Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

sabato 6 luglio 2013

A che cosa servirebbe il nostro sforzo



XIV DOMENICA T.O.


     Una delle prime cose che Gesù fece, fu scegliere dodici uomini - gli Apostoli - tra i suoi discepoli, perché dodici erano le tribù di Israele e la Chiesa doveva essere in continuità con l’antico popolo – costituito da dodici tribù -, ma nel contempo “superarlo”. Il discepolo è colui che segue un maestro, mentre l’Apostolo è colui che segue, ma poi, mandato, inviato.

     Oggi Gesù invia “altri settantadue”, un numero anch’esso simbolico, perché indica l’universalità. Gesù Cristo e il suo Vangelo non sono per un singolo popolo, ma per tutti gli esseri umani, di ogni tempo, di ogni luogo e di ogni cultura; il Vangelo non è fuori posto in nessuna nazione del mondo. Gesù stesso ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12).
     Tutto ciò che esiste ha bisogno che il sole sorga, scaldi e illumini – senza sole non c’è vita -, così l’essere umano ha bisogno, che lo sappia o meno, di Cristo. Per questo non viene mai meno il bisogno di nuovi inviati, di gente, che con passione continui ad annunciare Cristo luce del mondo. Dove Cristo “manca”, l’uomo soffre.
     San Paolo afferma che ciò che conta è “l’essere nuova creatura” (Gal 6,15); gli inviati devono annunciare questo, ma nel contempo, per essere credibili, essi stessi devono lasciarsi rinnovare da Dio. Scrive Madeleine Delbrel: “A che cosa servirebbe il nostro sforzo, se noi per primi resistessimo all’opera devastatrice e trasformatrice di questo Regno, se chiudessimo il nostro essere all’invasione della grazia di Dio?”.[1] 
     Papa Paolo VI sosteneva, che “il mondo non ha bisogno di maestri, ma di testimoni e, se segue i maestri, è perché sono testimoni”, ma “i testimoni sono resi tali da colui che li inabita”. Spalanchiamo le porte a Cristo ed Egli opererà la nostra trasformazione. Non accontentiamoci più di essere solo sfiorati da Lui, ma lasciamo che prenda stabilmente dimora dentro di noi. Potessimo dire un giorno con san Paolo: “Non son più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
     Scrive Madeleine Delbrel: “La parola di Dio non la si porta in capo al mondo in una valigetta: la si porta in sé, la si porta su di sé. Non la si ripone in un angolo si se stessi, nella propria memoria, come ben sistemata sul ripiano di un armadio. La si lascia andare sino al fondo di sé, sino a quel cardine su cui fa perno tutto il nostro essere. Non si può essere missionario senza aver fatto in sé questa accoglienza franca, larga, cordiale alla Parola di Dio, al Vangelo. … Quando siamo così abitati da lei diventiamo atti a essere missionari.[2]
    L’annuncio è urgente, per questo Gesù invita i 72 a non fermarsi di casa in casa, di non salutare per strada; non sono un invito alla maleducazione, ma a non perdere tempo in convenevoli. Come non riconoscere che l’uomo d’oggi ha un bisogno spaventoso di persone capaci di donare la bellezza del Cristo!
     Il mondo ha bisogno di speranza, di gente che come il profeta Isaia, annunci: Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò …Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi” (Is 66, 13s).
     Certo, Gesù non ci nasconde che dobbiamo essere come “agnelli in mezzo ai lupi”, il Vangelo tocca e combina troppi interessi umani; inevitabilmente dà fastidio a qualcuno, che farà di tutto per ostacolarlo e metterlo a tacere. Il Signore faccia di noi dei nuovi profeti, come Geremia, il quale, stanco di patire a causa della Parola di Dio, gridò: «Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo
” (Ger 20,9).



[1] M. Delbrel, Comunità secondo il Vangelo, Gribaudi p. 22
[2] M. Delbrel, Noi delle strade,  Gribaudi 73s

Nessun commento:

Posta un commento