Diventare cattolici non significa smettere di pensare, ma imparare a farlo”.
Gilbert K. Chesterton

martedì 24 dicembre 2013

Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce



NATALE DI NOSTRO SIGNORE

    La tenebra è fonte di paura e di confusione; paura, perché può nascondere il pericolo, ma anche confusione, perché impedisce di riconoscere il percorso da fare o fa scambiare l’amico per nemico e viceversa.
Lo rappresentava già il libro di Giobbe quasi in presa diretta: «Quando non c'è luce si alza l'omicida per assassinare il misero e il povero; nella notte s'aggira il ladro. L'occhio dell'adultero attende il buio e pensa: Nessun occhio mi vedrà! E si cala sul viso una sciarpa. Nelle tenebre si forzano le case. Tutti costoro di giorno se ne stanno nascosti, non vogliono saperne della luce» (24, 14-16). Quanti di noi possono negare di non avere avuto e, forse, di avere ancora paura del buio. Certo non è una paura che  paralizza, ma che rende piuttosto ansiosi, sì.
     Abbiamo bisogno della luce; ci affrettiamo a cercare l’interruttore quando entriamo in un ambiente e, proviamo sollievo, quando per strada finalmente si accendono i lampioni. Che ci piaccia o meno, non siamo fatti per la tenebra, siamo figli della luce – non per niente, “dare alla luce” è sinonimo di “nascere -. Senza luce, come ogni creatura vivente, noi deperiamo.
     Per questo comprendiamo bene le parole del profeta Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse.
Hai moltiplicato la gioia,  hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda”
(Is 9,1s). La gioia di quel popolo scaturisce dalla luce.
     Noi non ci accontentiamo dei regali, delle cene, degli auguri, perché sappiamo che non hanno la capacità di saziarci. Certo, ci fanno piacere, ma non ci bastano. Chi è nel buio, vuole la luce, tutto il resto lo cercherà dopo.
    Noi oggi accogliamo ancora una volta La Luce sfolgorante. Partecipando a questa celebrazione stiamo gridando al mondo, che abbiamo trovato la luce, quella vera, quella che non delude. Ecco perché noi cristiani oggi gioiamo e ci piange il cuore nel pensare che molti si perdono questa meraviglia.
     Gesù però non nasce oggi; oggi non è che il compleanno – è il Suo, non quello di altri -. Guai se il Signore fosse tra noi solo ora – “Signore Tu ci sei necessario più del cibo” -. Il Santo Natale è come la voce di Dio che continuamente dice: “io sono con te sempre”. E’ questo che ci dà speranza e gioia. E’ questo che ci impedisce di cadere definitivamente in quel pericolo di cui parla felicemente papa Francesco: “la psicologia della tomba, che poco a poco trasforma i cristiani in mummie da museo. Delusi dalla realtà, dalla Chiesa o da se stessi, (che) vivono la costante tentazione di attaccarsi a una tristezza dolciastra, senza speranza, che si impadronisce del cuore come «il più prezioso degli elisir del demonio»” (EG 83).
     Per questo facciamo nostre le parole del filosofe Platone: “Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce”.
     Non possiamo avere paura della luce di Cristo; Dio s’è fatto Bambino, proprio per non fare paura. Come puoi temere Colui che si mette nella condizione di debolezza?
     Il Dio Bambino ha però bisogno di essere accolto per portare “la grande gioia”. Come sono terribili le parole dell’Evangelista Luca: “per loro non c'era posto nell'alloggio”. Questo è il problema: troppo spesso il Signore non può trovare spazio nel mio “alloggio”, nella mia casa.
     Fare Natale allora, non è solo preparare un presepe in casa, ma diventare con Maria, madri del Signore: “Siamo madri , quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l'amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri (FF 200). Il Natale è incarnazione. Maria ci insegna a fare Natale: lasciare che Dio, prenda spazio dentro la nostra carne e la scomodi, la trasformi.


    







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