quelle comuni; autenticità dell'ambiente in cui
il pasto si consuma, che sarà - è
intuitivo - la sala da
pranzo o anche la raccolta intimità di una trattoria; autenticità delle
vivande: e chi banchetta solo col pane e col vino?; autenticità dei discorsi e
degli argomenti trattati, che di necessità saranno quelli che normalmente
nascono in una conversazione tra amici. Tutto all'insegna della spontaneità ,
della semplicità, senza formalismi, senza ritualismi, senza sovrapposizioni.
Come siamo lontani dalla
freddezza, dalla impersonalità, dalla convenzionalità delle solite messe
domenicali!
A questo punto ci
avvediamo di avere talvolta celebrate delle magnifiche eucaristie
"anonime" e inconsapevoli, in certi piccoli ristoranti sul Ticino, a
spese di trote succulente, in una ristretta cerchia di amici. Cene
indimenticabili, che davvero ci ricordavano la nostra comunione tra noi, e
insieme l'alimentavano e la crescevano; momenti magici, che ci davano la forza
di continuare nel duro cammino dell'esistenza e ci lasciano più uniti, più
buoni e comprensivi verso tutto il genere umano (come di solito capita
all'Italiano dopo il quarto bicchiere), più tranquilli di coscienza e più
felici!
Momenti meravigliosi e,
ahimè! troppo rari! Il cielo ci conceda che siano più numerosi per l'avvenire;
ce lo auguriamo di cuore, soprattutto adesso che abbiamo scoperto la loro
natura eucaristica.
FRAMMENTO 30
Andate e fatevi
discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e dei Figlio e dello
Spirito Santo e insegnando loro a osservare tutto ciò che io vi ho prescritto. (Mt 28, 19)
Andate nel mondo
impuro e discutete: dal libero confronto dei pareri germoglierà la verità. (Quinto Evangelo)
L'idea
dell'"annuncio" è negli evangeli tradizionali espressa con una
durezza che riesce poco sopportabile alle nostre orecchie.
Gesù stesso parla per
affermazioni recise: non associa nessuno a una ricerca, che del resto non
sembra compiuta neppure da lui. Egli semplicemente "dice", non
indaga, non ipotizza, non dialoga. Si presenta come colui che non solo ha la
verità, ma addirittura è la verità.
Lo stesso stile viene
raccomandato agli apostoli: essi devono esporre un fatto, non provocare dei
dibattiti. Sono i portatori di una perla preziosa che non deve essere gettata
ai porci, ma custodita come un bene inestimabile. Se qualcuno accoglie
l'evangelo, è beato; chi lo rifiuta, stia nelle sue tenebre: neppure la polvere
bisogna avere più in comune con lui. Ci si affretti a proporlo ad altri.
Il proselitismo affannoso
- che egli rimprovera ai farisei - è un atteggiamento ignoto a Cristo e non
raccomandato ai suoi inviati.
Ma se sulla condanna del
proselitismo possiamo essere d'accordo tutti, sul metodo dell'annuncio abbiamo
qualche riserva.
Esso infatti, come il
proselitismo, condiziona la libertà altrui e impedisce di pensare con la
propria testa. E non è una ragione il fatto che quello cristiano sia un
annuncio di verità. Al contrario è un impegno maggiore a tacere: la verità,
avendo una sua forza immanente ignota all'errore, determina in misura più
grande il comportamento di chi arriva a conoscerla. Perciò se può essere
consentito ai seminatori di falsità di proclamare e propagandare le loro
dottrine, a noi no: la nostra testimonianza deve essere il più possibile
silenziosa.
Soprattutto - e qui sta
l'insidia più grande - l'idea dell'annuncio sembrerebbe quasi supporre che la
verità discenda dall'alto già pronta e cucinata, e non sia piuttosto frutto
della ricerca, della libera discussione, del nostro spirito insonne. Se si
comincia ad ammettere l'annuncio, si finisce o presto o tardi per accettare il
concetto di una Rivelazione oggettiva ed esterna.
Allora, se non ad
"annunciare", a che cosa sono stati mandati gli apostoli?
Il testo ci dà un
chiarimento definitivo: compito degli apostoli è di stimolare il dibattito, di
dirigerlo con imparzialità, sicché tutte le opinioni possano liberamente
commisurarsi.
La verità, che sta nel
cuore e nella mente dell'uomo o più propriamente nel cuore e nella mente
dell'" umanità " - troverà la strada per emergere e per affermarsi e
potrà venire accolta da tutti non come una tiranna dispotica che ha sempre
ragione, ma come una figlia che noi stessi con travaglio abbiamo generato.
Ci avvediamo che questo
quinto evangelo assimila il metodo di Gesù a quello di Socrate. Il che ci
meraviglia un po', non foss'altro perché i due tipi umani ci sembrano molto
diversi. Basti pensare all'entusiasmo con cui il filosofo ateniese - senza
timore, senza disgusto, senza tristezza - ha bevuto la sua cicuta.
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Giacomo Biffi
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mi viene spontaneo commentare :
RispondiEliminaFRAMMENTO 16
Capita dei Regno dei cieli come di un ladro che, entrato di notte in casa di un uomo ricco, non vede il cofanetto pieno di gioielli preziosi e s'affanna a forzare la cassaforte, dove sul far dell'alba, impaziente ed esausto, trova solo il testamento del padrone e le sue lettere d'amore. (Quinto Evangelo)
Si parla di un uomo ricco che e’ ricco su un piano superiore, non proprio umano. Quindi non ammucchia tesori materiali ma la gioia corrisposta delle sue lettere d’amore (prova di un tesoro in Cielo) e il testamento che insegna il cosciente non attaccamento alle cose terrene Con questo atto divide tutto tra i suoi amici (anche questo prova di un tesoro in Cielo). Queste due cose che sembrerebbero a prima vista meno preziose sono collocate in una cassaforte, mentre i gioielli “preziosi” non sono presi nemmeno in considerazione. Mi viene in mente la frase di Giuseppe poco prima…
Giuseppe P.
Mi viene da dire anche:
RispondiEliminaLa cassaforte e’ l’anima di ognuno di noi, imprendibile dall’esterno…una vera cassaforte.
Il ladro e’ il peccato che tenta continuamente di scassinare l’anima, ed entra previo nostro consenso. Parlare di testamento mi porta a pensare alla fine della vita, al momento del giudizio…penso proprio che si stia parlando del giudizio universale.
Forse in questo caso pero’ il ladro e’ inteso sia come qualcuno che tenta di rubare sempre qualcosa nella nostra anima ma ora soprattutto come qualcuno che ha fallito, niente puo’ prendere, ha fatto tutto per nulla, ha fallito e constata che non c’e’ niente da rubare. Non e’ piu’ tempo. Ma ci prova sempre, non sapendo fare altro.
Le lettere d’amore sono la testimonianza di Dio per una persona che ha amato, ha messo gli altri prima di se stesso.
Il testamento e’ quello che abbiamo fatto sulla terra per Dio, quindi rimarra’.
Le lettere d’amore e il testamento quello che si spera Dio trovera’ nella cassaforte della nostra anima.
Giuseppe P.