di GERHARD LUDWIG MÜLLER Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede
Lo studio della problematica dei fedeli che hanno contratto un nuovo legame civile dopo un
divorzio non è nuovo ed è sempre stato condotto con grande serietà dalla Chiesa con l’intento di
aiutare le persone coinvolte, dal momento che il matrimonio è un sacramento che raggiunge in
maniera particolarmente profonda la realtà personale, sociale e storica dell’uomo. Dato il crescente
numero di persone coinvolte nei Paesi di antica tradizione cristiana si tratta di un problema
pastorale di vasta portata. Oggi i credenti si chiedono molto seriamente: non può la Chiesa
consentire, a determinate condizioni, l’accesso ai sacramenti per i fedeli divorziati risposati?
Rispetto a tale questione la Chiesa ha le mani legate per sempre? I teologi hanno davvero
considerato tutte le implicazioni e le conseguenze in merito a questa materia?
Tali questioni devono essere trattate in conformità con la dottrina cattolica sul matrimonio. Una
pastorale pienamente responsabile presuppone una teologia che si abbandoni a Dio che si rivela
«prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà e assentendo volontariamente alla
Rivelazione che egli fa» (Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Dei verbum, n. 5). Per
rendere comprensibile l’autentico insegnamento della Chiesa dobbiamo procedere a partire dalla
Parola di Dio che è contenuta nella Sacra Scrittura, illustrata nella Tradizione della Chiesa e
interpretata in maniera vincolante dal Magistero.
La testimonianza della Scrittura
Non è scevro di problematicità il fatto di porre immediatamente la nostra questione nell’ambito
dell’Antico Testamento, in quanto il matrimonio non era ancora considerato allora come un
sacramento. La Parola di Dio nell’Antico Testamento è tuttavia significativa rispetto a ciò anche per
noi, dal momento che Gesù si colloca in questa tradizione e argomenta a partire da essa. Nel
Decalogo si trova il comandamento “Non commettere adulterio” (Esodo, 20, 14), ma altrove il
divorzio è considerato possibile. Secondo Deuteronomio, 24, 1-4, Mosè stabilisce che un uomo può
rilasciare alla moglie un libello di ripudio e la può mandar via dalla sua casa se questa non trova più
grazia ai suoi occhi. In conseguenza di ciò, l’uomo e la donna possono risposarsi. Accanto alla
concessione del divorzio, tuttavia, nell’Antico Testamento si trova anche un certo disagio verso
questa prassi. Come l’ideale della monogamia, così anche l’ideale della indissolubilità viene
compreso nel confronto che i profeti istituiscono tra l’alleanza di Jahwè con Israele e il legame
matrimoniale. Il profeta Malachia esprime con chiarezza tutto ciò: «Nessuno tradisca la donna della
sua giovinezza (...) la donna legata a te da un patto» (Malachia, 2, 14-15).
Furono soprattutto le controversie con i farisei a dare a Gesù l’occasione di occuparsi del tema. Egli
prese espressamente le distanze dalla prassi veterotestamentaria del divorzio, che Mosè aveva
permesso a causa della «durezza del cuore» degli uomini, e rinviò invece alla volontà originaria di
Dio: «Ma all’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre
e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola (...) Dunque l’uomo non
divida quello che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 5-9; cfr. Matteo, 19, 4-9; Luca, 16, 18).
La Chiesa cattolica, nel suo insegnamento e nella sua prassi, si è costantemente riferita alle parole di
Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. Il patto che unisce intimamente e reciprocamente i due
coniugi è istituito da Dio stesso. Si tratta quindi di una realtà che viene da Dio e non è più nella
disponibilità degli uomini.
Oggi, alcuni esegeti affermano che questi detti del Signore avrebbero riscontrato già nei tempi
apostolici una certa flessibilità nell’applicazione: e precisamente, nel caso della pornèia
(fornicazione, cfr. Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso della separazione tra un partner cristiano e uno
non cristiano (cfr. 1 Corinzi, 7, 12-15). Le clausole sulla fornicazione sono state oggetto di
controversa discussione fin da subito in campo esegetico. Molti sono convinti che non si tratti di
eccezioni rispetto all’indissolubilità del matrimonio, ma piuttosto di legami matrimoniali invalidi.
In ogni caso, la Chiesa non può basare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche
controverse. Essa si deve attenere al chiaro insegnamento di Cristo.
Paolo stabilisce che il divieto di divorzio è un’espressa volontà di Cristo: «Agli sposati ordino, non
io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi rimanga senza sposarsi o
si riconcili col marito — e il marito non ripudi la moglie» (1 Corinzi, 7, 10-11). Allo stesso tempo,
basandosi sulla propria autorità, Paolo concede che un non cristiano possa separarsi dal suo partner
diventato cristiano. In questo caso il cristiano non è più «soggetto a schiavitù», non è più costretto
cioè a rimanere non-sposato (1 Corinzi, 7, 12-16).
A partire da questa posizione, la Chiesa ha riconosciuto che solo il matrimonio tra un uomo e una
donna battezzati è sacramento in senso proprio e solo per questi vale l’indissolubilità
incondizionata. Il matrimonio dei non battezzati è infatti ordinato all’indissolubilità, ma può
comunque essere sciolto in determinate circostanze — a causa di un maggior bene (privilegium
Paulinum). Non si tratta dunque di una eccezione al detto del Signore: l’indissolubilità del
matrimonio sacramentale, del matrimonio nell’ambito del mistero di Cristo, rimane.
Di grande significato per il fondamento biblico della comprensione sacramentale del matrimonio è
la Lettera agli Efesini, in cui si afferma: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato
la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (5, 25). E un po’ oltre l’Apostolo scrive: «Perciò l’uomo
lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola. Questo è un
grande mistero; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (5, 31-32). Il matrimonio cristiano è
un segno efficace dell’alleanza di Cristo e della Chiesa. Il matrimonio tra battezzati è un sacramento
perché contrassegna e media la grazia di questo patto.
Lo studio della problematica dei fedeli che hanno contratto un nuovo legame civile dopo un
divorzio non è nuovo ed è sempre stato condotto con grande serietà dalla Chiesa con l’intento di
aiutare le persone coinvolte, dal momento che il matrimonio è un sacramento che raggiunge in
maniera particolarmente profonda la realtà personale, sociale e storica dell’uomo. Dato il crescente
numero di persone coinvolte nei Paesi di antica tradizione cristiana si tratta di un problema
pastorale di vasta portata. Oggi i credenti si chiedono molto seriamente: non può la Chiesa
consentire, a determinate condizioni, l’accesso ai sacramenti per i fedeli divorziati risposati?
Rispetto a tale questione la Chiesa ha le mani legate per sempre? I teologi hanno davvero
considerato tutte le implicazioni e le conseguenze in merito a questa materia?
Tali questioni devono essere trattate in conformità con la dottrina cattolica sul matrimonio. Una
pastorale pienamente responsabile presuppone una teologia che si abbandoni a Dio che si rivela
«prestandogli il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà e assentendo volontariamente alla
Rivelazione che egli fa» (Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Dei verbum, n. 5). Per
rendere comprensibile l’autentico insegnamento della Chiesa dobbiamo procedere a partire dalla
Parola di Dio che è contenuta nella Sacra Scrittura, illustrata nella Tradizione della Chiesa e
interpretata in maniera vincolante dal Magistero.
La testimonianza della Scrittura
Non è scevro di problematicità il fatto di porre immediatamente la nostra questione nell’ambito
dell’Antico Testamento, in quanto il matrimonio non era ancora considerato allora come un
sacramento. La Parola di Dio nell’Antico Testamento è tuttavia significativa rispetto a ciò anche per
noi, dal momento che Gesù si colloca in questa tradizione e argomenta a partire da essa. Nel
Decalogo si trova il comandamento “Non commettere adulterio” (Esodo, 20, 14), ma altrove il
divorzio è considerato possibile. Secondo Deuteronomio, 24, 1-4, Mosè stabilisce che un uomo può
rilasciare alla moglie un libello di ripudio e la può mandar via dalla sua casa se questa non trova più
grazia ai suoi occhi. In conseguenza di ciò, l’uomo e la donna possono risposarsi. Accanto alla
concessione del divorzio, tuttavia, nell’Antico Testamento si trova anche un certo disagio verso
questa prassi. Come l’ideale della monogamia, così anche l’ideale della indissolubilità viene
compreso nel confronto che i profeti istituiscono tra l’alleanza di Jahwè con Israele e il legame
matrimoniale. Il profeta Malachia esprime con chiarezza tutto ciò: «Nessuno tradisca la donna della
sua giovinezza (...) la donna legata a te da un patto» (Malachia, 2, 14-15).
Furono soprattutto le controversie con i farisei a dare a Gesù l’occasione di occuparsi del tema. Egli
prese espressamente le distanze dalla prassi veterotestamentaria del divorzio, che Mosè aveva
permesso a causa della «durezza del cuore» degli uomini, e rinviò invece alla volontà originaria di
Dio: «Ma all’inizio della creazione li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre
e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola (...) Dunque l’uomo non
divida quello che Dio ha congiunto» (Marco, 10, 5-9; cfr. Matteo, 19, 4-9; Luca, 16, 18).
La Chiesa cattolica, nel suo insegnamento e nella sua prassi, si è costantemente riferita alle parole di
Gesù sulla indissolubilità del matrimonio. Il patto che unisce intimamente e reciprocamente i due
coniugi è istituito da Dio stesso. Si tratta quindi di una realtà che viene da Dio e non è più nella
disponibilità degli uomini.
Oggi, alcuni esegeti affermano che questi detti del Signore avrebbero riscontrato già nei tempi
apostolici una certa flessibilità nell’applicazione: e precisamente, nel caso della pornèia
(fornicazione, cfr. Matteo, 5, 32; 19, 9) e nel caso della separazione tra un partner cristiano e uno
non cristiano (cfr. 1 Corinzi, 7, 12-15). Le clausole sulla fornicazione sono state oggetto di
controversa discussione fin da subito in campo esegetico. Molti sono convinti che non si tratti di
eccezioni rispetto all’indissolubilità del matrimonio, ma piuttosto di legami matrimoniali invalidi.
In ogni caso, la Chiesa non può basare la sua dottrina e la sua prassi su ipotesi esegetiche
controverse. Essa si deve attenere al chiaro insegnamento di Cristo.
Paolo stabilisce che il divieto di divorzio è un’espressa volontà di Cristo: «Agli sposati ordino, non
io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito — e qualora si separi rimanga senza sposarsi o
si riconcili col marito — e il marito non ripudi la moglie» (1 Corinzi, 7, 10-11). Allo stesso tempo,
basandosi sulla propria autorità, Paolo concede che un non cristiano possa separarsi dal suo partner
diventato cristiano. In questo caso il cristiano non è più «soggetto a schiavitù», non è più costretto
cioè a rimanere non-sposato (1 Corinzi, 7, 12-16).
A partire da questa posizione, la Chiesa ha riconosciuto che solo il matrimonio tra un uomo e una
donna battezzati è sacramento in senso proprio e solo per questi vale l’indissolubilità
incondizionata. Il matrimonio dei non battezzati è infatti ordinato all’indissolubilità, ma può
comunque essere sciolto in determinate circostanze — a causa di un maggior bene (privilegium
Paulinum). Non si tratta dunque di una eccezione al detto del Signore: l’indissolubilità del
matrimonio sacramentale, del matrimonio nell’ambito del mistero di Cristo, rimane.
Di grande significato per il fondamento biblico della comprensione sacramentale del matrimonio è
la Lettera agli Efesini, in cui si afferma: «Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato
la Chiesa e ha dato se stesso per lei» (5, 25). E un po’ oltre l’Apostolo scrive: «Perciò l’uomo
lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno una carne sola. Questo è un
grande mistero; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (5, 31-32). Il matrimonio cristiano è
un segno efficace dell’alleanza di Cristo e della Chiesa. Il matrimonio tra battezzati è un sacramento
perché contrassegna e media la grazia di questo patto.
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