II DOMENICA QUARESIMA
Nel deserto, tentato dal
diavolo, abbiamo contemplata l’umanità di Gesù, uguale in tutto alla nostra,
fuorché nel peccato. E’ un’umanità talmente perfetta che di lui, i suoi
conterranei dicono: “Non è costui
il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli,
Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi?
Da dove gli vengono allora tutte queste cose?» (Mt 13,55s). In
lui sembra non esserci nulla di straordinario.
Attenzione però, perché “se abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto
per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Cor
15,19); se Gesù fosse solamente un grande uomo, noi saremmo degli illusi e dei
disgraziati.
Oggi invece, sul monte, con
Pietro, Giacomo e Giovanni, andiamo oltre il velo della carne e riconosciamo
che, quell’uomo di nome Gesù, è Dio. Non “un dio”, come amano tradurre i TdG,
ma colui del quale diciamo: “Dio
da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa
sostanza del Padre” (Simbolo Niceno Costantinopolitano)
Perché trasfigurarsi davanti
ai suoi? Perché già Gesù aveva chiesto ai discepoli: “La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” (Mt 16,13) e: “Ma voi, chi dite che io sia?” (16,15).
Pietro, a nome di tutti ha risposto perfettamente: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (16,16), ma quanta confusione avevano ancora in
testa e nel cuore.
Quanto bisogno abbiamo anche
noi di farci portare sul monte da Gesù, per andare più in profondità nella
relazione con Lui, per uscire dalle nostre idee su di Lui.
Andiamo ora a contemplare la
vicenda di Abramo, al quale Dio ha detto: “Farò
di te una grande nazione” (Gen 12,2). E’ la promessa di fecondità a un uomo
già anziano e senza figli. Dio promette di agire, ma chiede ad Abramo di
fidarsi e di collaborare.
Nulla è impossibile a Dio,
ma per operare le Sue meraviglie nelle persone e nella storia, vuole la
cooperazione delle persone stesse. Non ha paura del limite umano. Isaia,
chiamato a diventare profeta, risponde: “Un
uomo dalle labbra impure io sono” (Is 6,5); Geremia, nella stessa
situazione dice: “Io non so parlare,
perché sono giovane” (Ger 1,6); e che dire di Mosè con la sua balbuzie: “Signore io non sono un buon parlatore”
(Es 4,10); la stessa Sara, vecchia moglie di Abramo, a un certo punto ride
della possibilità di diventare madre: “Avvizzita
come sono , dovrei provare il piacere, mentre il mio signore è vecchio?”
(Gen 18,12). A tutti loro e a noi Dio dice: “Non temere!”.
Ad Abramo chiede molto: “lascia
ogni tua sicurezza! La tua terra e la tua famiglia e parti”. Abramo deve
accettare di percorrere strade nuove, fidandosi. Chissà quanti e quali dubbi,
quali paure, tipiche della novità, eppure è partito. Madeleine Delbrel, ci
direbbe, che Abramo ha obbedito “non a
motivo di ciò che viene ordinato, ma a
causa di colui che ordina” (La gioia
di credere), perché Abramo è uno di quegli uomini dei quali “Dio abbraccia tutto il loro orizzonte. Per
il fatto stesso che esiste, egli è preferito sopra ogni altra cosa”.
I santi, sono santi, perché
si sono faticosamente, ma docilmente, lasciati condurre da Dio su strade nuove.
Pensiamo a padre Lino da Parma che, in un tempo in cui essere frate significava,
seguire rigorosamente regole comuni, mosso dalla forza dello Spirito, ha fatto
"dell’irregolarità" la sua norma di vita; la carità che aveva nel cuore, lo ha
costretto ad andare. Potremmo dire che il suo motto era “caritas Christi urget nos” - L'amore di Cristo ci sprona, (2Cor
5,14). Che dire poi di san Francesco d’Assisi, iniziatore di una forma di vita
consacrata completamente nuova. Francesco non ha fatto altro che fidarsi: “Il Signore dette
a me, frate Francesco, d'incominciare a fare penitenza così: quando ero nei
peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi e il Signore stesso mi
condusse tra loro e usai con essi misericordia … E dopo che il Signore mi dette
dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi
rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci
scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò” (Testamento di San Francesco). Madre Teresa di Calcutta,
già suora insegnate nella Congregazione delle Suore di Loreto, durante un
viaggio in treno, si lascia sconvolgere completamente la vita e da un collegio
per signorine bene, va a vivere nelle baraccopoli di Calcutta.
“Mostrami, Signore, la tua
via, guidami sul retto cammino … (perché) Nei tuoi decreti è la mia
delizia”.
Nessun commento:
Posta un commento