XV DOMENICA T.O.
Severo, patriarca di Antiochia (465 – 538) scrive una splendida omelia
sulla parabola del Buon Samaritano e ce ne dà una bellissima chiave di lettura.
Per Severo quell’uomo che scende da Gerusalemme a Gerico, non è che l’umanità intera
che, dal Paradiso (Gerusalemme) si abbassa nella vita lontana da Dio: “Per il peccato di Adamo
l’umanità ha perduto il diritto di stare nel
paradiso, luogo posto in alto, tranquillo, libero dalle sofferenze e
meraviglioso, che giustamente viene chiamato qui Gerusalemme, in quanto questo
nome vuol dire «pace divina». Ed essa scende a Gerico, paese squallido e
infossato in cui regna un caldo soffocante. Gerico è la vita febbrile del
mondo, vita lontana da Dio e che trascina in basso. … una torma di demoni come
una banda di malfattori l’ha assalita sulla china. L’hanno depredata delle
vesti della perfezione, non lasciando in essa la minima traccia né della forza
dello spirito, né di purezza, né di giustizia e prudenza, né nulla che mostri
l’immagine divina. Aggredendola molte volte, le hanno provocato un gran numero
di ferite di peccati diversi, per abbandonarla poi in terra tramortita...”. L’uomo
ferito lunga la strada non è che Adamo, cacciato dal Eden e rivestito di pelli
di animali; quell’uomo è ciascuno di noi.
E’ Cristo, il Buon Samaritano
compassionevole, che può risanare quell’umanità: “Finalmente passa un samaritano. … Il Samaritano che passa - ed è
Cristo che veramente è in viaggio - vede il ferito. Non va oltre, poiché lo
scopo del suo viaggio è quello di «visitare» noi; noi per i quali è sceso sulla
terra e in mezzo ai quali ha abitato".
Quindi ha messo il ferito su una bestia da
soma, mostrandoci con ciò che egli ci innalza al di sopra delle passioni
bestiali, egli che anche ci porta in sé, rendendoci così membra del suo Corpo”.
La missione iniziata dal Cristo Buon
Samaritano è affidata alla Chiesa e ai suoi ministri per i secoli a venire: “Poi, ha condotto l’uomo in una locanda,
chiamando così la Chiesa, luogo di dimora e di adunata per tutti; ... Giunto
nella locanda, il buon Samaritano ha ancora di più cura di colui che ha
salvato. … Al padrone della locanda - che rappresenta gli apostoli, i pastori e
i dottori - consegna, andando via, entrando in cielo, due denari, perché abbia
cura del ferito”[1].
Oggi la prima lode va proprio al Signore,
che non è rimasto indifferente alla nostra condizione e continua a fermarsi a
curarci, quando ancora, ci incamminiamo lontano da Lui e diventiamo facile
preda del male. Grazie Signore perché non ci consideri mai perduti per sempre;
che fai di tutto per renderci salvi.
Scrive sant’Andrea di Creta:
La stessa
lettura ce la dà Sant’Andrea di Creta (Damasco,
circa 660
– Mitilene,
4 luglio
740) Creta nel Grande
Canone penitenziale:
Sono io il misero che i ladri assalirono
e ladri sono i miei pensieri
che mi colpiscono e feriscono.
Ma chinati su di me, Cristo Salvatore,
e guariscimi.
Misericordia di me, o Dio, misericordia di me.
e ladri sono i miei pensieri
che mi colpiscono e feriscono.
Ma chinati su di me, Cristo Salvatore,
e guariscimi.
Misericordia di me, o Dio, misericordia di me.
Non possiamo però non riascoltare le
parole del Papa, pronunciate a Lampedusa e che ampliano la comprensione del
Vangelo: “Tanti di noi, mi includo
anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non
curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più
capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. … «Dov’è il tuo fratello?», la
voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta
ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. … abbiamo perso
il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento
ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella
parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio
della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada,
non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La
cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende
insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono
belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che
porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione
dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella
globalizzazione dell'indifferenza. Ci
siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa,
non è affare nostro! … la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la
capacità di piangere!” (Papa Francesco, Omelia a Lampedusa).
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