di Giorgio Napolitano
Rinnovo a Benedetto XVI - nel momento conclusivo del suo mandato - il
saluto riconoscente e affettuoso degli italiani.
Ho sentito e sento di
poterlo fare a nome del popolo e della nazione, che questo Pontefice non
italiano ha sinceramente amato, e ha accompagnato con costante simpatia
e benevolenza. Anche i più lontani dalla Chiesa e dalla pratica
religiosa, hanno apprezzato l'elevatezza della ricerca e degli apporti
di pensiero di Benedetto XVI, e insieme la sua semplicità e la sua
discrezione. Gli anni del suo pontificato sono stati tra i più sereni
nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato nel nostro paese: nel segno del
rispetto reciproco e della volontà di collaborazione. La dimensione
sociale e pubblica - per comune riconoscimento - del fatto religioso, è
stata in questi anni sempre vissuta col giusto senso del limite.
Sabato scorso, il mio personale commiato da Benedetto XVI è stato
segnato da un'intima commozione. Perché fin dalla mia iniziale visita di
Stato in Vaticano e dalla sua, in restituzione, al Quirinale, si era
stabilito tra noi un senso di affinità che ci spingeva ad andare al di
là di ogni ufficialità e formalità. Non potevo tuttavia prevedere il
livello di attenzione e confidenza cui sarebbero giunti il rapporto e
gli incontri tra noi.
Ne ho, così, potuto cogliere la sofferenza e il travaglio in momenti
difficili e amari per la Chiesa; e la serena determinazione
nell'affrontare le prove che gli si presentavano.
E abbiamo avuto modo di verificare una schietta comunanza di
preoccupazioni e di vedute sui fatti dell'Europa e del mondo. Gli sono
grato per la stima e fiducia che mi ha dimostrato, e per la così
sensibile sintonia in cui egli si è posto col mio fondamentale impegno
per l'unità nazionale.
Benedetto XVI lascia - con un gesto di straordinario significato storico
e umano - il soglio pontificio, ma non Roma. Non si allontana
dall'Italia. E noi continueremo a sentirlo vicino, e ad essergli vicini
con animo beneaugurante.
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