XVII DOMENICA T.O.
A Bergamo, c’è un noto giornalista
televisivo – che si dichiara non credente -, che ha una stima e affetto grande
per noi frati. Quando veniva in convento, ogni volta ci chiedeva come facevamo
a fare della nostra vita una rinuncia e a rimanere contenti.
“Da quando ho conosciuto il
Signore, tutto è cambiato nella mia anima prigioniera di Lui. … Cerco
instancabilmente il mondo dove abita il Signore. Come un uccello prigioniero
desidera fuggire di gabbia, così la mia anima desidera Dio” (Silvano del Monte Athos, Dagli scritti, 48.30,93). Così scrive Silvano dell’Athos, e ci dona
la spiegazione delle bellissime parabole di oggi e dà una risposta all’amico
giornalista.
Con Dio non si rinuncia, ma si mette da
parte qualcosa di bello e prezioso, per qualcosa di più bello e di più prezioso.
L’uomo della parabola non disprezza i suoi beni, ma semplicemente ha trovato
qualcosa di più grande, un tesoro, per il quale vale la pena vendere tutto ciò
che ha.
Il Cristiano è uno che sceglie la parte
migliore. La vita evangelica non è una vita di penitenza, dove si deve
rinunciare, a denti stretti, a tutto ciò che è bello, buono, perché altrimenti
Dio non è contento. Noi cerchiamo di vivere evangelicamente non perché abbiamo
paura che “alla fine del mondo. Verranno
gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace
ardente, dove sarà pianto e stridore di denti” (Mt 13,49s), ma perché abbiamo ricevuto, per grazia, il dono di trovare il tesoro e la
perla preziosa, per cui, tutto il resto, per quanto bello, non è più
sufficiente per colmarci l’esistenza.
Noi abbiamo nel
cuore la vicenda dell’uomo ricco, il quale desiderava ardentemente la vita
piena, ma siccome aveva molti beni e non aveva il coraggio di cederli, dopo
l’incontro con Cristo, “se ne andò triste”
e noi non vogliamo essere tristi. Scrive papa Francesco: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si
incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal
peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento” (EG 1).
Ecco cosa ci è stato offerto.
Quando Cristo penetra nell’esistenza di
una persona, non è più possibile vivere come prima. Per questo scrive ancora
Silvano dell’Athos: “Dove sei tu, mia
luce? Ti cerco con le lacrime. Se tu non ti fossi rivelato a me, io non potrei
cercarti. Tu stesso hai visitato me peccatore e mi hai fato conoscere il tuo amore”.
Il cristiano non è un
frustrato al quale sono negati i piaceri della vita, ma chi ama i comandi del
Signore più dell’oro, più dell’oro fino, perché meravigliosi sono i suoi
insegnamenti; le sue parole illuminano e danno intelligenza ai semplici.
Questo significa forse che siamo perfetti,
senza peccato? Magari! Noi siamo creature sedotte, ma fragili. Come san Paolo
dobbiamo affermare: “Io non faccio il
bene che voglio, ma il male che non voglio”, eppure, nel contempo, diciamo
con fermezza “queste cose, che per me
erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi,
ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di
Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero
spazzatura, per guadagnare Cristo” (Fil 3,7s).
È vero , bella e vera la frase "il Cristiano è uno che sceglie la parte migliore"
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